Notizie tratte da: Pierluigi Basile, Diego Gavini, Dino Paternostro # Una strage ignorata (sindacalisti agricoli uccisi dalla mafia in Sicialia 1944-1948) # Agra Editrice 2014., 20 ottobre 2014
Notizie tratte da: Pierluigi Basile, Diego Gavini, Dino Paternostro, Una strage ignorata (sindacalisti agricoli uccisi dalla mafia in Sicialia 1944-1948), Agra Editrice 2014
Notizie tratte da: Pierluigi Basile, Diego Gavini, Dino Paternostro, Una strage ignorata (sindacalisti agricoli uccisi dalla mafia in Sicialia 1944-1948), Agra Editrice 2014.
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«Il giorno 2 settembre 1943 una pattuglia composta dall’appuntato dei carabinieri Rocchi Renato, dal carabiniere Mancino Antonio, e dalla guardia giurata Barone Giuseppe e Mangiaracina Vincenzo perlustrava la località “Quarto Molino”, agro del comune di San Giuseppe Jato, per la repressione dei delitti annonari (relativi alle derrate alimentari, ndr). Verso le 12 la pattuglia procedeva al fermo di un giovane il quale proveniente dal comune di San Cipirello, percorreva la trazzera denominata "Jato”, trasportando abusivamente, con un cavallo, due sacchi di grano dal peso complessivo di chilogrammi 101. Il giovane a mezzo della carta di identità da lui stesso esibita veniva identificato per Giuliano Salvatore di Salvatore, contadino, da Montelepre. [...] Il carabiniere Mancino, attinto al torace da un colpo di pistola esploso dal Giuliano, si abbatteva sul terreno, mentre il feritore, raggiunto di corsa un vicino folto canneto, riusciva a deliguarsi (sic)» (sentenza della Corte di Assise di Cosenza contro Giuliano Salvatore per l’omocidio del carabiniere Antonio Mancino, commercio illegale di grano e altri reati, emessa il 24 luglio 1947).
«Tanto era il piacere che trasevino li americane che neanche sentevino paura. Pare che li americane non botavino bombe ma butavino celate, di quanto era stubita la popolazione in quei ciorne» (Vincenzo Rabito, Terra Matta).
«Recoddo che era il 20 luglio 1943, che fu l’ultima ciornata che i tedesche erino in quella zona. L’italiane erimo tutte sicuro che venire l’americane eri lo stesso che venire il Signore colla Madonna affare arrechire a tutte. E quinte, erino tutti sodisfatte che perdimmo la querra. Così, i tedeschi ebiro la peggio» (Vincenzo Rabito, Terra Matta).
Nell’ottobre 1944, il ministro dell’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, emena il decreto n. 279 che riconosce ai contadini riuniti in cooperative il diritto di ottenere in concessione le terre incolte e mal coltivate degli agrari.
19 ottobre 1944, Palermo. Una manifestazione di impiegati comunali che chiedevano l’aumento dei salari ai quali si aggiungero donne, disoccupati e artigiani, arrivata davanti alla sede delle prefuttura fu respinta dall’esercito con fucili e bombe a mano, causando così la morte di 26 persone e il ferimento di 156. Fu chiamata la «strage del pane» e il processo si concluse senza riconoscere responsabilità.
Tra il 1945 e il 1946 si ebbero in Sicilia le lotte per la terra, che continuarono fino al 1950. Coinvolsero centinaia di migliaia di contadini, specie nella parte centro-occidentale. Ad incoraggiarle i primi governi di unità nazionale.
Nel secondo dopoguerra in Sicilia dominava ancora il latifondo. Nel 1946 le proprietà che superavano i 50 ettari possedevano il 40% della superficie agraria. 282 latifondisti avevano il 10% delle terre agricole siciliane, e i 4/5 dei contadini non possedevano neanche un pezzetto di terra.
