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 2014  ottobre 18 Sabato calendario

ADESSO VIVO IN PACE


[Mike Tyson]

No, non può essere lui. Non può essere Mike Tyson, l’ex mangiatore di orecchie e di Prozak (come lui stesso si definisce durante il One Man Show), quello che sulla terrazza del Grimaldi Forum di Montecarlo, sotto una pioggerellina sottile, al posto dei guantoni impugna un cappuccino (right hand) e un cigarillo (left hand) mentre parla amabilmente con lo staff delle televisioni che fanno la fila per intervistarlo. Il maglioncino bianco latte semi-attillato mette in evidenza le nuove forme da pensionato del ring, quelle che potrebbero iscriverlo a una categoria tipo super super massimi. Sotto indossa un jeans da lavoro un po’ troppo cadente anche per un ambiente informale come lo Sportel dove venditori e compratori dei diritti televisivi, fra stand espositivi e stelle un po’ troppo decantate, ogni anno si incontrano per scambiarsi immagini e avvenimenti come le figurine dei calciatori. Ogni intervista, a telecamere spente, si conclude con pacche sulle spalle, immancabili gimme five, sorrisi e ringraziamenti: è proprio un altro Tyson.
No, non può essere lui neanche quello che, accompagnato dalla moglie Kiki e da alcuni dei suoi otto figli, al termine di uno show noiosissimo mette in fila anche gli spettatori davanti al faro dei fotografi per l’immagine ricordo da 25 euro (sarà il Principato a compensare la differenza con i 300 dollari richiesti da Tyson per la stessa operazione a New York) e per un’altra ora spende strette di mano e sorrisi di circostanza a sconosciuti a cui in passato avrebbe rivolto al massimo i fuck you che si ripetono a iosa nello show.
E si fa fatica a riconoscere quello che è stato il terrore di tutti i ring, almeno nell’immagine più stereotipata passata all’agiografia della boxe, nel mezzo gigante di mezza età (48 anni esattamente) che ci accoglie stravaccato in una delle poltroncine pieghevoli ficcate sotto il palcoscenico della Salle des Princes. Stanco ma neanche tanto, considerate le abitudini malefiche del più giovane campione del mondo della storia che, partito la sera prima da Seven Hills alla periferia di Las Vegas, si è presentato perfino puntuale al primo appuntamento del tour de force monegasco di quattro giorni. Mike sbadiglia, sembra esausto ma non rinuncia all’accoglienza new style che prevede pugnetto sulla spalla, stretta di mano e ringraziamento per essere lì. E, per cambiare registro, l’intervista non può che partire dall’Italia.
Allora Mike, qui siamo quasi al confine. Ci sarà venuto quattro, cinque volte in Italia, il Paese di origine del suo amato mentore Cus D’Amato. Che ricordi ha?
«Ah, la prima volta è stata la più bella. Era il ’91, ricordo perfettamente l’anno e un nome: Berlusconi. So che poi ha avuto tanti problemi ma con me è stato un signore: gentile, cordiale. Mi ha ricevuto nei suoi studi televisivi, una persona simpaticissima. Per un po’ siamo rimasti anche in contatto. E poi ricordo la seconda volta, nel 2005, per quel festival di canzoni. Come si chiama? Sanremo. Ecco sì, soggiornai proprio a Montecarlo. Ma poi a Milano sono venuto tante volte, l’ultima per una grande festa. E poi nello spettacolo parlo della Lamborghini Countach, la macchina che più ho amato».
Anche Roma merita però…
«Roma? E perché? No, a me piace Milano. Milano è una delle mie città preferite. E sapete perché (ci fa toccare il maglioncino di lino, ndr): la moda. Voi italiani siete i numeri uno».
Vediamo una grande G sulla cintura, Gucci ovviamente?
«Gucci, ma il numero uno è Versace. Ditelo forte; Versaci, Versaci». (E qui intona il ritornello hip hop di Migos ft. Drake che negli Usa è entrato fra i primi 100 di Billboard).
Forse conosce più nomi della moda che pugili, è vero? Che ne pensa dei nostri medagliati olimpici della sua categoria: Russo, Cammarelle. Li porterebbe nella sua scuderia?
«No, non li conosco. Io sono fermo ai soliti due di Los Angeles dove io andai come riserva: Francesco Damiani e Luciano Bruno. Ma quello che ho conosciuto meglio è Nino La Rocca, di colore come me. Il più forte di tutti? Il compianto Arturo Gatti. No, non è italiano, ma parlava italiano, me lo ricordo».
Non ci dica che un esperto della storia della boxe non conosce Nino Benvenuti?
«Certo, il peso medio campione del mondo. So tutto di lui, ma io sto parlando di quelli che conosco di persona».

