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 2014  ottobre 18 Sabato calendario

“Un pittore di contadini in sintonia con la terra” Si apre oggi a Milano la rassegna del maestro olandese in vista dell’Expo

“Un pittore di contadini in sintonia con la terra” Si apre oggi a Milano la rassegna del maestro olandese in vista dell’Expo. Ne parla la curatrice Kathleen Adler Manuela Gandini «La pittura lineare pura mi rendeva pazzo da molto tempo quando ho incontrato Van Gogh che dipingeva, non linee o forme, ma cose della natura inerte come in piene convulsioni. E inerti», è l’incipit del libro di Antonin Artaud, Van Gogh. Il suicidato della società che dichiara un folle amore per il pittore e una schiacciante critica alla società. Ne parliamo con Kathleen Adler, curatrice della mostra «Van Gogh. L’uomo e la terra» che si apre oggi a Palazzo Reale a Milano E’ d’accordo con Artaud che dichiara la società responsabile del suicidio di Vincent Van Gogh? «Penso che la morte di Van Gogh non sia il risultato di pressioni sociali, ma della sua stessa vita, intensa e ossessiva, e, naturalmente, della malattia mentale. Penso che Artaud scrivesse tenendo presente più se stesso che Van Gogh, e la recente mostra al Musée d’Orsay me lo ha chiarito ulteriormente. Non mi pare che Vincent sia “stato suicidato” dalla società. Ha sofferto qualche forma di malattia mentale, così come gli altri membri della sua famiglia, da parte di madre e di padre, nella cui famiglia ci sono stati diversi suicidi. Quindi non sono d’accordo con questa visione». Nel suo testo in catalogo Lei ha fatto un excursus storico che ci porta indietro nel tempo, a Zundert, il villaggio di campagna della nascita e dell’infanzia di Vincent. La sua vita tragica è una componente imprescindibile nella valutazione della sua opera? «La sua vita non era tragica perché colpita da eventi esterni - guerre, carestie, e così via. È stata tragica a causa della sua personalità. La “storia” della sua vita è nota a un’infinità di persone che altrimenti saprebbero poco o nulla di arte, ed è un travisamento. Tanto per cominciare, non si era tagliato l’orecchio, piuttosto, una parte del suo lobo sinistro». C’è una mitologia intorno alla sua figura, la figura di un perdente, l’uomo comune, l’incompreso che si riscatta dopo la morte, non crede che questo significhi ancora una volta diminuire il valore del suo lavoro? «La mitologia attorno a Van Gogh ci ricorda senza dubbio la pervasività della visione romantica dell’artista - isolato, incompreso, sottovalutato. Nonostante i molti esempi di artisti completamente diversi, egli sembra avere un particolare e duraturo appeal che non sminuisce il valore dell’opera. Ma dobbiamo ricordare che Van Gogh non voleva vivere isolato e desiderava far parte di una comunità di artisti. Sperava di creare uno “Studio del Sud” in cui gli artisti avrebbero lavorato insieme in una armonia creativa». Come nasce questa mostra? «La mostra è stata concepita per Expo 2015, “Nutrire il pianeta”, che punta la sua attenzione sulla terra e il nutrimento. Il tema di “Van Gogh, l’uomo e la terra”, si collega da vicino a queste tematiche. Vincent credeva all’idea di essere un pittore di contadini, in sintonia con la terra e le stagioni, ha creduto per tutta la vita nel legame tra l’uomo e la natura. L’idea che “come si semina, si raccoglie” è stata per lui fondamentale. Un’idea assorbita durante l’infanzia nelle prediche del padre. L’amore della madre per il giardino e per le lunghe camminate nella natura, ha instillato in lui un amore duraturo del mondo naturale che ha mantenuto fino alla fine dei suoi giorni. Si sentiva molto più vicino ai ritmi di vita contadini, in sintonia con le stagioni, che alla vita di città». Qual è stato il rapporto di Vincent con la spiritualità? «Aveva una conoscenza approfondita della Bibbia, e se a volte sembra aver voltato le spalle alla religione, non ha mai voltato le spalle ai fondamenti della dottrina. Era una persona profondamente spirituale, anche se non religiosa in senso ortodosso». Perché Van Gogh è importante? «Questa è una domanda convincente: cos’è che attira così tante persone al suo lavoro e alla sua storia, perché la gente si muove per la sua arte? In parte penso che sia il riconoscimento delle sue lotte - i suoi tentativi di trovare una direzione alla propria vita, le sue lotte per diventare un artista. Spero che la mostra sia eloquente in questo senso, dalla goffaggine dei suoi primi disegni all’abilità di esprimersi nel colore e nella linea. Forse la sua figura risponde al senso di onestà, integrità e sincerità che il pubblico trova nel suo lavoro. Non vi è nessuna pretesa, nessun atteggiamento. Ogni pittura esprime l’intensità e la convinzione delle sue idee, e questo è ciò che lo rende così commovente. E, naturalmente, il ricco tesoro di pensieri ed emozioni che troviamo nelle sue lettere fa si che ci si identifichi con le sue aspirazioni e la sua vita triste e solitaria. Questo sembra essere parte del suo fascino universale, che trascende ogni barriera geografica e cronologica».