Antonella Barina, il Venerdì 17/10/2014, 17 ottobre 2014
STRAZIAMI, MA DI ARTE SAZIAMI
Quando Lee Miller arriva dagli Stati Uniti sognando di fare la fotografa, Man Ray è già un artista celebre nella Parigi d’avanguardia, quella di Picasso, Breton, Duchamp, Cocteau. È il 1929: lei ha 22 anni, è straordinariamente bella e i più grandi fotografi di moda l’hanno ritratta sulle pagine di Voglie. Lui ha 17 anni di più, è quotatissimo, collezionisti e vip se lo contendono. Ma quando Lee bussa alla sua porta, a Montparnasse, armata di una prestigiosa lettera di raccomandazione, le dicono che il maestro è in viaggio. Affranta, va a ordinarsi un Pernod; e al bar incontra proprio lui... Ha uno slancio: «Mi chiamo Lee Miller: sono la vostra nuova allieva». «Non prendo allievi. E sto partendo per Biarritz». «Anch’io», risponde geniale lei. Quel giorno stesso, i due viaggiano insieme su una cabriolet verso il Sud della Francia. Si ameranno per tre anni: intensi, esclusivi. Che spezzeranno il cuore a Man Ray. Lui le insegnerà tutto e la ritrarrà in scatti memorabili. Lei diventerà la sua assistente, la sua musa. Quando Lee, alla ricerca di uno spazio tutto suo, lo lascerà, stregata da altri uomini, e diventerà reporter di guerra (sarà la prima a fotografare l’inferno di Dachau), l’artista cercherà invano di esorcizzarla con infiniti collage dei ritratti di lei.
La passione tra Lee Miller e Man Ray – formidabile, fatale – è uno dei tanti incontri-scontri di coppia nel mondo dell’arte. Passioni che diventano anche sodalizi intellettuali, scambi di idee, influsso reciproco. Amori che a volte si trasformano in accanite competizioni. Legami romantici che possono fornire la chiave interpretativa di alcuni capolavori e addirittura invertire la rotta di certi percorsi artistici. Lo racconta C’eravamo tanto amati. Le coppie dell’arte nel Novecento di Elena del Drago (Electa, pp. 176, 16 euro), un volumetto agile, divertente, che ricostruisce i rapporti più o meno coniugali dei maggiori maestri del secolo scorso. Alternando dettagli noti ad altri meno. Pochi sanno ad esempio che, quando Gilbert e George si incontrano, a Londra, poco più che ventenni, e nel ’68 iniziano ad amarsi, vivere, lavorare, firmare, esporre indissolubilmente insieme, come un solo artista, George è già sposato con due figli. O che Robert Capa, il leggendario fotoreporter di guerra, è in realtà una creazione della sua compagna Gerda Taro, che prima vende le sue foto, poi è il suo manager, quindi – photo editor – porta le sue quotazioni alle stelle.
La scelta delle coppie, nel libro, è del tutto arbitraria, spiega l’autrice: sono 42 compagni di vita e di arte a rappresentare nazionalità, stili, epoche diverse. Dalla fin de-siècle di Rodin e Camille Claudel alla Belle Époque di Kandinskij e Gabriele Münter; dalla Parigi capitale dell’arte dell’epoca di Robert e Sonia Delaunay al nuovo epicentro newyorkese dei tempi di Pollock e Lee Krasner, fino al Messico di Diego Rivera e Frida Kahlo. E poi Rauschenberg e Jasper Jones, Mario Mafai e Antonietta Raphaël, Tinguely e Niki de Saint Phalle...
Spesso la scintilla scocca tra maestro e allieva, o tra celebrità e artista in erba – lui domina, lei asseconda; lui conduce, lei cede il passo – ma si esaurisce poi nel bisogno femminile di trovare un proprio spazio indipendente dall’ego ingombrante del mentore. Un riscatto che può finire in tragedia. Come nel caso di Camille Claudel, scultrice diciottenne, per la quale è impossibile resistere all’invito del celebre Rodin (che ha già 41 anni) a far parte del suo atelier, dove di solito lavoravano solo uomini. In breve la talentuosa Camille diventa la sua più stretta collaboratrice. E il suo grande amore. Che Rodin lancia sul piano artistico, ma illude su quello sentimentale: lui ha una moglie, promette, promette soltanto. Così lei fiera se ne va, per dedicarsi con passione feroce alla scultura e affrancarsi, diventando un’artista straordinaria. Ma, prigioniera di troppi fantasmi, viene rinchiusa per sempre in manicomio.
