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 2014  ottobre 18 Sabato calendario

NON SI VIVE DI SOLA TIVÙ

Giovedì 16 ottobre si sono ritrovati tutti nella villa di famiglia di via Rovani a Milano: Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi hanno aspettato assieme a papà Silvio la visita di Vladimir Putin all’ex presidente del Consiglio italiano. È dunque probabile che, in attesa dell’arrivo del presidente russo nella residenza milanese dell’ex Cav, la famiglia Berlusconi al gran completo abbia avuto modo di affrontare il tema della sistemazione della partecipazione detenuta da Fininvest in Mediolanum. Una questione diventata d’attualità dopo la decisione della Banca d’Italia di imporre alla holding di alienare il 20,1% su una partecipazione complessiva del 30% in virtù della perdita dei requisiti di onorabilità da parte dell’ex premier per la condanna nel processo sui diritti Mediaset, decisione che negli ambienti finanziari viene ormai considerata come una sorta di detonatore di un prossimo big bang della galassia Fininvest.
Si tratta dunque di una partita delicatissima, il cui esito non è affatto scontato, considerato che qualsiasi soluzione tecnica il cda della holding (che dovrebbe riunirsi a strettissimo giro) deciderà di seguire, il perimetro del gruppo ne uscirà completamente modificato, con impatti non trascurabili sia sui flussi di cassa futuri sia sul valore complessivo dell’impero Fininvest. Due variabili già ora importantissime per i cinque figli dell’ex premier (titolari ciascuno di una quota del 7,6%), ma che assumeranno ancora maggiore rilevanza nel momento in cui Berlusconi deciderà in che modo spartire tra loro il 61% della holding tuttora in suo possesso. Se finora, infatti, il gruppo finanziario presieduto da Ennio Doris aveva rappresentato una delle cash cow della holding presieduta da Marina Berlusconi, fondamentale negli ultimi anni per compensare il progressivo assottigliarsi del flusso di dividendi garantiti dalle tv di Mediaset, l’uscita dal perimetro del gruppo del 20% di Mediolanum renderà ancor più stringente il legame tra le sorti di Fininvest e quelle delle attività televisive ed editoriali (Mondadori) che non sembrano più offrire gli alti ritorni garantiti prima della crisi. Tra il 2009 e il 2014 la casa editrice di Segrate, colpita dalla crisi del mercato pubblicitario (specie nel segmento dei periodici) e alle prese con un importante processo di ristrutturazione, ha staccato dividendi solo nel 2011 (22,23 milioni) e anche le tv del Biscione, affidate alle cure del presidente Fedele Confalonieri e guidate da Pier Silvio Berlusconi, sono due anni che lasciano a secco Fininvest. E c’è chi teme che il copione possa ripetersi anche il prossimo anno, considerato che la perdita di ascolti a favore della Rai in un contesto del mercato pubblicitario ancora debole potrebbe avere impatti sui flussi di cassa attesi dagli azionisti non facilmente compensabili con le risorse incassate recentemente con le cessioni di asset. Se è infatti vero che nell’ultimo anno Mediaset ha incassato attraverso dismissioni più di 760 milioni di euro (283,7 milioni dal 25% di Ei Towers, 380 milioni dalla partecipazione nella spagnola Digital+ e altri 100 milioni dalla cessione dell’11,11% di Premium a Telefonica), è altrettanto vero che tali risorse serviranno a finanziare gli importanti investimenti effettuati dal gruppo per aggiudicarsi i diritti televisivi della Champions League (l’esclusiva per il triennio 2015-2018 è costata 1,11 miliardi) e della Serie A (altri 660 milioni per trasmettere sul digitale terrestre le partite dei principali club sempre nel periodo 2015-2018). A questo si aggiunge il fatto che tra gli asset nel portafoglio di Fininvest ce n’è uno in particolare che oltre a non generare cassa per gli azionisti ne brucia invece in maniera consistente. Si tratta del Milan, guidato dall’autunno del 2013 dalla «strana coppia» formata da Barbara Berlusconi e Adriano Galliani. Nonostante l’austerithy imposta dalla capogruppo alla società rossonera, coincisa con le cessioni di Thiago Silva e Zlatan Ibrahimovic nell’estate 2012, nelle ultime due stagioni Fininvest è dovuta intervenire versando nelle casse del club circa 37 milioni. E il conto salirebbe a una media di circa 50 milioni a stagione se si estendesse il periodo considerato agli ultimi 6 esercizi (2008-2013), coincisi con la vittoria di due soli trofei (lo scudetto 2010/11 e la Supercoppa italiana 2011/12).