Nel 1946 continue agitazioni delle più diverse categorie di lavoratori siciliani: zolfatai, netturbini, metallurigici, dipendenti pubblici, operai, ecc. A Caccamo una «caccia al grano» finì con l’uccisione e il sequestro di alcuni agenti: lo Stato dovette intervenire schierando 520 militari, 180 agenti delle polizia e 8 autoblindo.
Dopo le lotte le prefetture emanarono i primi decreti di concessione delle terre incolte ma i grossi latifondisti cominciarono a ostacolare le procedure di assegnazione, paralizzando il lavoro delle commissioni provinciali che avevano il compito di esaminare le domande. Di fronte all’aperto ostruzionismo degli agrari, i contadini protestavano intensificando le invasioni dei feudi incolti o mal coltivati.
Storica antogonista delle rivolte dei lavoratori, soprattutto del movimento contadino: la mafia. Dopo gli anni di silenzio seguiti agli arresti e ai processi degli anni Venti al tempo del prefetto Mori, sin dallo sbarco degli Alleati mostra nuovamente chiari segni di vitalità.
«I mafiosi, gli ex confinati del fascismo, si presentavano agli occhi dei liberatori come antifascisti perseguitati e nello stesso tempo mostravano la loro capacità di mantenere e gestire l’ordine anche in una situazione di grave instabilità e di improvviso collasso delle istituzioni statali».
A Villalba, paesino della zona interna della provincia di Caltanissetta, Calogero Vizzini, a quel tempo «padrino dei padrini» e autorità più eminente dell’onorata società siciliana, in quanto abile leader delle affittanze collettive e in virtù del suo «martirio antifascista», gli americani lo scelsero come sindaco.
Quello di Andrea Raja fu il primo delitto mafioso del secondo dopoguerra in Sicilia. Assassinato a Casteldaccia, vicino Palermo, il 5 agosto 1944. Era membro per conto del Pci della Commissione comunale per il controllo dei granai del popolo. «Puntiglioso, si scontrò presto con l’amministrazione comunale».
Il 16 settembre 1944 Girolamo Li Causi, segretario regionale del PCI, fu ammazzato durante un comizio a Villalba
Nunzio Passafiume, sindacalista Cgil, assassinato a Trabia il 7 giugno 1945. «Aveva diffuso idee di uguaglianza e giustizia. I mafiosi di Trabia, dopo quel delitto, vissero abbastanza tranquilli per diversi anni».
Agostino D’Alessandria, assassinato a Ficarazzi (Palermo) il 10 settembre 1945. Da un mese era stato nominato segretario della locale Camera del Lavoro. Già guardiano dei pozzi, aveva toccato uno dei punti più sensibili del potere mafioso: l’acqua di irrigazione.
Il 18 novembre 1945 a Cattolica Eraclea (Agrigento) viene ammazzato Giuseppe Scalia, agricoltore, attivista politico e sindacale, tra i fondatori della cooperativa agricola «La Proletaria». Stava passeggiando con con il vice-sindaco davanti alla Camera del Lavoro quando fu colpito da alcune bombe a mano.
Il 25 novembre 1945, a Mazzarino (Caltanissetta), fu assassinato Giuseppe Lo Cicero e il 15 dicembre il segretario della sezione del Pci di Ventimiglia (Palermo) Giuseppe Puntarello.
Il 16 maggio 1946 fu ucciso a colpi di rivoltella il sindaco socialista di Favara (Agrigento) Gaetano Guarino. Farmacista, non volle essere «tollerante con gli uomini di rispetto».
Il 28 giugno 1946 un altro sindaco socialista Pino Camilleri di Naro (Agrigento), di appena 27 anni, fu assassinato a colpi di lupara.
Il 22 settembre 1946 morirono ad Alia (Palermo) i due contadini Giovanni Castiglione e Girolamo Scaccia, centrati da una bomba a mano mentre partecipavano a una riunione in casa dela segretario della locale Camera del lavoro.
