Paolo Di Paolo Igiaba Scego, La Stampa 21/10/2014, 21 ottobre 2014
A QUALCUNO PIACE L’ITALIANO SOPRATTUTTO ALL’ESTERO
C’è una legione di appassionati all’italiano, fuori dell’Italia. Che facce e che storie hanno? Perché scelgono il nostro idioma, al punto da renderlo il quarto più studiato sul pianeta? Con dati confortanti si aprono oggi a Firenze gli «Stati generali della lingua italiana nel mondo»: due giorni di confronti e testimonianze con studiosi, scrittori, artisti. 250 milioni fra italofoni e italofili, un milione e mezzo di studenti: «Eravamo convinti che fossero 600 mila, è stata una sorpresa anche per noi» dice Mario Giro, sottosegretario agli Esteri e promotore dell’evento. «Spesso è guardando fuori che riscopriamo la nostra vitalità e le nostre risorse». Se gli indici di sviluppo economico non brillano, quelli di interesse per la lingua di Dante fanno eccezione.
«Di anno in anno - spiega Alessandro Masi, segretario della Società Dante Alighieri, 400 comitati all’estero - vediamo aumentare anche il numero di studenti che in tutto il mondo si iscrivono a corsi di italiano certificato. Solo dieci anni fa era fantascienza». Quasi il 50% ha sotto i 35 anni. Motivo della scelta? Interesse personale e studio coprono da soli la metà delle risposte. Cresce la richiesta da Sud America e Asia. Lo conferma Pier Luigi Arri, che dirige a Roma la scuola di italiano per stranieri Torre di Babele: «La crisi si fa sentire, soprattutto nella vecchia Europa. Ma Russia e Cina ci guardano con molta attenzione, e si potrebbe fare di più per incentivare e facilitare i soggiorni linguistici».
Oltreoceano lo studio dell’italiano è una realtà consolidata. Stefano Albertini, direttore della Casa italiana Zerilli Marimò, ci spiega come alla New York University gli studenti («circa quattrocento studenti di lingua al semestre e duecento di letteratura, storia, cinema e arte italiana») scelgano l’italiano per passione: «Sono appassionati di opera, di storia dell’arte, di gastronomia, magari hanno letto Dante e Machiavelli in traduzione al liceo e vogliono leggerli in originale. Ciò non toglie che spesso la conoscenza dell’italiano si riveli strategica quando si mettono a cercare lavoro, specialmente in alcuni settori».
In passato una buona fetta di studenti era di origine italiana. «All’inizio della mia carriera alla NYU - ricorda Albertini - avevo molti più studenti italoamericani. Alcuni non sapevano per niente la nostra lingua e approfittavano dell’università per appropriarsi di radici poco conosciute, ma che sentivano come proprie. Oggi la percentuale di studenti italoamericani è molto bassa e l’italiano viene sempre di più considerato lingua “culturale” più che ancestrale».
Questo nuovo approccio ha cambiato di fatto il modo di presentare la lingua italiana in America. Ruth Ben Ghiat, docente di Italian Studies and History alla New York University, racconta come lo studio dell’italiano si stia aprendo di più al presente. Non solo l’eterno Rinascimento, quindi: «I miei studenti si occupano di argomenti come l’immigrazione cinese in Italia o l’occupazione fascista del Dodecaneso». Anche Albertini sottolinea questo sforzo di portare l’italiano e l’Italia nella modernità. Creare un rapporto con la lingua e il mondo globalizzato di oggi: «Nel nostro lavoro alla Casa cerchiamo di dare due idee fondamentali: l’Italia nonostante il passato illustre e ingombrante è un paese vivo e in continuo cambiamento e non un museo a cielo aperto. Inoltre la ricchezza della cultura italiana è frutto di un multiculturalismo ante litteram, dell’incontro (e scontro) di popoli, culture e tradizioni diverse, solo recentemente unificate. Dar conto di questa diversità e di questa ricchezza è uno degli aspetti più appassionanti del nostro lavoro».
Sul fronte delle traduzioni, però, siamo ancora indietro. Nel 2013 i libri italiani tradotti all’estero sono stati 4597. Qualcosa in più rispetto all’anno prima, ma nel novero la parte del leone la fanno Geronimo Stilton, il design, la moda. E la letteratura? Mariarosa Bricchi e Andrea Tarabbia, che gestiscono booksinitaly.it, sito di promozione dell’editoria italiana nel mondo, raccontano come sia difficile avere attenzione: «Molti restano fermi a mafia e lifestyle. Lo spazio va costruito, con proposte mirate e di qualità. E sperando in maggiori investimenti istituzionali sulle traduzioni. Prendiamo esempio dai Paesi nordici».
In questi primi mesi del 2014 sono stati assegnati circa 100 mila euro di incentivi alle traduzioni. Non basta. Frederika Randall, inviata di The Nation in Italia e traduttrice, è riuscita a portare al pubblico anglofono Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo. Il testo è uscito per la Penguin Classic per il mercato inglese, sbarcherà con le sue mille pagine negli Usa a gennaio. «Negli Stati Uniti si sa veramente poco della storia d’Italia - spiega Randall - e il ruolo del traduttore oggi è anche un ruolo culturale. Ma la mia impressione è che sia molto difficile proporre libri che non ripetono cose già sapute del Paese». Per questo la sua scelta di tradurre e proporre Nievo è quasi rivoluzionaria: «Con Nievo si scopre una combinazione di intelligenza, spirito, idealismo, che di fatto alza la reputazione del vostro Paese».
Paolo Di Paolo Igiaba Scego, La Stampa 21/10/2014