Sara Porro, Amica 18/10/2014, 18 ottobre 2014
LÉGAMI PER PIACERE
Questa è la stanza dei props, i materiali di scena», dice Odile indicando una porta sulla destra. «Per favore, non toccate nulla: tutti gli oggetti sono stati igienizzati e sono quindi pronti all’uso». Alle pareti, ogni strumento di tortura erotica che la mente umana possa concepire: frustini, gatti a nove code, corde, ball gag (un bavaglio costituito da una palla e da un laccio, utilizzato per fare tacere il sottomesso), manette, catene, collari. Sul fondo, gabbie grandi abbastanza da contenere una persona. «Quando avrete finito con le foto, vi aspetto nell’aula scolastica», annuncia. La seguo. Sulla lavagna campeggia la scritta “I’ve been a naughty boy” (sono stato un monello). Quando incrocio il suo sguardo, mi fa l’occhiolino. Prima di diventare tour guide, Odile (nome d’arte) era una delle modelle di Kink.com, il più grande sito di pornografia alternativa al mondo. “Modella” è il termine che la compagnia insiste per usare, anche se Odile preferisce “performer”, l’espressione neutra con cui nel settore dell’intrattenimento per adulti si definiscono attori e attrici. Con il bel viso dal trucco appena accennato, e un tailleur nero quasi severo se non fosse per la scollatura generosa, risulta più facile immaginarla impegnata con la contabilità piuttosto che penzolante dal soffitto grazie a un elaborato sistema di corde. «Sono molto affezionata a questo posto, ci ho girato una delle mie scene preferite: l’Umiliazione Pubblica», segnala con un largo sorriso senza traccia di malizia, quando ci spostiamo su un altro set, tra i tavoli di un bar. Sto prendendo parte a un tour guidato nelle segrete di The Armory, dove si realizzano tutte le produzioni di Kink.com. Quando ho acquistato il biglietto (25 dollari), ero abbastanza convinta che gli altri visitatori potessero essere uomini di mezza età con l’aspetto dello zio inquietante che da bambina insisteva per tenerti a cavalluccio. Mi sbagliavo: l’età media è bassa, ci sono molte ragazze, e quasi tutti hanno un’apparenza parecchio normale, soprattutto per San Francisco.
Kink.com ha una classica storia da start-up della prima era di Internet: per la data di nascita, il 1997, e per il luogo, San Francisco, così vicino a quella Silicon Valley in cui negli stessi anni nascevano eBay, Yahoo! e Google. Il fondatore Peter Acworth era un appassionato di bondage, la pratica erotica che consiste nel legare – o nel farsi legare – con corde, lacci o corsetti. Il web fu l’occasione di entrare in contatto con altre persone che condividevano la stessa fissazione, poi diventò un’opportunità di business. Nacque così Hogtied, sito a pagamento con immagini di nodi e di manette. In breve tempo, si aggiunsero altri “kink”, cioè perversioni, parola che la comunità non ama per la connotazione negativa.
Oggi, il sito è una sorta di enciclopedia BDSM, acronimo che sta per Bondage & Disciplina, Dominazione & Sottomissione, Sadismo & Masochismo: a fianco di sottogeneri classici come uomini che schiavizzano donne e viceversa, ci sono anche contenuti di nicchia, come quelli dedicati ai feticisti dei piedi o agli amanti dell’electric play (impiego erotico di scosse elettriche a bassa intensità). Si gira qui, all’interno di The Armory, sorta di enorme castello in stile moresco che fu la caserma e l’arsenale della Guardia Nazionale statunitense nei primi decenni del Novecento. L’edificio occupa alcuni isolati del Mission District, nel pieno centro della città, e quando fu comprato nel 2006 le proteste non mancarono: un amato monumento storico che diventava luogo di pratiche sessuali irriferibili sembrava troppo anche per l’ultraliberale San Francisco. Eppure, l’impero dell’hard ha lavorato duramente per costruire rapporti di buon vicinato, ristrutturando e mettendo a disposizione della comunità una parte degli spazi, ben separati dal cuore dell’azione, ovviamente. Nel tempo Kink.com ha assunto nell’industria del porno, e nella cultura mainstream in genere, un ruolo di primo piano, tanto da spingere James Franco a produrre un documentario che ne racconta il dietro le quinte. E molto è stato fatto per sdoganare la “sessualità alternativa”. Come spiega Jesse Bering in Perv. Viaggio nelle nostre perversioni (Utet), le parafilie – termine scientifico per kink – sono come le opinioni: ognuno ha la sua. Quasi impossibili da sradicare, ingranate nel profondo della coscienza di ciascuno. Secondo la teoria classica, l’origine sarebbe da ricercare in un’esperienza negativa infantile cui la mente reagisce trasformandola in una fonte di piacere, come tecnica di adattamento.
