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 2014  ottobre 18 Sabato calendario

«Il compito di un giudice non è quello di cavillare con i tecnicismi ma prendere un fatto, valutarlo alla luce delle norme, e poi fare un atto di volontà, decidendo

«Il compito di un giudice non è quello di cavillare con i tecnicismi ma prendere un fatto, valutarlo alla luce delle norme, e poi fare un atto di volontà, decidendo. Altrimenti è la giustizia di Ponzio Pilato». L’ex giudice Enrico Tranfa l’altra mattina, dopo aver firmato come presidente la sentenza d’appello che motivava la clamorosa assoluzione di Silvio Berlusconi, si è trovato di fronte a due strade: o tacere e mandare giù un rospo grosso come una casa, oppure far parlare il suo dissenso con un gesto clamoroso: ha scelto la seconda strada, dimettendosi (con una raccomandata all’Inps) un minuto dopo aver consegnato in cancelleria un verdetto non privo di aspetti contraddittori che riassumevano tutto il tormento di questi mesi nel collegio della seconda sezione, ora privo di una guida. Un dissenso non solo “culturale” rispetto alla valutazione dei fatti, ma anche “metodologico”. Per esempio: è mai possibile considerare falsi i testimoni che hanno raccontato delle “cene eleganti ad Arcore”, scrivere chiaramente che il “sistema prostitutivo” di Villa San Martino è provato, rilevare il mestiere di baby prostituta di Ruby, osservare che Berlusconi quando telefonò in Questura aveva interesse a fare in modo che la ragazza non andasse in una comunità a raccontare dei suoi rapporti sessuali con il presidente del Consiglio e poi dichiarare che non vi sono prove di alcun reato? E’ vero che le Sezioni Unite della Cassazione, richiamate in sentenza, hanno fissato dei paletti precisi per la definizione del reato di concussione per costrizione o per induzione ma hanno anche chiarito che la minaccia a un pubblico ufficiale può essere implicita. E quindi, se un funzionario di polizia riceve a mezzanotte, a casa sua, la telefonata di un Presidente del Consiglio che gli chiede di liberare in fretta «la nipote di Mubarak», come vive una richiesta del genere? Per non parlare del fatto che il povero dirigente Ostuni, cui alla fine viene addossata la colpa di eccessiva solerzia, continuò a ricevere telefonate del capo scorta di Berlusconi fino all’alba. Davvero si attivò «per disinteressata accondiscendenza»? Ecco, par di capire che Tranfa non abbia condiviso nemmeno una virgola di questa tesi, schiacciato dalla maggioranza del suo stesso collegio. Composto non da due fan di Forza Italia ma da un giudice, Ketty Lo Curto, vicina alle posizioni di Magistratura democratica, e un altro, Alberto Puccinelli, considerato un moderato, come del resto Tranfa. Ieri non tutti hanno apprezzato il gesto dell’ex magistrato - 70 anni, di cui 39 in stimatissima toga - che ad alcuni è sembrato troppo plateale. Perché il “dissenso” nei collegi «è fisiologico». Ma l’ex giudice, che solo ieri a mezzogiorno ha notificato le dimissioni al presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio, agli amici ha raccontato che «ho fatto il massimo che potevo per togliermi un peso dallo stomaco». Un peso che ha iniziato a far male fin dalla camera di consiglio che il 18 luglio scorso assolse Berlusconi dall’accusa di prostituzione minorile e concussione e quindi da una condanna a 7 anni. Da quel momento Tranfa si è sentito isolato. Avrebbe potuto limitarsi a mettere in una busta il suo dissenso come gesto di autotutela, ma invece ha preferito bere fino in fondo l’amaro calice, firmando la sentenza e poi lasciare, anticipando la pensione di 15 mesi. Nessun altro sospetto. Questione di «punti di vista».