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 2014  ottobre 19 Domenica calendario

«DODICI BOTI» CON VINO E AMICI

Mezzogiorno, dodici boti. In osteria per l’aperitivo. Qualche dondolo (tartufi di mare) e un bicchiere di bianco: «Assaggia questo Traminer. Non c’è di meglio con i dondoli». Arrivano altri amici. Un altro bicchiere: «Come va?». «Non xe mal». «Ti te ricordi?». «Xe bon sto bianco». «Ancora qualche dondolo?». Era un giorno di festa. Il giorno dei morti.
Un boto. Qualche amico va a casa. Ne arrivano altri a sostituirli. Si mangia: prosciutto crudo, sottaceti, jota, carne con le verze. Si beve rosso Teran. Per finire caffè e grappa. Quella buona istriana del contadino.
Do boti. Alcuni si alzano, vanno al cimitero a trovare i morti, altri in arrivo ne prendono il posto.
Tre boti. Un altro caffè. Ancora un bicchierino di grappa. Qualcuno astemio continua col vino ma chiede di cambiarlo «che el Teran xe un poco garbin». Si prova il Refosco, bicchieri per tutti. Discussioni sul vino che adesso xe tutto sofisticà e alla fine tutti concordano che il vino si divide in due sole specie: quel che xe bon e quel che non xe bon.
Quattro boti. Siamo in sette per batter carta. Manca uno per fare due tavoli. C’è l’oste.Quattro per la scopa e quattro per la briscola.
Cinque boti, sei boti, sette boti. Paga chi ha perso. Si ritorna al bianco. Non quello dei dondoli. Uno un po’ più secco. Un po’ di prosciutto crudo. Ma anche cotto, tipo Praga. Sempre tagliato a mano. Niente sottaceti. Rovinano il palato per il vino. Magari un pezzettino di formaggio. Si discute di politica. Il governo è sempre ladro. I tipi sono quasi tutti liberi pensatori.Di pallone si parla poco. La Triestina è in B. Si ricordano i bei tempi di Rocco, Valcareggi e Memo Trevisan. In compagnia ci sono anche due musicisti. Un artista pittore e un poeta. «Certo che Saba lui sì che era un poeta» e poi c’è uno delle assicurazioni e un altro che lavora in porto.Cioè che non lavora. «Xe na vergogna. Nessun che cariga. Nessun che scariga». Povero porto e povero anche il cantier. «Certo che sotto l’Austria... ».
Otto boti. «Xe proprio bon sto bianco, ma non xe de Istria?». «No, xe Tocai, Tocai del Collio». «Paron, porta do vovi duri. I mejo bianchi xe del Collio». «Sì ma dipende da cantina a cantina». «Paron, te gà do fasioi col radicetto?». «Ah, allora anche mi. Ma co do foie de rucola». «Bon, ve saludo, vado a casa che stasera go anche mia suocera». «Aspeta, vegnimo anche noi». Nel frattempo sono tornati quelli del cimitero, ma con le mogli. «Signora vuole un po’ di bianco?» «Grazie, co’ Spriz, magari anche un vovo duro, meglio non bere a stomaco vuoto».
Nove boti. Chi viene, chi va; per la cena siamo sempre in sette, con le signore in nove. «Paron cosa se magna?». «Jota avete mangiato a mezzo giorno, go pasta e fasioi». «Allora jota per le signore, noi sentimo questa pasta e fasioi». «La go fatta co le codeghe e ossa de prosciutto. Ve dago un bon rosso de furlania, un Merlot, i dise che lo bevevano anche i legionari di Giulio Cesare». «Signora la sua jota?». «Bona, certo come la faceva mia mamma!». «La mia iera brava de far patate in tecia». «Sta matina semo andai pescar». «Gavé ciapà?». «Si gavemo ciapà freddo». «Mona, perché non te metti il cul a nassa, te vedarà quanti pesci che te ciapi». «Bon questo rosso!» «Alla salute! cin-cin».
Dieci boti. «Sapete l’ultima? Quella dei due sordi?». «Ma non romper con le barzellette, raccontala domani ai colleghi delle assicurazioni».
Undici boti. «Paron, femo un giro de grappa». Intanto qualcuno incomincia a cantare: «Dove te ieri fino sta ora... iero in malora, iero a far l’amor». Non è proprio un coro, ciascuno canta per proprio conto. «La mula di Parenzo, ga messo su botega» un po’ meglio ma ancora troppe dissonanze. Pur appartenendo genericamente alla categoria degli stonati cerco di mettere un po’ d’ordine, perché confesso, in me c’è questa vocazione a dirigere, a dirigere un coro, e dirigo. Dirigo la celeberrima "Che belle tettine che ga la Marianna" con precise raccomandazioni sui tempi di esecuzione: adagio, poi allegro con brio per la parte iniziale,quella delle "tettine" con voci tenorili. Sul "cul" intervengono i bassi con il celebre "andante con rimpianto". Il finale naturalmente è maestoso ma sempre con rimpianto. E così insieme alle voci in coro sembra che vengano a galla anche i sentimenti migliori; e se gli ultimi evviva hanno la voce roca è un gran buon segno. Domani tornerà limpida.
Mezzanotte, dodici boti. È da più di dodici ore che sono seduto allo stesso posto. Qualcuno incomincia ad andarsene: «Buona notte». «Saluta a casa». «Domani sarà bello, andemo a pescar?». «Si, basta che non sia borin». «Paron, buona notte». Esco anch’io. «Se vedemo». Prendo la strada di casa, avvolto in un tepore di amicizia, di gratitudine.
E siccome in ogni felicità c’è sempre un’ombra di malinconia, camminando mi ritornano in mente identiche serate zaratine con amici di là che sono uguali agli amici di qua e mi tornano alle labbra i versi di quando cantavamo: «Val più un bicer de dalmato, che l’amor mio, che l’amor mio, mio proprio amor. Non voglio amar più femmine perché son false, perché son false nel fare l’amor... ».
Ottavio Missoni, Domenicale – Il Sole 24 Ore 19/10/2014