Il 22 ottobre 1946, a Santa Ninfa (Trapani) fu assassinato Giuseppe Biondo, un mezzadro iscritto alla Federterra, su mandato del padrone della terra che egli conduceva a mezzadria.
Il 31 ottobre 1946, in contrada “Montagnaratta” a Misilmeri furono uccisi con un colpo alla nuca i fratelli Giovanni, Vincenzo e Giuseppe Santangelo, tutti e tre contadini poveri.
Il 28 novembre 1946, a Comitini (Agrigento), fu ucciso il contadino comunista Paolo Farina, mentre stava tornando a piedi dalla vicina Aragona.
Il 21 dicembre 1946, a Baucina (Palermo), fu ucciso con 5 colpi di pistola alle spalle Nicolò Azoti, falegname, comunista, segretario della Camera del lavoro.
Il 4 gennaio 1947, a Sciacca, venne ucciso il dirigente del Partito comunista e segretario della locale Camera del lavoro Accursio Miraglia. Miraglia, che era solito ripetere la frase di un romanzo di Hemingway: «Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio», morì riverso sulla porta della propria abitazione, tra le braccia della giovane compagna russa, Tatiana Klimenko.
Il 16 gennaio 1947, a Ficarazzi (Palermo), fu ucciso dalla mafia il dirigente comunista Pietro Macchiarella.
Il 1° maggio 1947 la piana di Portella della Ginestra piena di contadini che festeggiavano la giornata dei lavoratori. Alle dieci cominciano a partire dei colpi di arma da fuoco, sparati ad altezza d’uomo. Poi un mitra e delle granate. Urla, pianti, gente che fugge. Restano per terra 11 morti (la dodicesima vittima morì qualche giorno dopo) e 27 feriti. Vincenza aveva 8 anni, Giovanni 11, Giuseppe 12, Serafino 14, Giovanni 18, Castrenze 19, Vito 20, Francesco 22, Vita 23, Margherita 37, Giorgio 42, Filippo 47. Fu il bandido Salvatore Giuliano e la sua banda a sparare. Che Giuliano sia stato affiancato dalla mafia è un’ipotesi probabile. Che i mandanti della strage possano essere stati gli agrari, con la complicità di pezzi dello Stato e della politica, è anch’essa una tesi plausibile.
Il 22 giugno 1947, un commando prese d’assalto a colpi di mitra e di bombe la sede della Camera del lavoro di Partinico, che allora ospitava la sede del Pci. Finirono assassinati i dirigenti sindacali Giuseppe Casarrubea e Vincenzo Lo Iacono.
L’8 novembre 1947, a Marsala, fu ucciso a colpi di mitra Vito Pipitone, contadino socialista.
Il 2 marzo 1948, a Petralia (Palermo), davanti al figlio di 13 anni, fu assassinato il socialista Epifanio Li Puma mentre stava arando con i muli.
Il 10 marzo 1948 a Corleone, vennere rapito e ucciso Placido Rizzotto esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della Cgil.
Il 1° aprile 1948, a Camporeale (Trapani), fu ucciso a colpi di mitra mentre rientrava a casa da sua moglie e i suoi quattro figli Calogero Cangialosi, segretario della locale Camera del Lavoro.
Si arrivò a circa 50 caduti per mano mafiosa tra attivisti, dirigenti sindacali e coloro che solidarizzavano con la lotta popolare contro il feudo.
Prime elezioni politiche del 1948. Le milioni di lettere che gli italo-americani inviarono a congiunti e amici per chiedergli di non votare per il Fronte Popolare asservito alla Russia comunista.
Il 2 novembre 1950, l’Assemblea regionale sicialiana approvò la legge di riforma agraria. Non era la legge sognata dal movimento contadino, ma comunque smantellò il feudo in Sicilia. Tuttavia gli agrari, prima degli scorpori, ebbero il tempo di mettere in vendita la terra migliore, che fu acquistata, in gran parte, dai mafiosi.