Andrea Galli, Corriere della Sera 19/10/2014, 19 ottobre 2014
LIMOUSINE E CULATELLO, LE 48 ORE SEGRETE DEI LEADER
Dietro le quinte dell’Asem restano anche una limousine ammaccata, brandelli di fassona e culatello, una maglietta sudata. Chissà quale la rabbia del presidente russo Vladimir Putin, entrando nel portone della Prefettura, per la botta sulla carrozzeria causata da un’errata manovra dell’autista (oppure, dicono i maligni, dalle dimensioni sproporzionate della macchina rispetto al varco). Certo invece, e documentato dall’operazione di svuotamento dei piatti, è stato l’entusiasmo del premier spagnolo Mariano Rajoy, fuggito dalla cena ufficiale a Palazzo Reale per concedersi una ruspante mangiata in una trattoria di Porta Venezia. Infine probabile la soddisfazione, al di là della personale prova podistica, del primo ministro inglese David Cameron, protagonista di una corsa mattutina al parco Sempione: era un’alba di luce, di un’aria più da settembre che da ottobre avanzato, e Milano era bellissima. Avranno apprezzato anche quelli della scorta al seguito.
Il tema delle scorte è stato centrale, nel vertice euro-asiatico che in settimana ha portato a Milano 53 capi di Stato e governo. Laddove per scorte non si intendono solo quelle umane. Putin ne aveva altre cinque, incolonnate, di limousine uguali. Gli è bastato un rapido cambio di vettura e tutto come prima, più di prima. La sortita di Rajoy, per dire, è stata ben più complicata. Hanno dovuto imbastire al volo un piano di sicurezza esaminando il quale si capisce lo sforzo di poliziotti, carabinieri, vigili e finanzieri per un evento che l’Italia mai aveva organizzato nella sua storia. Perfino i diffidenti russi, per tacere dei maniacali cinesi, alla fine hanno dovuto magari non complimentarsi ma, ecco, riconoscere la bontà del lavoro questo sì. Si diceva del premier spagnolo. Giovedì sera, le autorità erano attese a Palazzo Reale, invitate dal capo di Stato Giorgio Napolitano per il gran galà; un centinaio i corazzieri dei carabinieri; spettava loro la gestione di Palazzo Reale, «bonificato» in angoli e cantoni, comprese le stanze della mostra di Segantini; delle autorità qualcheduno è arrivato a piedi, altri in macchina, mentre altri ancora non sono venuti per niente. A parte la delegazione mongola, che ha fatto caso a sé, alle prese con una compulsiva ininterrotta caccia agli acquisti di lusso, per la disperazione degli organizzatori, il tempo passava e di Rajoy nessuna traccia. Aveva per appunto scelto la trattoria e c’era andato, dopo il via libera degli investigatori. Prima erano stati esaminati il quartiere, il locale, il personale, la lista dei clienti prenotati; erano stati posizionati, sui palazzi vicini, dei tiratori scelti; erano stati studiati piani alternativi viabilistici per allontanarsi di fretta dalla trattoria in caso di pericolo o attentato; e s’era fatto ricorso a quote extra di personale, pronto come rinforzo, in aggiunta agli oltre quattromila uomini già in strada. Per ogni evenienza. Come un paio di occhiali.
A poche ore dal vertice al Centro congressi della vecchia Fiera, dalla delegazione indonesiana era partita l’allerta: non ci muoviamo dall’albergo. Cos’era successo? Che un pezzo grosso aveva rotto gli occhiali. Ne serviva subito un paio nuovo. Potenza della pubblicità: gli indonesiani avevano scelto sulla fiducia un negozio in piazza XXV Aprile e avevano chiesto di essere accompagnati sul posto. Peccato che in quel punto ci fosse la coda d’un corteo. Troppi rischi, marcia indietro. Bisognava cambiare. Un’ottica in piazza San Babila era perfetta come alternativa, e problema risolto. «Avessero avuto occhiali di scorta»: così avrebbero potuto dire agli indonesiani i cinesi, sbarcati con più del necessario, almeno a contare le 25 macchine in coda al premier Li Keqiang. A bordo han trovato posto il cuoco personale e l’aiuto cuoco, i camerieri, i responsabili del cibo (portato dall’Asia), gli addetti alla sicurezza accompagnati dai mezzi tecnologici di ultima se non addirittura prossima generazione. I cinesi erano alloggiati al Principe di Savoia. Non hanno voluto far entrare poliziotti e carabinieri; hanno preteso camere confinanti poi attrezzate di strumentazione per respingere le intercettazioni. Meno oltranzisti ancorché ugualmente prudenti i giapponesi: hanno chiesto con decisione d’essere informati di tecnica e tattiche delle scorte; come funzionavano, chi le effettuava. Si sono messi all’ascolto, marziali, inflessibili, inamovibili. Ognuno, s’intende, vive come vuole. Pure durante i vertici mondiali. Un nutrito gruppo della delegazione albanese, appena potuto, è scappato in Liguria. Non per il mare ma per il casinò di Sanremo.
Andrea Galli, Corriere della Sera 19/10/2014