È il momento di mostrare il libro uscito sulla Gazzetta nel 2003: Ali &Tyson, il Buono e il Cattivo. Quanti ne saranno usciti su di lui? Eppure Mike è incuriosito, lo scarta avidamente dal cellophane, e si fa tradurre il titolo. “Chi è l’Angelo e chi il Diavolo?”, chiede.
“Per la gente comune Ali è l’Angelo, lei il Diavolo. Ma qui cerchiamo di dimostrare il contrario. Questo è un libro che parla solo di boxe”, fingiamo con il coraggio di chi sa che nessuno può tradurre. Ma la fortuna non ci aiuta: Mike chiama un’addetta dell’organizzazione e si fa leggere le prime righe di una pagina, guarda caso quella in cui si parla della sua “seduta” di sesso in taxi con Naomi Campbell. «Solo di boxe, eh? Ma non ti preoccupare, per questa volta non ti picchierò» (come ha quasi fatto l’11 settembre scorso con un conduttore canadese che ha fatto la domanda sbagliata; ndr), ci dice con un sorriso.
Allora Tyson è proprio cambiato?
«È cambiato il fatto che sono in pace con me stesso. Il passato è alle spalle, tutto dimenticato».
Ma Ali lo incontra ancora ed è sempre il suo idolo?
«Sì, il mio favorito. Non solo un grande uomo, ma anche il più grande pugile di tutti i tempi. Non ho dubbi e non ho voglia di dire chi è secondo e chi terzo».
In che rapporti è adesso con i suoi antichi nemici, Holyfield e Lewis?
«Tutto passato, ci incontriamo, ci abbracciamo, recitiamo insieme».
A proposito: passa da un cameo in un film all’altro. Si sente un grande attore così com’era un grande pugile?
«Dicono che sono un bravo, ma la boxe era il mio vero mestiere. Comunque continuo ad avere richieste: dai film ai video-clip. Quindi vuol dire che funziono. Ormai sono solo un entertainer».
Meglio adesso o prima?
«Adesso, non vedete come mi diverto. Mi dicono che la gente si è dimenticata di me come pugile, che mi vede solo come scrittore e personaggio dello spettacolo. Ma non è vero: quando vado in giro i ragazzini mi dicono: “Vai Mike, torna a combattere”. E io rido: “Come faccio con questa pancia”. Ecco il bello: ora mangio e faccio quello che voglio».
Lei, che è presidente della Iron Mike Productions, come pensa di rilanciarla nella sua nuova attività di promoter?
«Non temo la concorrenza dell’Ufc o del wrestling. Bisogna solo smetterla di trattare i pugili come schiavi, di mangiargli i soldi come hanno fatto con me. Finora i manager hanno fatto da babysitter mentre tutto quello di cui un pugile ha bisogno è un avvocato e un promoter che lo amministri. La boxe è stata rovinata dai promoter avidi: quando altri ex campioni neri come me assumeranno completamente il potere, la boxe tornerà quella dei tempi d’oro. Il problema è che ci sono troppi pugili e troppe poche date».
E veniamo allo spettacolo. Nell’autobiografia che in Italia si titola True» e che è stata premiata anche qui a Montecarlo, la boxe passa in secondo piano. Così come accade nello show teatrale.
«Mi dite tutti la stessa cosa, ma cosa frega alla gente di Tyson come ex pugile. La gente deve riconoscersi, trovare punti di contatto con la propria vita. Io racconto un uomo che ha avuto tanti problemi e tanti nemici più che un ex pugile».
Ma lo capiranno anche fuori dall’America? È uno spettacolo adatto anche agli europei e agli italiani? Verrà mai in Italia con questo One Man Show?
(ride a squarciagola) «Ma no, che vengo a fare in Italia. Voi avete gli spettacoli stile Anni 60: con le belle donne che ballano, i lustrini, i pennacchi, le canzoni. Quando guardo alla tv gli italiani mi sembra che tutto si sia fermato a 30 anni fa. No, non capireste».

Uno show, fatto più di invettive gratuite che di riflessioni, effettivamente lontano dai nostri gusti che è comunque servito anche a rinsaldare il rapporto fra una delle culle della boxe con una disciplina che aveva fatto il suo ingresso nel Principato nel 1904 e che dopo gli anni d’oro aveva conosciuto un lungo buio. Poi improvvisamente, dal marzo 2013 a oggi, quattro riunioni prestigiose proprio allo Sporting. «Il merito è tutto del padre di Charlene Whittstock, la moglie del principe Alberto, che è un grande appassionato di boxe», spiega Jean-René Palacio, direttore artistico della SBM (Société des Bains de Mer) che gestisce molte delle strutture e delle attività del Principato. «Ma Montecarlo è soprattutto una città in cui tutti, grazie alle nostre strutture all’avanguardia, praticano sport, a tutte le età e in tutte le discipline. Come abbiamo fatto a portare qui Tyson? Con un contratto. Niente di più facile se si hanno i dollari». Ecco il nuovo Tyson: una macchina da soldi.