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 2014  ottobre 19 Domenica calendario

SERVIZI, SPRECHI E RIFORME I 44 ANNI DELLE REGIONI

Il braccio di ferro tra Stato e Regioni su risorse e denari va avanti da circa 13 anni, ovvero dalla riforma del Titolo V del 2001, che ha garantito a questi enti locali larga autonomia di spesa. Il taglio di 4 miliardi alle Regioni (inserite in Costituzione nel ‘48, ma create solo nel 1970)deciso da Matteo Renzi nella legge di Stabilità è dunque il vento che rinforza il fuoco di un incendio già in essere.
Ora i governatori sono sul piede di guerra, ma il governo non sembra intenzionato a tornare indietro. Pezzi di verità stanno da entrambe le parti. Perché, se è vero che nelle ultime manovre finanziarie gli enti locali si sono già visti sforbiciare parecchio i finanziamenti dallo Stato, con ricaschi pesanti sui servizi ai cittadini, è anche vero che dal 2001, ovvero dall’approvazione del Titolo V, le spese regionali sono schizzate verso l’alto. Non solo per l’aumento dei costi, ma anche per sprechi e ruberie che in questi anni hanno riempito le cronache giudiziarie italiane, da Batman Fiorito nel Lazio alle mutande verdi di Roberto Cota in Piemonte.
Secondo uno studio della Cgia di Mestre, infatti, nel decennio 2000-2010 le spese delle venti regioni italiane sono aumentate di 89 miliardi di euro, di cui 49,1 solo per la sanità. La spesa totale di questi enti è di circa 200 miliardi annui, euro più euro meno, ovvero il 25 per cento dell’intera spesa pubblica italiana. 1 miliardo, per esempio, è il costo annuo dei consigli regionali, mentre 170 milioni se ne vanno solo in vitalizi. Insomma, dal 2001, da quando hanno autonomia finanziaria, le uscite sono lievitate a dismisura, come un ciambellone nel forno: più 45 per cento. Perché? Le cause sono molteplici: aumento assurdo del numero dei dipendenti, aumento delle spese sanitarie e del trasporto locale, invecchiamento della popolazione che ha portato a un più 154,4 per cento il costo per l’assistenza sociale, alzamento degli stipendi di consiglieri e assessori regionali. E sprechi. Una montagna di sprechi. Ogni regione, infatti, si comporta come un piccolo stato sovrano. Di cui il governatore è il monarca assoluto e va in giro per il mondo come un piccolo imperatore. Solo così si spiega il proliferare delle sedi all’estero. A Bruxelles sono presenti sedi istituzionali di ogni regione. Ma se ne aprono a casaccio un po’ in tutto il globo, dalla Cina al Sud Est Asiatico fino al Sudamerica.
Prendiamo la spesa sanitaria. Nel 2000, prima dell’entrata in vigore del Titolo V, ammontava a 70 miliardi (1.215 euro per ogni cittadino). Nel 2015 arriverà a 115 miliardi (1.941 pro capite). Anche gli organici hanno subìto un notevole gonfiamento, arrivando, esclusa la sanità, a 78.679 dipendenti (dati 2013). Su questi la Confartigianato ha calcolato esuberi per 24.396 unità, ovvero si potrebbe fare a meno del 31 per cento di loro, poco meno di un terzo, con un risparmio di circa 2 miliardi e mezzo. Il record spetta alla Sicilia, con 19.165 dipendenti. Ma in proporzione, a vincere è la Valle d’Aosta con 29,6 dipendenti ogni mille abitanti.
La parolina magica è autodichìa. Tradotto: totale insindacabilità su come vengono spesi i soldi. Lo Stato centrale non può mettere becco. E tutto questo senza federalismo fiscale. Non vogliamo nemmeno immaginare cosa sarebbe accaduto se il cavallo di battaglia della Lega fosse diventato realtà. Nonostante questo, negli ultimi venti anni le imposte locali in Italia sono aumentate del 130 per cento. Poi ci sono le aziende partecipate (circa 10 mila), altra voragine mangiasoldi che ogni anno fa perdere un miliardo e 200 milioni allo Stato.
Naturalmente non si può fare di tutt’erba un fascio. Ci sono anche regioni virtuose, come la Lombardia, al netto degli scandali che hanno colpito la precedente giunta di Roberto Formigoni. Secondo una proiezione della Cgia, se tutte le Regioni fossero amministrate come il Pirellone, si potrebbe arrivare a un risparmio di 82,3 miliardi annui.
Detto questo, anche i governatori hanno la loro parte di ragione. Perché negli ultimi anni tutte le manovre finanziarie hanno drasticamente stretto i cordoni della borsa alle Regioni. Che dal 2011 hanno subìto tagli per 26 miliardi e 400 milioni: 4 miliardi nel 2011; 4,5 nel 2012; 5,3 nel 2013; 6,1 nell’ultima, quella del 2014. Più 6,5 miliardi di tagli complessivi alle Regioni a statuto speciale. Sempre meno denari, dunque. A fronte di spese sempre più elevate. Anche per la gestione dell’emergenza immigrati. Ora, infine, la stangata di Renzi di altri 4 miliardi, pari al 2 per cento del bilancio totale. E il braccio di ferro continua.
Gianluca Roselli, il Fatto Quotidiano 19/10/2014