Sara Gandolfi, Sette 17/10/2014, 17 ottobre 2014
«LA VECCHIAIA NON ESISTE. E A 80 ANNI NON SI DIVENTA SAGGI»
Li vediamo per strada, con il loro passo incerto, quasi smarriti. Più di quanto possano essere i bambini. O incrociamo i loro sguardi torvi, sentinelle di una rabbia che si esprime in una litania di polemiche futili. Peggio degli adolescenti. Vecchi, persone come altre, né migliori né peggiori. Eppure “diversi”, come e più dei giovani che faticano a crescere nel mondo degli adulti, perché spesso incapaci di trovare il loro posto in una società sempre più indifferente. Confusi agli altri finché il corpo lo permette, messi all’improvviso in un angolo quando la decadenza fisica prende il sopravvento e le forze svaniscono.
Saranno sempre di più. Secondo le previsioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, nel 2050 le persone con più di 60 anni toccheranno quota 2 miliardi. Il picco sarà in Giappone e nella nostra anziana Europa, Germania e Italia in testa. Da proiezioni Isfol, nel 2015 oltre 13 milioni di over 65 abiteranno il nostro Paese (pari al 21,4% della popolazione) e arriveranno a 21 milioni, il 31,5%, nel 2050. Buona parte di questo esercito di teste grigie raggiungerà la soglia degli ottanta, grazie alla sempre più lunga aspettativa di vita: nel 208o, in Europa, gli ottuagenari saranno il doppio di oggi.
In questo scenario, l’indice di dipendenza degli anziani – ossia il rapporto tra la popolazione in età lavorativa e gli over 65 non attivi – crescerà in modo impetuoso: nel 2010 il dato mondiale era di 16 anziani inattivi ogni 100 adulti, nel 2035 saliranno a 26, ma in Italia siamo già oggi ben oltre questa percentuale, con il primato europeo del 32,7%.
L’Economist ha dedicato a questo trend un lungo articolo, intitolato Age invaders: «Un simile smottamento nella struttura sociale della popolazione è sufficiente a rimodellare l’economia mondiale», scrive il settimanale britannico, preannunciando un futuro di “stagnazione persistente”: «Sarà un mondo in cui l’invecchiamento rafforzerà ulteriormente i cambiamenti nella distribuzione del reddito: gli anziani qualificati guadagneranno di più, i meno qualificati di qualsiasi età saranno stritolati. I giovani meno istruiti e senza lavoro saranno particolarmente in difficoltà, incapaci di ottenere quelle competenze che permettono di diventare anziani di successo».
È un tema talmente strategico da spingere la Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste (Sissa) a istituire quest’anno un master in complex action intitolato Aging towards perfection, ovvero «come gestire al meglio il nuovo scenario globale e trasformare quello che potrebbe sembrare un problema in una risorsa».
Contro il mito dell’esperienza. Sfida scientifica e di business management che sembra lontana dai pensieri di Marc Augé, etnologo e antropologo francese, reso famoso dalla teoria dei “non luoghi”, spazi anonimi e stereotipati che caratterizzano la società contemporanea, dagli aeroporti ai centri commerciali. Ottantenne dalla mente più che lucida – e che rifiuta l’etichetta di Grande saggio – Augé ha spiegato a Sette in anteprima il senso e i contenuti del suo ultimo sforzo letterario, Il tempo senza età, con un sottotitolo che da solo svela la tesi di fondo: La vecchiaia non esiste. «La definizione “terza età” o “quarta età” mi fa imbestialire. Finché si è in grado di mantenere una relazione con gli altri esiste solo l’“età dell’uomo”. Si cerca di forzare le persone in categorie escludenti. Invece, siamo tutti adulti. Fino alla morte».
Augé, confessa, sta vivendo un’“esistenza itinerante”. Ha lasciato la “sua” Parigi per vivere un po’ qua e un po’ là nel mondo. Quest’anno a Torino, il prossimo a Berlino, in mezzo tanti viaggi per parlare al pubblico di sé e dei suoi libri. «L’attività di scrittura mi permette di restare in relazione con gli altri. E questo è il segreto di un buon vivere». Il segreto che gli fa scrivere «invecchio dunque vivo, sono invecchiato dunque sono», parafrasi di quel cogito ergo sum di cartesiana memoria per spiegare, efficacemente, che il corpo scricchiola, si ammala, «tuttavia, quando mi guardo allo specchio e mi dico che sono invecchiato... ricompongo e riunifico il mio corpo e i diversi “me” in un’improvvisa consapevolezza». Essere vivo, come gli altri. Addirittura più degli altri, in alcuni casi fortunati, come il suo.