La lezione è che, quando queste preferenze sessuali possono essere espresse in modo sano e consensuale, non c’è motivo di rinunciarci, né di provare vergogna. Così, tra le attività collaterali di The Armory ci sono dibattiti e seminari sulla sessualità alternativa, mentre l’ultimo piano ospita spesso serate che non sono, nemmeno nelle intenzioni, cene eleganti, bensì festini nelle sale barocche con camini, marmi e divani in velluto da appartamento veneziano dell’Ottocento (non fosse per gli enormi quadri alle pareti che riproducono scene cult del repertorio).
Il pieno consenso, elemento chiave dei valori della comunità BDSM, è un aspetto piuttosto controverso anche nel porno – le virgolette qui sono di dovere – “tradizionale”. L’industria dell’intrattenimento per adulti è tradizionalmente in mano a persone senza scrupoli, e la linea tra consenso e abuso è sempre stata molto sottile, anche a causa del consumo di droga e alcol. Uno dei grandi problemi etici del settore, insieme alla scarsa tutela della salute dei perfomer, con casi di contagio di Hiv relativamente frequenti.
Un esempio classico è il caso di Linda Lovelace, che diventò la prima grande star del porno interpretando Gola Profonda nel 1972: negli Anni 90 dichiarò di essere stata costretta con la violenza dal primo marito a girare film a luci rosse. Attaccò il mondo dell’hard. E le femministe si schierarono al suo fianco.
Il movimento delle donne ha sempre assunto una posizione molto severa rispetto alla pornografia, considerandola strumento di sopraffazione finalizzato al piacere maschile. Eppure non tutte la pensano così.
Una minoranza di voci contrarie (come Susie Bright, che negli Anni 80 fondò la prima rivista porno lesbica, On our backs, o la pornografa Tristan Taormino) sostiene, invece, che si possa fare del porno femminista. Che non è sinonimo di porno per donne: se quest’ultimo indica pellicole con scene considerate più eccitanti per il pubblico femminile – e il successo planetario delle Cinquanta sfumature di Grigio insegna che le fantasie di sottomissione sono piuttosto comuni tra le signore, il porno femminista non guarda alla pratica sessuale in sé bensì alle dinamiche sul set e nella produzione. Alle performer è lasciato il controllo sulla scena, possono esprimere preferenze e mettere confini espliciti a ciò che vogliono e non vogliono fare. Molti di questi valori sono gli stessi di Kink.com, che opera secondo regole rigide: alcol o droghe non sono tollerati, gli attori sono autorizzati a interrompere la scena in qualunque momento tramite l’utilizzo di safeword, una parola di sicurezza (o una sequenza di versi se la bocca è tappata), il loro “input creativo” è tenuto in considerazione, e molti registi sono donne. Di sicuro, l’intento è di normalizzare, sdrammatizzare. L’ultima tappa della visita è il gift shop, dove sono in vendita gadget niente affatto erotici: bicchieri, cappellini da baseball, magliette e felpe con il brand di Kink.com, come in una Disneyland qualsiasi (ma senza orecchie di Topolino).