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 2014  ottobre 17 Venerdì calendario

IMPERO DI CARTA PER LA ZARINA


Dal podio olimpico al parlamento e, adesso, ai media: tripla piroetta per la trentunenne Alina Kabaeva, l’ex campionessa olimpica di ginnastica artistica atterrata con un volteggio sospetto alla presidenza del National Media Group (Nmg), il più grande impero mediatico russo. All’icona glamour, proclamata nel 2006 la donna più sexy di Russia, la stampa attribuisce infatti da anni una relazione intima con il sessantunenne leader del Cremlino, Vladimir Putin, al quale avrebbe dato segretamente anche due figli, ora di 5 e 2 anni. Entrambi hanno sempre smentito seccamente la love story, anche se lei non ha mai rivelato il nome del padre dei bambini. Ma a rendere ancora più controversa la nomina è il fatto che il proprietario del gruppo mediatico è Yury Kovalchuk, 64 anni, uno dei più fedeli amici ed alleati del presidente russo, di cui è ritenuto il “cassiere personale’’.
Non a caso il “Murdoch russo”, come è stato ribattezzato in patria, è stato colpito dalle sanzioni Usa e Ue per l’annessione russa della Crimea, in qualità di presidente e maggiore azionista di Banca Rossiya, «considerata la banca personale dei funzionari di alto grado della Federazione russa». Una banca cui è legato tutto il cerchio magico di Putin e che ha avuto un boom clamoroso nei suoi quindici anni di potere, passando da 4 milioni a 11 miliardi di dollari di attivi. L’istituto controlla anche due grandi compagnie di assicurazioni, Sogas e Transneft.
La carriera “elastica” della bruna Alina comincia da lontano. Nata a Tashkent nel 1983, l’anno in cui Putin si sposa con Liudimila, dalla quale ha divorziato ufficialmente solo nei mesi scorsi, abbraccia la ginnastica artistica a sei anni. Metà russa e metà tatara, supera con tenacia gli ostacoli delle prime allenatrici, che la ritenevano grassa e poco dotata: dieta ferrea e allenamenti ad oltranza. Poi a Mosca trova la sua talent scout, Irina Viner, che la lancia nell’olimpo sportivo: primo posto nel campionato europeo del 1998, a soli 15 anni, e poi una lunga collezione di medaglie, con un oro (Atene 2004) e un bronzo olimpici, vari titoli mondiali ed europei. Putin la incontra per la prima volta in una occasione pubblica nel 2000, quando Alina ha solo 17 anni, e nel 2007, alla fine della sua carriera sportiva, la fa eleggere in parlamento come deputata del proprio partito, Russia Unita. È una delle onorevoli più giovani di sempre: 24 anni. E ormai è un sex symbol, dopo le copertine di “Vogue”, “Maxim”, “Glamour” e “Cosmopolitan”, che la proiettano anche come modella nel mondo della moda e come ospite o conduttrice di varie trasmissioni leggere in tv.
Alina fa il bis alla Duma nel 2011, diventando vice presidente della commissione gioventù, sport e cultura fisica. In sette anni è intervenuta in aula solo tre volte, promuovendo insieme ad altri colleghi leggi controverse come quella sul divieto di adozione di bimbi russi per le coppie Usa e sull’obbligo per le ong con finanziamenti esteri di registrarsi come “agenti stranieri”. Ha votato tutte le leggi liberticide del Putin ter, compresa quella contro la propaganda gay. I rumors della sua liaison con il presidente si sono riaccesi ai Giochi di Sochi, quando ha avuto l’onore di essere tra gli ultimi tedofori, insieme alla leggenda dell’asta Elena Isinbaeva e la regina del tennis Maria Sharapova.
La blogosfera russa aveva rilanciato le voci di un loro matrimonio commentando alcune foto recenti in cui entrambi apparivano con una fede nuziale al dito. Nei giorni scorsi Alina ha annunciato a sorpresa le sue dimissioni da deputata, senza svelarne i motivi. Ci ha pensato poco dopo Oksana Razumova, portavoce del National Media group: «Alina Maratovna Kabaeva ha accettato l’invito degli azionisti ad occupare il posto di presidente del cda». A dover mollare la poltrona è stato un parente di Kovalchuk. Potrebbe essere il numero migliore della carriera elastica di Alina: ora è la “zarina dei media privati russi”. Il gruppo controlla infatti con il suo 25 per cento il Pervy Kanal (Primo Canale) ossia il mezzo d’informazione più seguito del Paese, Canale 5 e Ren tv (rispettivamente la quinta e l’ottava emittente più grandi della Russia), l’influente quotidiano “Izvestia”, il tabloid “Tvoi Dien”, l’ascoltatissima radio “Russkaya Sluzhba Novostei” (Servizio russo delle notizie).
