Filippo La Porta, Il Messaggero 20/10/2014, 20 ottobre 2014
QUANDO IL CIBO È UN CHIODO FISSO
Se capitate verso l’una al mercato di Testaccio vedrete una lunga fila - tanti americani! - davanti a un banco che annuncia panini un po’ speciali, con dentro spezzatino alla picchiapò, o al lesso, o trippa… È lo street food che impazza, trasformatosi recentemente da umile cibo per lavoratori frettolosi in “pietanza da gourmet”, rielaborazione di una cucina di scarti e recuperi. Il che va bene come avventura fuori casa, priva di freni inibitori, e come risposta al fast food globalizzato, ma se diventa “mistica del territorio” e se privilegia il mangiare in piedi e per strada allora si contrappone a una auspicabile, sana convivialità e ai rituali sociali della tavola.
L’OLIO SASSO
Questa la tesi di Gianfranco Marrone, saggista e docente di semiotica, che con “Gastromania” ci offre, fedele al suo amato Roland Barthes, una fenomenologia accurata della attuale fregola del cibo, riassumendo tutti i film dedicati all’argomento(dalla “Grande bouffe” e dal “Pranzo di Babette” fino a “Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa”, “Ratatouille” e “Chef”), citando i personaggi letterari appassionati di cucina (specie il giallo: Nero Wolfe, Maigret, Pepe Carvalho, Montalbano), scrutinando i blog culinari e analizzando criticamente le varie trasmissioni gastronomiche, spaziando dallo spot (incongruo) sull’olio Sasso alla psicanalisi, dalle strisce di Linus alle storiche trasmissioni di Mario Soldati.
CHILOMETRO ZERO
Scopriamo così alcune conseguenze della mitologia dell’alimentazione. Come la mania delle diete, quasi tutte inutili e interminabili (ce ne sono 30.000, con relativa ossessione numerica per le calorie) e il fatale corollario della “ortoressia” – attenzione abnorme alle regole alimentari – che genera identità e diventa principio primo e ultimo dell’esistenza. O come l’ideologia del chilometro zero, della filiera corta: una cosa in sé sacrosanta ma che dimentica come «le cucine del mondo, per quanto locali e chiuse», non si siano «mai basate esclusivamente sui prodotti del territorio».
Qui Marrone, sfidando l’impopolarità, descrive l’agguerrito marketing del cibo biologico, che usa l’ambientalismo per i propri scopi commerciali (spesso occultati), con i brand che richiamano espressioni come “bio”, “natura”, “vivi verde”, “organic”, “dalla terra”…
Insomma la gastronomia è un fenomeno sociale complesso, variegato, che a volte genera polemiche roventi (ad esempio quella sul vino biologico: per alcuni puzza, per altri esalta la biodiversità), che non si può in alcun modo ridurre a una moda tra le altre. E non a caso la disamina dell’autore comincia con questa notazione sociologica: per la prima volta oggi un giovane in cerca di successo aspira non più a fare il calciatore, il cantante, l’anchorman, l’imprenditore, ma semmai il cuoco iperstellato.
LA CONDIVISIONE
Marrone sottolinea in modo puntuale certi comportamenti deteriori legati a questo “megatrend culturale” che è la pervasiva mania gastronomica: faciloneria, eccesso di chiacchiera, trasformazione dello chef in opinion leader, prevalenza in TV dell’assaggio rispetto al semplice mangiare e godere il cibo, etc. Però l’accento è più sulla voglia di vivere, sulla ritrovata convivialità: «Le nostre piccole abbuffate quotidiane saranno forse banali, insensate, eppure euforiche, ottimiste, fiduciose». Il suo elogio della gastromania intesa come piacere di stare insieme, riscoperta del gusto, condivisione di valori stando seduti attorno al desco, contro «le irritanti sicumere dei tecnocrati», è a tratti commovente e argomentato in modo persuasivo.
Ma non ce ne vorrà se alla fine pensiamo che avesse ragione Tommaso d’Aquino, qui citato come “filosofo di buon senso”. Il quale insisteva sul fatto che «non bisogna praticare il cibo come valore assoluto che dimentichi tutti gli altri», e invitava a una giusta misura sia i crapuloni che le sante anoressiche. Questo il vero rischio della ossessiva gastromania attuale: abituarci all’idea di un piacere unico, lievemente dispotico, che tende a fare terra bruciata intorno a sé.
Filippo La Porta