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 2014  ottobre 19 Domenica calendario

IL DITTATORE KIM JONG-UN VUOLE UCCIDERE I SUOI CALCIATORI SCONFITTI DAI SUDCOREANI

Il primo pensiero va ovviamente a De Coubertin, il povero illuso dell’importante è partecipare: già ridicolizzato in mille manifestazioni sportive di ogni genere, trova la definitiva umiliazione in quel giardino dei diritti umani che è notoriamente la Corea del Nord. Sotto il controllo di Kim Jong-un, lo spietato pacioccone che non più tardi del dicembre 2012 ha giustiziato su due piedi lo zio, sospettato di remargli contro ai vertici del regime, sotto questo timido e schivo dittatore bisogna stare molto attenti anche giocando a calcio. Certo, anche da noi, lo sappiamo bene: basta vedere come finiscono certi Juve-Roma o certi Andria-Barletta. Ma vediamo di non perdere il senso delle proporzioni: per quanto dalle nostre parti non piaccia a nessuno perdere, fino al punto di farne guerre civili e guerriglie urbane, non è comunque niente rispetto a quanto sta succedendo in Corea del Nord.
Lì la nazionale ha effettivamente inciampato nella peggiore delle opzioni possibili: perdere all’ultimissimo minuto dei tempi supplementari, al 120’, per 0-1, in casa, la finale dei Giochi Asiatici del 2 ottobre, la prima fra i due Paesi dal 1978. Ma non contro un avversario qualsiasi: contro la Corea del Sud. Per chi conosca appena il clima delle relazioni tra le due Coree, non c’è altro da aggiungere: i giocatori non potevano inventarsi niente di più efficace per guastare l’umore del loro taciturno presidente. Pochi minuti dopo la tremenda sconfitta, se ne sono subito resi conto: le devote guardie del regime, note in tutto il mondo per la loro proverbiale umanità, hanno caricato sul pullman l’intero staff della nazionale e da quel momento non si hanno più notizie precise. Qualcuno dei nostri divoratori di «Gazzetta» potrebbe pensare che la squadra sia attualmente in ritiro al Palace Hotel, seicento euro a notte, per ritrovare l’amalgama. Ma l’ipotesi è abbastanza remota, in quel luogo particolare. Fonti autorevoli della libera stampa locale, nota al mondo intero per la sua indipendenza di linea e di pensiero, riferiscono che la nazionale sia andata a ritrovare l’amalgama in un carcere di massima sicurezza, sezione braccio della morte. Lì, cercando l’amalgama perduto, sono tutti in attesa di sapere se giocheranno la prossima partita. Come Balotelli, diremmo noi. Ma è un po’ diverso: in discussione non è tanto la loro prossima convocazione, quanto la loro vita.
Così funziona, in certe repubbliche popolari democratiche. Nessuno dei bambini nordcoreani sogna in queste ore di diventare campione come gli idoli della nazionale. Il clima attorno a questi eroi si sta facendo piuttosto pesante. Il Rodong Sinmun, organo del comitato centrale e ovviamente maggiore quotidiano nazionale, pubblica la loro foto gigante sotto a un titolo per niente beneaugurante: «Gli uomini che ci hanno rovinato». Nel commento a latere si sposa totalmente l’idea di una punizione esemplare, che noi non dobbiamo paragonare a quelle dei nostri, tipo Prandelli dimissionario e subito accasato al Galatasaray per cinque milioni l’anno: in Corea del Nord, per punizione esemplare, si intende l’esecuzione capitale sulla pubblica piazza.
Se siano macabre mostruosità inventate dai creativi sostenitori del regime per diffondere terrore nel Paese, oppure reali intenzioni per placare almeno un poco la rabbia del pacioccone Kim Jong-un, è molto difficile verificare: nessuno riesce mai a conoscere fino in fondo quanto avviene in quella repubblica popolare democratica. Tempo fa la Fifa appurò che per molto meno, dopo i Mondiali del 2010, i giocatori colpevoli di avere perso tutte e tre le partite del torneo subirono crudeli torture. Immaginando il peso specifico di una sconfitta in casa propria, nella finale dei Giochi Asiatici, al 120’, ad opera dell’altra Corea, l’ipotesi di una punizione più incisiva è scontata. Il mondo civile si augura che il pacioccone non oltrepassi comunque i limiti della sua ferocia. Forse, la notizia della condanna a morte non è vera. Il dramma è che in certi luoghi una simile notizia resta a tutt’oggi verosimile.
Cristiano Gatti, il Giornale 19/10/2014