Eva Cantarella, Corriere della Sera 19/10/2014, 19 ottobre 2014
QUELL’ATTO D’ACCUSA SUL DOLORE DEI VINTI E LA CRUDELTÀ DEI FORTI
Le Troiane di Euripide andarono in scena ad Atene durante le Grandi Dionisie, nel 415 a.C. La scena dell’azione era la spiaggia di Troia, caduta nelle mani dei greci. Gli uomini erano stati uccisi, le donne erano in attesa di sapere a quale dei vincitori sarebbero state assegnate come schiave. Ed ecco giungere la notizia: Cassandra era stata scelta da Agamennone, che se ne era invaghito. Sarebbe stata la sua schiava-amante. Andromaca, la moglie di Ettore, era stata assegnata a Neottolemo, Ecuba a Odisseo. Al centro della tragedia, dunque, stava la sorte dei vinti. Per Euripide la rievocazione delle imprese belliche non era occasione per celebrare l’eroismo di chi vinceva, era l’occasione per denunciare le stragi, le rovine, la disperazione che esse provocavano. Ma per capire e apprezzare a fondo le Troiane bisogna ricordare il contesto nel quale vennero rappresentate. Nel 416 l’isola di Melo aveva rifiutato di allearsi con Atene contro Sparta, promettendo peraltro la sua neutralità. Ma Atene non tollerava che la sua egemonia venisse messa in discussione e aveva attaccato l’isola, passato per le armi gli uomini e venduto donne e bambini come schiavi. Mettendo in scena le Troiane, neppure un anno dopo, Euripide sottoponeva coraggiosamente alla riflessione degli ateniesi la spietatezza della loro città, impegnata in guerre di conquista e di preda. E sembrava quasi prefigurare il destino al quale questa politica poteva portarla.
Eva Cantarella, Corriere della Sera 19/10/2014