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 2014  settembre 21 Domenica calendario

A GENOVA LA VIA DEL PETROLIO RUBATO


Il petrolio finito a Busalla fa litigare due Stati e rischia di creare un incidente che potrebbe sfociare in una crisi diplomatica tra il Ghana e la Nigeria. Fuoco alle polveri l’ha dato un’inchiesta del Wall Street Journal di qualche settimana fa sul petrolio “rubato”, in un complicato scambio di accuse e di controaccuse tra i due Paesi che non accenna a spegnersi ed è testimoniata anche dalla polemica esplosa sui media locali. Lo scenario è quello del contrabbando del greggio nigeriano, fenomeno endemico da almeno vent’anni, ufficialmente avversato dalle autorità ma in realtà diffuso da un sistema di criminalità e corruttele che coinvolge anche politici, amministratori e banchieri. Il giornale americano punta le sue attenzioni sull’attività di Saltpond Offshore Producing Company, la piattaforma ghanese dove, secondo i sospetti delle autorità statunitensi, si realizza la più importante delle fasi del riciclaggio verso l’Europa del greggio nigeriano “rubato”. Tre carichi “sospetti”, spiega il Wall Street Journal, sono quelli partiti nei mesi scorsi dalla piattaforma ghanese alla volta dei terminal genovesi e poi arrivati, come destinazione finale, alla Iplom di Busalla.
L’azienda della Vallescrivia in questa vicenda si dichiara attore inconsapevole e privo di responsabilità. Ha regolarmente acquistato il greggio. Carichi, come spiega il presidente Giorgio Profumo, approvati dalle autorità del Ghana.
«Non ritengo proprio – aggiunge Profumo – che tra il greggio giunto alla Iplom ci sia petrolio nigeriano “rubato”, anche per le caratteristiche intrinseche del prodotto, che sono differenti».
Il problema, evidentemente, sta a monte. Il Wall Street Journal spiega che l’originaria provenienza del petrolio giunto in Italia non è chiara. Si tratta di tre carichi, elencati nei documenti di spedizione come “Saltpond miscela di petrolio greggio”. Due, nell’agosto 2013 e nel febbraio 2014, di circa 340 mila barili complessivi. La terza petroliera ha scaricato a Genova, nell’aprile di quest’anno, altri 132 mila barili.
Il quotidiano statunitense spiega quali sono i sospetti che gravano sulla piattaforma di Saltpond, che verrebbe utilizzata per trasbordare e contrabbandare in Europa il greggio nigeriano “rubato”: gli occhi degli inquirenti a stelle e strisce sono posati su questa base nell’ambito di un’inchiesta ancora più ampia sul fenomeno.
Qual è il quadro che viene descritto? Piccole navi cariche di greggio “non ufficiale” del delta del Niger dirigono spesso per scaricare a Saltpond.
La piattaforma si trova a sette miglia in mare aperto, davanti alla città dove vivono poco più di ventimila abitanti. La base Saltpond viene inaugurata nel 1978. Missione: pompare petrolio da un giacimento offshore. L’attività è intensa: nel periodo di massimo splendore produce più di un milione di barili all’anno.
Proprio da lì, secondo l’inchiesta americana, il greggio nigeriano viene mescolato con quello ghanese. Di fatto proviene quindi dalla Nigeria, ma attraverso questo espediente ottiene il certificato di origine del Ghana. A questo punto il petrolio viene trasferito su petroliere più grandi per il trasbordo in direzione dell’Europa. Il sospetto degli investigatori Usa e di quelli nigeriani è che Saltpond sia appunto una, ma non certo l’unica, destinazione che i contrabbandieri utilizzano per ricliclare, “ripulire” il greggio di contrabbando.
Tutto il quadro è inserito in una cornice precisa. Il governo della Nigeria ha scatenato, proprio negli ultimi mesi, un’offensiva inedita contro i trafficanti di petrolio illegale. Già nel dicembre 2013 le forze di sicurezza nigeriane sono intervenute con durezza, hanno chiuso ben 134 raffinerie abusive, proprio nella regione del delta del Niger, e hanno messo sotto sequestro due grosse chiatte utilizzate dai trafficanti.
L’operazione è scattata in tre stati (la Nigeria è una repubblica federale): quelli di Bayelsa, Rivers e Delta. Dopo il blitz, i numeri: la Nigeria perde miliardi di dollari ogni anno a causa del contrabbando delle risorse naturali. Al primo posto c’è ovviamente il greggio. Il governo di Abuja snocciola i dati ufficiali: sono circa 150 mila ogni giorno i barili che vengono sottratti in maniera illegale al settore produttivo.
Una quantità considerevole, tale da incidere sull’economia della nazione, anche se il paese produce quotidianamente circa due milioni di barili. La Nigeria è oggi (secondo i dati del 2013) il primo produttore di petrolio in Africa e il tredicesimo a livello mondiale. La stima sul greggio “rubato” assomma al cinque per cento dell’intera esportazione. Il mercato nero del petrolio nigeriano costa al governo del Paese due miliardi e mezzo di euro all’anno; denaro che viene convogliato verso chi gestisce le attività illegali.
Proprio per questo motivo, dopo le rivelazioni dell’inchiesta, è scattato il braccio di ferro tra Nigeria e Ghana. Le autorità nigeriane chiedono ai loro interlocutori di aprire un’inchiesta ufficiale; il Ghana ha fino a oggi risposto niet.
In Nigeria sono tre i metodi più utilizzati per “rubare” il petrolio. Il primo è il più empirico: le popolazioni locali riescono a effettuare allacci abusivi, dotati di rubinetti; poi il petrolio viene raffinato. Ma questa è l’attività dei più poveri e di solito non esce dal circuito locale.
La seconda tecnica prevede un grado molto più elevato di tecnologia. Lungo gli oleodotti vengono allacciate condotte abusive. Prelevano il greggio, che viene trasportato dalle chiatte sul delta del Niger, poi trasbordato su piccole navi che fanno da collegamento con le navi cargo, quelle di alto tonnellaggio, che attendono al largo. Operazione, quest’ultima, condotta soprattutto di notte.
Il terzo sistema è il furto direttamente dai terminal, con sifoni che riescono ad aspirare il petrolio stoccate e a caricarlo a bordo dei camion.
La Iplom di Busalla rivendica la correttezza del suo operato e la regolarità di ogni suo atto: «Abbiamo regolarmente acquistato il prodotto da una società di Houston». E in risposta all’inchiesta del Wall Stret Journal è arrivata la dura nota di risposta di Lushann International Energy Corporation, società che ha per l’appunto sede a Houston in Texas. Che cosa spiega la richiesta di smentita? Che la base di Saltpond è gestita da società che sono entrambe filiali della casa madre texana. E smentisce ogni legame con attività illegali, volendo così tutelare i sui clienti: «Lushann nega categoricamente queste accuse, noi non compriamo petrolio rubato dalla Nigeria. Pertanto non vi è alcun fondamento per tentare di collegare le operazioni di Lushann al greggio rubato dalla Nigeria».
Un sospetto inaccettabile, insiste Lushann, anche quando si va a vedere la qualità intrinseca del greggio: «I test di qualità effettuati da accreditate aziende di verifica mostrano una qualità diversa per Saltpond Blend, che non può essere confuso con un Forcados o Bonny Light (diverse qualità di greggio, ndr) o qualsiasi tipico prodotto nigeriano. Ad esempio, le caratteristiche specifiche di Saltpond, come il suo alto contenuto di sale, non possono essere ottenute con il greggio nigeriano».
Marco Menduni
menduni@ilsecoloxix