Non sono stati forniti dettagli se si tratti di una nomina manageriale o di semplice rappresentanza. Di certo Alina, che possiede due titoli di studio sportivi, non ha alcuna competenza nel settore, anche se era nel consiglio di sorveglianza del gruppo dal 2008. Ma la meritocrazia, e non solo nella Russia di Putin, è spesso un optional. Basti pensare ad un altro caso clamoroso, quello dell’avvenente trentaduenne ex spia russa Anna Chapman, conosciuta come “Anna la Rossa’’, smascherata negli Usa e tornata in patria tra gli onori e le ricompense di una nuova carriera che l’ha portata non solo ad affermarsi nel mondo della moda e dello spettacolo ma anche come dirigente del movimento giovanile del partito di Putin e come consulente del FondServisBank (Fsb), un istituto russo che lavora con le aziende collegate allo sviluppo del programma aero-spaziale nazionale.
«La Russia diventa uno Stato tribale», ha denunciato il blogger Alexiei Navalni. «Putin ha buon gusto. Per i media russi ci voleva una flessibile. Essere la compagna del capo paga. Sempre», si legge in uno dei tanti commenti ironici delle reti sociali russe. Resta comunque l’interrogativo se dietro alla nomina ci sia qualche obiettivo preciso, al di là del possibile favoritismo. Qualche blogger molto popolare, come Roustam Adagamov, ipotizza che Putin abbia voluto offrire uno scudo alla Kabaeva per metterla al riparo dal rischio delle sanzioni occidentali, che hanno già colpito la deputata Svetlana Zhurova, ex campionessa olimpica di pattinaggio e vice presidente della commissione esteri della Duma. Ma Alina non sembra correre questo pericolo e comunque si tratterebbe di una mossa tardiva, in un momento in cui non si parla di nuove sanzioni. C’è invece chi ipotizza possa essere una operazione di immagine, anche in vista degli effetti della recente legge approvata dal parlamento per abbassare dal 50 al 20 per cento il tetto delle quote straniere in tutti i media russi (giornali, periodici, tv e web), inclusi quelli controllati indirettamente attraverso partner domestici: una mannaia che si abbatterà non solo sui media più scomodi, come “Vedomosti”, l’edizione russa di “Forbes”, Radio Eco di Mosca, ma anche sulle riviste glamour che hanno plasmato i gusti e le mode della nuova élite postsovietica: “Gq”, “Vogue”, “Tatler”, “Cosmopolitan”, “Grazia”, “Burda”, “Elle”, “Esq”uire”, “Maxim”. I grandi gruppi editoriali stranieri, come Axel Springer, Ctc Media, Burda, Condé Nast, ma anche la Mondadori dell’amico Silvio Berlusconi, saranno costretti a vendere e c’è chi scommette che gli asset saranno ridistribuiti tra i fedelissimi di Putin.
La fetta dei rotocalchi patinati potrebbe finire nel gruppo di Kovalchuk, con Alina nelle vesti ideali di presidente-glamour. Il giro di vite sugli stranieri è solo l’ultimo tassello di una strategia del Cremlino per tenere sotto controllo i media privati, dopo aver affidato quelli principali ad oligarchi amici o società statali come Gazprom: «La foto oggi è chiara, i grandi media appartengono al circolo ristretto di persone che controllano non solo la politica ma anche l’economia del Paese», osserva Roman Pivovarov, analista del mercato mediatico russo. Per mettere la museruola alle ormai poche voci del dissenso rimaste nei social network, i blogger come l’oppositore Alexiei Navalni sono stati equiparati ai mass media e ai loro oneri, mentre entro gennaio tutte le società di comunicazione online, comprese quelle straniere (Google con Gmail, Microsoft con Skype, Facebook e Twitter) saranno obbligate a tenere i loro server in Russia. Sullo sfondo anche il progetto del Cremlino di disconnettere l’Internet russo dalla rete mondiale in caso di conflitti e disordini di massa e di gestire in patria il rilascio dei domini russi, sottraendoli alla giurisdizione Usa. Ai media pubblici, invece, ci pensa direttamente Putin, iniettando dal bilancio pubblico finanziamenti sempre più ingenti: nonostante la stagnazione dell’economia nazionale sullo sfondo delle sanzioni occidentali, il governo russo ha annunciato nel bilancio 2015-2017 un sostanziale aumento dei fondi ai media statali, soprattutto di quelli internazionali, per un ammontare di oltre mezzo miliardo di dollari solo per le due punte di lancia dell’informazione propagandistica di casa, la tv Russia Today e l’agenzia Rossiya Segodnya (Russia oggi, ex Ria Novosti).