Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 21/10/2014, 21 ottobre 2014
IL PARTITO DELLA NAZIONE, UNA NUOVA FORZA POLITICA, O, MEGLIO, PER DIRLA ALLA RENZI, «È IL PROGETTO ORIGINARIO DEL PD»
«Io preferisco l’arroganza alla mancanza di ambizioni»: è uno dei motti preferiti di Renzi. Ma quando le aspirazioni sono alte, anche la sfrontatezza si può archiviare. Perciò chi si aspettava un premier irridente nei confronti della minoranza è rimasto deluso.
Certo, Renzi è rimasto fermo sulle sue posizioni ma ha replicato a tutti gli oppositori «con grande calma», come aveva preannunciato ai fedelissimi. Anche sulla Leopolda, disegnata come un partito parallelo. Però per uno la cui «ambizione per l’Italia non è fare meglio della Grecia, bensì della Germania», per uno che sogna di mettere un punto se non definitivo almeno «di svolta» sulle riforme «entro sei mesi», ingaggiare una polemica con Cuperlo o Fassina non è il caso.
Tant’è vero che quando è scoppiato il caso delle tessere del Pd e all’epoca il bravissimo Luca Lotti era riuscito a scoprire che non erano ancora pervenuti tra gli iscritti nomi di peso come quelli di Bersani, Fassina e Civati (com’è naturale che sia, quando non vi sono congressi locali in vista), Renzi non ha voluto assolutamente che queste notizie filtrassero all’esterno. A lui avrebbero fatto gioco. Al suo progetto no.
E il suo progetto è semplice: quello di prendere per mano il Pd e portarlo in un territorio più ampio, «offrirgli i nuovi consensi», che può dargli la Leopolda e non solo quella. «Perché — confida il premier agli amici — anche gli ex grillini ci stanno facendo delle avances». E così gli espulsi pentastellati diventano un potenziale bacino elettorale per quella forza politica che «va da Gennaro Migliore ad Andrea Romano», passando per i cattolici che non vogliono entrare nel Nuovo centrodestra.
Il «partito della Nazione», lo ha chiamato Alfredo Reichlin, il «partito degli italiani», ha preferito chiamarlo in tempi passati il premier. Il partito che fa paura alla minoranza di Largo del Nazareno perche non è la sinistra che si allarga al resto ma è una nuova forza politica, o, meglio, sempre per dirla alla Renzi, «è il progetto originario del Pd». Su questo il capo del governo ha pochi dubbi: «Per me bipolarismo significa bipartismo». Più chiaro di così.
Tradotto in legge elettorale: «Premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, sbarramento del 5 per cento e ballottaggio dal 40 in su». Certo, c’è un problemino che si chiama Berlusconi. Renzi però non è pessimista: «Vediamo — spiega ai suoi — perché lui ci sta ancora ragionando. Non ha chiuso tassativamente, come pure è stato scritto, anche se non ha ancora fatto un’apertura decisa e definitiva, però...». Però «si potrebbe presentare l’occasione adatta», insiste il premier. E c’è chi, in Forza Italia, giura che l’ex Cavaliere oscilla. E che, sotto sotto, si rende conto, che le aziende vengono prima di tutto e che quindi che senso avrebbe dare un dispiacere a Renzi? Verdini per ora lo frena, ma chi conosce il premier sa quanto possa essere insistente. E persuasivo.
Anche per questo, ieri, in Direzione, di tutto aveva voglia tranne che di mettersi a litigare con la minoranza interna, peraltro sempre più sparuta. Aveva cose più importanti da fare. «Il Jobs Act dobbiamo portarlo a casa a gennaio ed entro aprile dobbiamo dimostrare che cosa siamo capaci di fare», è il suo leitmotiv. Ossia ben prima dei famosi mille giorni di tempo che si era dato. Nel frattempo urge una decisione, che verrà presa ad horas: la sostituzione di Federica Mogherini agli Esteri. Renzi sembra orientato su Marina Sereni (anche se questa sua scelta potrebbe portare alle dimissioni del viceministro Lapo Pistelli), anche per rinsaldare il suo rapporto con Fassino, benché i bookmakers di Montecitorio non diano ancora in calo le azioni di una renziana di ferro come Simona Bonafè.
Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 21/10/2014