Un dramma che è anche di Leonora Carrington, surrealista dagli occhi blu, dopo tre anni di amore e lavoro in tandem con Max Ernst. Quando si incontrano, nel ’37, lei ha 20 anni, lui 46 ed è sposato con una che non molla. Sono costretti a rifugiarsi nella campagna francese, in un viavai di ospiti e creatività. Fino alla guerra. Lui è tedesco, un nemico: viene internato in un campo di detenzione. Lei cerca una strada sua, ma è fragile, troppo: i ricchi genitori inglesi la rinchiudono in un ospedale psichiatrico. I due si incontreranno anni dopo a New York: lei sposata a un messicano, lui a Peggy Guggenheim. Che ammetterà: «Leonora è l’unica donna che Max abbia mai amato».
A volte però l’affrancarsi dal proprio pigmalione è una mossa a lieto fine. Quando Alfred Stieglitz e Geòrgia O’ Keeffe si conoscono, nel 1915, lui è uno dei fotografi più in vista di New York, con una leggendaria galleria, lei una sconosciuta insegnante d’arte di provincia, in Texas. L’incontro avviene perché Stieglitz espone i disegni a carboncino di lei – straordinariamente erotici, provocatori – senza chiederle il permesso: Georgia gli piomba furente in galleria, dritta dal Texas. Ma, quando riparte, Alfred le scrive. E quando torna, si amano in un piccolo studio, dove lei dipinge e lui la fotografa. Si sposano. Lui la incoraggia, la introduce, fa conoscere i suoi quadri. Ma non rinuncia ad altre donne. E lei, da sempre indipendente, parte per il Messico: sola, dipinge i capolavori che oggi sono nei più grandi musei del mondo. Stieglitz, disperato, continua a scriverle: dal 1915 al 1946 si scambiano 25 mila lettere, tre o quattro al giorno, lunghe anche quaranta pagine.
Altro nodo di coppia spesso insolubile, la competizione. Che nel caso di Marina Abramoviç e Ulay diventa addirittura contesa fisica, in una Body Art tesa a superare all’infinito i limiti del corpo. I due partner d’amore e di performance si conoscono nel ’76, durante un’esibizione di Marina: lei si incide una stella a cinque punte sulla pancia e si frusta. Lui le cura le ferite e si innamora. Da quel momento a dominare la scena sarà lei. Kassell, 1977, la performance prevede che si schiantino di corsa contro colonne mobili, cercando di spostarle: il primo a mollare è Ulay. Sidney, Anni 80, i due si trasformano in oggetti inanimati, immobili, muti, digiuni: l’undicesimo giorno Ulay, ben più magro di Marina, non ce la fa più. Lei resiste. Sempre, su tutto. Fino all’addio.
Mentre diventa sfida sessuale la competizione tra Willem De Kooning ed Elaine Fried. Ambiziosa studentessa d’arte, è lei a sedurre il più promettente pittore della New York Anni 30: sogna, sposandolo, di diventare celebre con lui. Che le apre il mondo dell’avanguardia. Ma tra i due c’è un abisso. E per compensare la superiorità artistica di Willem, lei si esibisce come femme fatale. È guerra aperta, con una sfilza di amanti, casuali e non. Litigano violentemente. Bevono sempre di più. Mentre il successo di lui si fa immenso (anche grazie al sostegno di critici che vanno a letto con lei). Ormai Willem è ricco. Elaine, spiantata, non si lascia sfuggire l’ultima chance: si disintossica e torna a gestire la vita di lui agli esordi dell’Alzheimer (e la vendita delle sue opere). Tenta anche di farsi intestare ogni eredità, ma muore prima di lui.
Incontri e addii, amori e livori, altruismi e avidità. C’è chi porta avanti il proprio lavoro fianco a fianco, condividendo ideali, sfide, atelier, come accade a Rodchenko e Varvara Stepanova nell’utopia entusiasmante che segue la Rivoluzione russa. C’è chi accetta di rimanere nell’ombra, come Lee Krasner, sostegno, infermiera e tramite con gli altri per Jackson Pollock, genio dannato: per trasformarsi però, alla morte di lui, nella manager astuta e oculata di un immenso patrimonio di opere, una Yoko Ono delle aste. E c’è chi, come Christo, immagina di imballare il mondo, lo disegna, lo avvolge, lo nasconde, mentre la moglie Jeanne-Claude Denat de Guillebon rende ogni sua idea possibile con un paziente lavoro di contatti, raccolta fondi, mediazioni diplomatiche... Solo per avere il permesso di impacchettare il Reichstag, a Berlino, ci sono voluti 24 anni.
Antonella Barina