Paolo Pejrone, La Stampa 17/10/2014, 17 ottobre 2014
LA PIRALIDE, INSETTO TRASPORTATO INCAUTAMENTE NEL 2011 IN ITALIA, HA INIZIATO AD ATTACCARE I FAMOSI «BOSSOLI» TOSCANI, MAESTOSI MA INDIFESI. E NESSUNO SA BENE COME PROTEGGERSI
Chi in giardino è stato vittima della piralide del bosso (e siamo, ahimè, ormai moltissimi, se non tutti) sa bene come sia orribile e terribile: bastano pochi giorni perché di siepi antiche, maestose e venerabili (e soprattutto in perfetta salute fino a pochi attimi prima) non vi sia che l’ingombrante ricordo. Durante un attacco particolarmente massiccio, si può addirittura sentire il rumore del suo insaziabile divorare…
Pochi giorni fa, a Firenze, un convegno organizzato dall’Ordine degli Agronomi e dei Forestali, ha cercato di fare un po’ il punto della situazione: trasportata in Germania nel 2006, pare dalla Cina, la piralide (Cydalima perspectalis) ha iniziato da un paio d’anni la sua calata in Italia, complici importatori e vivaisti poco attenti ed incauti e spesso colpevoli di omertà per non avere fastidi ed allarmi nei loro non sempre limpidi traffici... Silenziosa ed invadente, ha fatto il suo ingresso nella provincia di Como, nel 2011, poi si è diffusa in Piemonte e nel resto del Nord Italia e quest’estate ha attaccato i famosi «bossoli» toscani, certamente il tesoro più ambito e prezioso. Recentemente e da ultimo è stata avvistata in Sicilia: purtroppo sembra ben tollerare temperature che dal fresco vanno anche al caldo più siccitoso... Nessun giardino può quindi dirsi al sicuro, forse solo quelli di montagna (che non sono certamente tanti), e meno che mai lo sono i bossi in natura, quelli che crescono rigogliosi e caparbi nei nostri boschi, vittime di vere e proprie stragi ed involontari incubatrici del famelico lepidottero.
I sintomi sono malauguratamente ben noti: uova minuscole depositate sulla pagina inferiore del fogliame, larve verdi con striature nere che, dopo aver distrutto la foglia, aggrediscono via via peduncoli e rametti dell’anno, crisalidi biancastre nascoste all’interno della chioma ed infine farfalle dalle ali chiare, quasi opalescenti, bordate di marron. Il tutto richiede tempi brevi, poco più di un mese: una rincorsa per riprodursi velocemente e colonizzare la pianta, su cui così convivono contemporaneamente larve giovani, larve mature e farfalle, riproponendo fino a ben quattro generazioni l’anno. Come spiega Giovanni Battista, giovane agronomo e futuro paesaggista, il lepidottero dovrebbe andare in riposo nei mesi più freddi per un periodo di circa otto settimane, ma in inverni come quello passato, miti e clementi, la dormienza è molto più breve: può capitare perciò, come se non bastassero i problemi, che la prima generazione coincida con il periodo della fioritura e che quindi, come prescrivono le norme regionali a tutela degli insetti impollinatori, nessun trattamento sia praticabile.
Su come intervenire c’è molta confusione, ma qualsiasi sia la cura occorrono tempestività e massima costanza. Al di là della (ben difficile) distruzione manuale delle larve, ed in attesa che siano selezionate, come sempre succede in questi casi, varietà di bosso resistenti al lepidottero, la scelta è tra prodotti chimici e biologici. Quest’ultimi sempre preferibili a tutela del piccolo mondo che circonda i nostri giardini. Sulle trappole a feromoni sessuali molto si discute, mentre sembra essersi rivelato efficace, a detta dei giardinieri di molte ville storiche nei dintorni di Firenze, prima tra tutte la celebre Villa medicea di Castello, il trattamento delle larve col bacillo thuringiensis var. kurstaki, mescolato ad adesivante (pare anche ottimo lo zucchero). Se ingerito ne procura la morte per paralisi, senza essere appetibile per gli altri abitanti del giardino. Bisogna però avere l’accortezza di irrorare bene la pianta, anche all’interno della chioma (una semplice spruzzata non basta!), ripetendo i trattamenti a breve distanza (di mese in mese). Studi più recenti si concentrano sui nemici naturali, in particolare sul Dittero tachinide, mosca già utilizzata per parassitizzare le larve della piralide del mais: per ora però si sa ancora poco e occorre cautela. Per quanto riguarda i mezzi chimici, si sa che sempre portano in giardino squilibri, anche i prodotti più blandi come quelli a base di deltametrina (come il super gettonato Decis tanto per intenderci): chi lo adopera deve mettere in conto la possibilità di un attacco di Tetranychus urticae, detto ragnetto rosso... Quale che sia la tattica scelta, un po’ di buon concime fogliare ed azotato può sempre essere di aiuto per stimolare la produzione di nuove foglie.
Improvvidamente cancellata nel 2011 dalla lista d’allerta dell’Organizzazione Europea per la Protezione delle Piante, la piralide è stata ampiamente sottovalutata: non ci sono divieti né adeguati controlli, mancano strategie comuni e le stesse informazioni che provengono dagli organi istituzionali sono spesso confuse e sempre in ritardo. Va alla comunità giardiniera esclusivamente, alla sua lungimiranza e al suo profondo senso di solidarietà, il merito di aver trovato, se non delle soluzioni, almeno delle pronte difese. Chi sopravviverà... vedrà.
Paolo Pejrone, La Stampa 17/10/2014