«È vero, nella società contemporanea c’è un paradosso che potrebbe irritare i più giovani. Spesso gli anziani benestanti, quelli che dispongono di una pensione confortevole, viaggiano enormemente, hanno tempo libero, una vita agiata. Qualcuno suggerisce che “bisognerebbe cominciare la vita dalla pensione”. Non è così, ovviamente». Soprattutto per chi non ha quei mezzi finanziari. Con l’età le ineguaglianze sociali si ampliano ulteriormente. E molti vivono nell’isolamento, una solitudine imposta dalla scomparsa dei coetanei e dallo sguardo degli altri o voluta come un riflesso di difesa. «Ci si illude a volte di uscirne attraverso la televisione, vissuta come un sostituto alla presenza degli altri. Ma alla fine, davanti a quello schermo, attraverso le relazioni false che si creano con i personaggi fittizi della Tv, ci sentiamo ancora più soli». E il peggio è che ci si abitua anche alla solitudine. Diventa parte della routine della vecchiaia.
Così i vecchi sono forzati in una «categoria esclusiva e che esclude, una sorta di casa di riposo semantica», all’interno della quale si sentiranno passivi, tranquilli e comodi, ma in ogni caso alienati agli occhi degli altri. La società tende a catalogare i vecchi in due stereotipi antichi e contrapposti: sopravvalutando le loro presunte virtù – la saggezza, l’esperienza – o sottovalutando ed emarginando la loro stessa esistenza. Eppure, ribadisce Augé, «non esiste la saggezza degli anziani: hanno le stesse debolezze, gli stessi comportamenti delle persone di altre età. E non esiste neppure l’esperienza: la vita spesso è pura ripetizione». Al contempo, aggiunge l’antropologo, non ha senso e non è utile emarginarli, pensionandoli dalla vita. Almeno non troppo presto. «I limiti sono legati al decadimento del corpo. L’età non si percepisce intimamente, all’interno di sé, è il corpo che declina. E noi siamo il nostro corpo. Nel momento in cui il nostro corpo soffre, noi cambiamo, ci isoliamo, ci interessiamo meno agli altri. A mano a mano che ci si avvicina alla morte, si mette in moto un processo di allontanamento dagli altri. A volte forzato, ma ineluttabile».
Poi arriva la morte. Augé non concede spazio all’ultraterreno. «Abbiamo molte fantasie sulla morte. Ma a mio parere non è interessante. Morte è una parola che dissimula il nulla, la fine di tutto. Sul piano collettivo non esiste perché la storia della civiltà continua anche senza di noi. Sul piano individuale è semplicemente un arresto, la fine. Prima della nascita siamo un “non essere”. E a questo torniamo quando moriamo».
L’“utopia” dell’educazione globale. Inutile chiedere ad Augé se ha paura di morire. Piuttosto, pesa la sua riflessione sulla paura di un mondo che cambia demograficamente. La popolazione della Cina è ormai pari a quella che era la popolazione del mondo all’inizio del XX secolo. E a ritmi sostenuti, nonostante le guerre e le epidemie, cresce anche l’Africa, che quando Augé era bambino nel secolo scorso era considerata un continente sottopopolato. Trend demografici che vengono vissuti come una minaccia dall’Occidente sempre più vecchio e spaventato dalle ondate migratorie. «Dobbiamo domandarci perché siamo sulla Terra. Siamo qui per fare figli? L’Europa ha responsabilità precise nella diffusione di questa teoria, che è poi quella della Chiesa cattolica. Oppure siamo qui per il gusto della conoscenza?».
La chiave del futuro, conclude il maître à penser, è nell’educazione di tutti: un’“utopia” che non risolverebbe l’insieme degli inconvenienti della vita – come le malattie o il decadimento – ma che tuttavia conferirebbe ai più una chance concreta di esercitare il libero arbitrio. Non è un caso che sia la stessa “ricetta” proposta più di due millenni fa da Aristotele: «La cultura è il miglior viatico per la vecchiaia», scriveva il filosofo greco.