Si comprende, dunque, perché in un contesto come questo la riduzione, imposta dalla decisione della Banca d’Italia, dei flussi di cassa derivanti da Mediolanum potrebbe rendere meno agevole per la holding sostenere il processo di rilancio delle altre società partecipate. Solo negli ultimi due anni infatti la società guidata da Ennio Doris ha fruttato alla holding di via Paleocapa cedole per circa 85 milioni, cui si sono aggiunti a fine 2013 altri 253 milioni in virtù del collocamento del 5,61%. È pur vero che, l’esito del negoziato con Via Nazionale, che consentirà a Fininvest di parcheggiare il 20% di Mediolanum in un trust procedendo senza fretta alla cessione della quota (il termine è fissato in 30 mesi) potrebbe mitigare l’impatto negativo, ma è altrettanto vero che al termine del periodo indicato, se non ci sarà un riassetto generale del gruppo, Fininvest vedrà il suo patrimonio prevalentemente concentrato su Mediaset. Attualmente infatti la quota del 41,29% nelle tv del Biscione (al netto del premio di controllo) pesa per circa il 33% sul valore netto degli asset di Fininvest (calcolato sui prezzi di borsa del 13 ottobre). Si tratta di un peso pressoché analogo a quello della partecipazione (attualmente del 30%) in Mediolanum, che impatta sul net asset value (nav) della holding per circa il 29%, che però è destinato a ridursi in modo importante alla luce del diktat di Bankitalia.
La rimodulazione dei pesi delle partecipazioni sull’attivo del gruppo dipenderà ovviamente dalla decisione che Berlusconi e figli decideranno di prendere in merito alla sistemazione della quota del 20% in Mediolanum. Se gli eredi dell’ex Cav decidessero di mettere mano al portafoglio per farsi carico subito (o nel medio termine) di parte della quota, contribuirebbero a finanziare direttamente Fininvest, che avrebbe così le risorse per puntare su un investimento alternativo capace di bilanciare, come fatto finora dal gruppo guidato da Massimo Doris, la partecipazione in Mediaset.
Ma, come riferito dalle cronache dell’ultima settimana, una cessione ai figli aprirebbe un problema di ripartizione della quota (cinque in parti uguali o due grandi tranche paritetiche spartite tra i figli di primo e di secondo letto). Al contrario, in caso di donazione (è circolata anche questa come ipotesi sul tavolo dei consulenti legali del gruppo), se da un lato i figli dell’ex premier eviterebbero di dover mettere mano al portafoglio, dall’altro la holding si priverebbe di una parte importante del proprio attivo senza incasserebbe risorse. Se così fosse, Fininvest, da holding di partecipazioni quale è attualmente, si trasformerebbe di fatto nella capogruppo di Mediaset e per poter remunerare i suoi azionisti potrebbe contare solo sui flussi che arriveranno dalla televisioni. Flussi che, a detta di alcuni osservatori, potrebbero diventare più certi, garantendo così alla famiglia Berlusconi una rendita futura, solo nell’ambito di una grande operazione straordinaria che traghetti la stessa Mediaset in un gruppo multimediale di respiro europeo. Da tempo di vocifera di un possibile avvicinamento tra le tv del Biscione e Telecom, favorito anche dal prossimo ingresso nel capitale del gruppo telefonico da parte della Vivendi presieduta da Vincent Bolloré. «Tutto è possibile», ha detto recentemente Confalonieri, «Se ne parla da decenni, ma è più semplice a dirsi che a farsi. Sono cose molto complicate». Ma finora dal fronte Telecom non sembrano essere arrivate aperture, almeno in forma ufficiale, visto che proprio nei giorni scorsi il presidente Giuseppe Recchi ha ribadito che il gruppo telefonico non ha «alcun progetto in comune con Mediaset».
Andrea Di Biase, MilanoFinanza 18/10/2014