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 2014  ottobre 18 Sabato calendario

LA POLITICA ECUMENICA DEL PREMIER

La manovra economica conferma una volta di più quello che molti eventi politici di questo 2014 si sono incaricati di mostrare con chiarezza via via crescente: Renzi è l’esito, ma al contempo pure l’acceleratore, di una mutazione profonda del nostro spazio pubblico - trasformatosi ormai a tal punto da non avere quasi più niente in comune con quello che abbiamo conosciuto dal 1994 al 2011.
La frattura politica fra lavoratori autonomi, propensi a votare destra, e dipendenti pubblici, tendenzialmente schierati a sinistra, coi dipendenti del settore privato a oscillare di volta in volta fra un polo e l’altro, ha rappresentato uno degli elementi più evidenti e costanti del «ventennio berlusconiano». Era un elemento piuttosto originale rispetto all’epoca ancora precedente: nella «prima» repubblica i flussi elettorali dipendevano meno dalle divisioni economiche e sociali, e più da quelle culturali e territoriali - zone bianche contro zone rosse.
In maniera forse un po’ grossolana ma tutto sommato corretta, è possibile sostenere che negli Anni Settanta e Ottanta l’inflazione prima, il debito pubblico poi riuscissero a rimarginare la scissione fra pubblico e privato. Quando è diventato impossibile ricorrere all’inflazione e al debito, non soltanto la repubblica dei partiti si è liquefatta, ma la nuova repubblica bipolare nata allora si è incardinata proprio su quella scissione: a chi sarebbe toccato pagare il conto salatissimo che si era ormai accumulato - al privato con più tasse, o al pubblico con una drastica cura dimagrante?
Da un lato la prolungata crisi economica col suo potere «livellante», dall’altro il tramonto del berlusconismo e l’incapacità del Partito democratico di approfittarne, paiono aver disarticolato negli ultimi anni il rapporto fra schieramenti politici e interessi sociali che così tanto aveva pesato dopo il 1994. Gli studi sulle ultime elezioni nazionali, del febbraio 2013, lo mostrano chiaramente: liberi professionisti e imprenditori, e in misura minore commercianti e artigiani si sono spostati dal centrodestra verso Scelta Civica e il Movimento 5 stelle. Ma è significativo pure che queste due forze abbiano mietuto larghi consensi fra gli insegnanti, tradizionalmente legati al centrosinistra.
Anche su questo come su altri terreni - per esempio la giustizia - Renzi sembra aver preso atto della fine di un’epoca ed essersi compiutamente proiettato nell’età post-berlusconiana, con la determinazione ferma di trarne il massimo profitto politico possibile. La legge di stabilità può così essere letta per un verso come uno sforzo «ecumenico» rivolto a tutti o quasi tutti i diversi interessi sociali, per un altro, e in maniera più specifica, come il tentativo di ammettere ai benefici di quest’«ecumenismo» categorie già berlusconiane come imprenditori e partite Iva. Categorie del resto che, soprattutto in alcune aree del Paese, già qualche mese fa alle elezioni europee hanno espresso una certa fiducia al presidente del Consiglio, per quanto timida e provvisoria.
Ma come può Renzi spostarsi verso destra senza perdere terreno a sinistra? Lo può per due ragioni. La prima squisitamente politica: perché, oltre al centrodestra, è da tempo in crisi profonda anche l’area alla sinistra del Pd, che fatica perciò enormemente ad approfittare del riposizionarsi dei Democratici. Tanto che l’opposizione più robusta al presidente del Consiglio viene o da dentro il suo stesso partito, oppure dai sindacati e dalle Regioni. Di questo Renzi deve ringraziare pure Grillo: che ha raccolto una gran quantità di voti di sinistra; se li è portati sul terreno dell’antipolitica, «al di sopra» delle divisioni tradizionali fra moderati e progressisti; e lassù li ha congelati, rendendoli nei fatti politicamente irrilevanti.
La seconda ragione per la quale Renzi riesce a impersonare al contempo il «presidente impiegato» e il «presidente imprenditore» va invece cercata nel fatto che la manovra finanziaria - come hanno sottolineato in molti - è chiara nel dare ma assai meno nel togliere. C’è qualcuno che sia davvero in grado di spiegarci quali categorie di preciso pagheranno i 15 miliardi di tagli della spending review, o i 3,8 che dovrebbero provenire dal contrasto all’evasione? Anche a prescindere da come la legge sarà valutata a livello internazionale - a Bruxelles e dai mercati finanziari - sarà intorno a questi nodi che si riapriranno in Italia i conflitti. Ma ci vorrà del tempo. E il lungo periodo, com’è ormai evidente, è materia per gli analisti assai più che per i politici.
Giovanni Orsina, La Stampa 18/10/2014