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 2014  ottobre 20 Lunedì calendario

NELLE CELLE ITALIANE 23 CORSARI

Sono sbarcati dalle navi che infestano i mari a largo della Somalia per approdare nelle aule del tribunale penale di Roma. Sono ormai ventitre i pirati reclusi nei penitenziari italiani. Manovali, mediatori e soggetti appartenenti a frange terroristiche somale sono già stati condannati in via definitiva. La pena più severa è stata inflitta al capo della banda che assaltò la nave italiana Montecristo. L’uomo è stato condannato, nel novembre 2012, a scontare 19 anni di reclusione. È andata leggermente meglio ai suoi complici, sette in tutto: dovranno trascorrere sedici anni nelle patrie galere. Sono ancora dei ragazzi, hanno tra 18 e 22 anni, ma il 10 ottobre 2011, mentre assaltavano il cargo italiano della compagnia livornese D’Alessio, erano armati fino ai denti. All’azione criminale parteciparono anche quattro minori, il Tribunale li ha condannati a otto anni di reclusione.
L’indagine, condotta dal sostituto procuratore romano Francesco Scavo, si basava su fondamenta solide e così ha retto fino in Cassazione. Uno sforzo minore, almeno a livello processuale, è servito per condannare i pirati che il 15 gennaio 2012 avevano tentato di abbordare la nave cisterna italiana Valdarno. Gli undici somali patteggiarono la pena: tre anni e sei mesi di reclusione.

MONTECRISTO
Era l’alba del 10 ottobre 2011 quando i pirati somali avevano attaccato la motonave italiana Montecristo. A bordo, i ventitre uomini dell’equipaggio erano stati catturati. Oltre al comandante Diego Scussat, vi erano sei cittadini ucraini, dieci indiani e sei italiani: due ufficiali e quattro addetti alla sicurezza. Venivano tutti da un lungo viaggio. Stavano trasportando materiali ferrosi da Liverpool al Vietnam e avevano appena attraversato il Golfo di Aden, scortati da una nave da guerra giapponese. I pirati erano bene organizzati, avevano studiato l’equipaggio, monitorato i percorsi e sapevano dove bisognava attaccare. Quel giorno abbordarono la nave a 620 miglia dalle coste somale, in una zona più a Est rispetto all’area dove terminano solitamente le scorte delle flotte internazionali, quelle mirate a ridurre il rischio della pirateria. I pirati inizialmente erano solo in cinque, a bordo di una piccola barca a motore cercavano di abbordare quel cargo di 56mila tonnellate. Il capitano aveva lanciato l’allarme, poi le comunicazioni erano state interrotte. Le piccole imbarcazioni dei pirati, gli skiff, si erano infatti sganciate dalla nave madre e avevano conquistato la Montecristo. Dopo 24 ore e diversi colloqui tra la Farnesina e il governo inglese, era scattato il blitz delle forze speciali americane e britanniche. I pirati si erano arresi e la Montecristo aveva potuto riprendere la sua rotta.

VALDARNO
Tre mesi dopo, il 15 gennaio 2012, altri somali avevano cercato di appropriarsi della Valdarno, un’imbarcazione che navigava a circa 250 miglia da Salalah, al largo delle coste omanite. Questa volta erano state le misure di prevenzione messe in atto dalla marina militare italiana a mettere in salvo il natante. L’equipaggio della Valdarno infatti, dopo aver lanciato l’allarme via radio, aveva atteso i soccorsi nella cittadella, il locale blindato della nave. Dopo poche ore la fregata Grecale, l’unità missilistica della marina italiana che opera nel contesto dell’operazione antipirateria Ocean Shield, era già atterrata a bordo della nave sequestrata con il suo elicottero. Successivamente la fregata aveva abbordato la Valdarno e fermato un dhow, una tipica imbarcazione araba. A bordo c’erano undici somali. Accusati dal sostituto procuratore Francesco Scavo di pirateria, tentato sequestro di persona con finalità di terrorismo e detenzione di armi da guerra, i pirati avevano tutti patteggiato la pena: tre anni e sei mesi di reclusione.

OPERAZIONI INTERNAZIONALI
L’incremento del fenomeno della pirateria ha comportato una ferma presa di posizione a livello internazionale. Se le navi italiane sono state salvate è grazie alle missioni Ocean Shield e Atlanta, messe in campo dalla Nato. In pratica gli Stati Uniti e l’Unione Europea inviano le navi della Marina militare per sorvegliare permanentemente le acque dell’Oceano Indiano, quelle considerate più esposte agli attacchi dei pirati. Le navi italiane, come quelle provenienti da altri Paesi, devono prevenire ed eventualmente reprimere gli attacchi alle navi mercantili in transito.

DIRITTO
Numerosi problemi sorgono invece quando si parla degli aspetti legali. Basti pensare che in tutta Italia vi è un solo sostituto procuratore che, di fatto, si è occupato del fenomeno a livello giuridico: proprio Francesco Scavo, della procura di Roma. L’azione penale invece, come previsto dal diritto internazionale marittimo, prevede la giurisdizione dello stato che, attraverso l’azione della Marina militare nazionale, riesce a catturare i pirati. La pirateria infatti è il primo crimine della storia per cui è prevista la giurisdizione universale.