Gianni Mura, la Repubblica 19/10/2014, 19 ottobre 2014
IL VERO NO A OPTÌ POBÀ E IL FALSO COCCO DEL CT
Ci sono, anche nello sport, storie che sembravano chiuse e si riaprono. Come il caso-Bergamini, che del suicidio ha proprio poco. Come il caso-Pantani, più recente e complesso. Molti lettori in questi giorni mi hanno chiesto una previsione: a che risultati approderà la nuova inchiesta? Non lo so, sinceramente, ma un risultato importante l’ha già ottenuto: ha dimostrato quanto fosse stata approssimativa la prima inchiesta, quante omissioni o leggerezze siano andate in scena in quella stanza di Rimini. Ci sono indagini che scoprono e indagini che coprono, lo sappiamo da molto prima del 2004. Tanto vale aspettare le conclusioni di questa nuova inchiesta, che non riporterà né in bici né in vita Pantadattilo, ma un po’ di chiarezza certamente la porterà, e un po’ di giustizia forse.
Ci sono anche storie che si chiudono. In via definitiva, mi pare, quella tra Balotelli e Prandelli. «Non è un uomo vero, gli uomini veri ti dicono le cose in faccia mentre lui mi ha criticato coi giornalisti», ha detto Balotelli. Fossi Prandelli, rifletterei sul significato della parola gratitudine. E poi mi darei un pugno in testa o mi colpirei il petto recitando la formula di rito: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Perché gliel’avevano detto in tanti, a Prandelli: guarda che a rischiare più di tutti sei tu, incaponito sul ritorno del figliol prodigo. Ma lui dritto per la strada scelta: se c’è un grande calciatore potenziale che ha qualche problema e subisce molte critiche ho il dovere di recuperarlo per la causa azzurra, e poi uno così ti fa vincere certe partite da solo. Una su dieci, di sicuro. Sulle altre volendo si può discutere. Ho il sospetto che Prandelli abbia detto a Balotelli le cose in faccia, a un certo punto. Gli devono essere entrate in un orecchio e uscite dall’altro. Però una cosa Balotelli l’ha capita: che Prandelli è un ex ct e non gli serve più, quindi si sente autorizzato a dargli patenti poco generose. Che Conte è il nuovo ct e può servirgli. Tant’è che «fa bene a convocare Pellè, che segna nel campionato inglese, mentre io no». Pare che Conte sia intenzionato a richiamare Balotelli. Fosse così, al posto di Balotelli mi preoccuperei delle reazioni dei compagni e di quello che potrebbero dirgli in faccia. O che potrebbero dire alle sue spalle, ma in faccia a Conte: libera nos a Balo.
Il bello e il brutto, ma anche il fascino delle squadre, è che le fa qualcun altro. Puoi ritrovarti per compagno uno che non sopporti proprio, oppure viene ceduto quello con cui andavi più d’accordo, in campo e fuori. Succede nello sport ma anche altrove, nel nostro mestiere. Della morte di Marco Ansaldo ho saputo leggendo i giornali, il modo peggiore. E forse il modo migliore per andarsene è un colpo secco e via, ma non così giovani, non quando si sta cercando di attenuare il disagio dell’andata in pensione con le piccole gioie di questa porca vita: una bella mangiata sulle colline astigiane, da ravvivare coi micidiali peperoncini che si portava sempre appresso, come la coperta di Linus, un paio di bicchierozzi. Ho letto la notizia e i coccodrilli. Li ho trovati giusti, non di maniera, con l’affetto e la stima che Marco meritava. Ha scritto, non a lungo, anche per Repubblica, ma non è per questo che lo ricordo in questa rubrica. Molti, non solo uno stridulo comico ligure e i suoi seguaci, considerano quello del giornalista un mestiere sputtanato e in via d’estinzione. Può darsi, chi vivrà vedrà. Per ora, posso dire che Marco Ansaldo è stato un giornalista serio ma non musone, anzi dotato di un umorismo sottile, uno che controllava le notizie, che non ha mai rinunciato a pensare con la sua testa, che poteva scrivere di molti sport con cognizione di causa, come tutti quelli che hanno fatto la gavetta. E che ci mancherà molto. Gli sia lieve la terra.
Aterra è rimasta un’idea neanche male di Francesco Giuzio, potentino. Chiamare Optì Pobà una squadra composta solo da rifugiati politici e iscriverla alla terza categoria, l’ultimo dei campionati Figc. Ma dopo qualche giorno, leggo sulla Gazzetta, ha dovuto ripensarci. Un po’ perché mettere tutti in regola costerebbe 1.700 euro, un po’ perché la Figc, tramite comitato regionale della Basilicata, ha stabilito che una squadra che si chiama Optì Pobà non può essere iscritta. Ma perché? Perché no. Così, andiamo all’estero, a Lens. Cavani segna su rigore il 3-1 del Psg ed esulta al solito modo, mimando la mitragliata. L’arbitro Rainville lo ammonisce, perché esulta sotto al curva del Lens. Cavani protesta, gli tocca il gomito e l’arbitro estrae il secondo giallo. Sembra, ma non è certo, che a Torino Totti sia stato ammonito perché ha festeggiato sotto la curva della Juve. Ora, per evitare il mal di festa, sarà opportuno che i calciatori reprimano l’istinto di festeggiare dietro alla porta in cui hanno segnato oppure controllino in anticipo, prima dell’inizio, la composizione cromatica della curva. Tanto più che a festeggiare sotto la curva sbagliata non si rischia solo un cartellino giallo, ma che arrivi qualcosa sui denti. Ideona: e se si cominciasse a festeggiare nel cerchio del centrocampo, una sorta di terra di nessuno? Curiosa anche una multa di 2mila euro a Quagliarella per aver invocato, simulando, un rigore. Che probabilmente c’era. Ma era già stato ammonito dall’arbitro, quindi non si capisce la multa. Novità dall’estero. Leandro Damiao fa una furbata nella partita persa dal Sabros col Criciuma (0-3): si tira la maglia e cade. Sei turni di squalifica. Ci ripensi: l’autosgambetto rende più dell’autotirata.
Gianni Mura, la Repubblica 19/10/2014