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 2014  ottobre 17 Venerdì calendario

PADOAN: LA MANOVRA PER CRESCERE È LA RISPOSTA AI MERCATI, LA UE CAPIRÀ. «LE REGIONI AUMENTERANNO LE TASSE? RESPONSABILITÀ LORO»

«I mercati sono in forte tensione in tutta la zona euro, e non solo, per diverse ragioni. Ma neppure una ha a che fare con la nostra manovra».
Ministro Padoan, nessuna persona sana di mente potrebbe mettere in relazione diretta lo scossone di questi giorni sui mercati e l’approvazione della legge di stabilità italiana. Di certo, però, questa rinnovata bufera ha evidenziato che la malattia dell’Europa, e dell’Italia al suo interno, è ancora molto acuta. In questo contesto la manovra italiana viene di fatto ignorata.
Non tutti i fattori delle tensioni sui mercati di questi giorni sono legati all’Europa. Ha influito molto anche l’andamento deludente dei consumi americani, che ha lasciato ipotizzare una uscita più lenta dal QE. Ma c’è certamente un problema europeo. Con la Grecia che ha chiesto di uscire prima dal programma di aiuti, ma soprattutto con le previsioni di crescita che in tutta la zona euro sono preoccupanti.
L’eurozona è il buco nero della crescita mondiale, ma ciò che è peggio è che l’Italia è il buco nero della crescita della zona euro. Il governo ha puntato su una manovra espansiva, ma i differenziali con il Bund oggi sono saliti ancora.
In questi frangenti, con le prese di beneficio che si moltiplicano dopo una fase di euforia dei mercati, il decennale tedesco diventa un bene rifugio. Non sono tanto i titoli italiani ad avere performance negative, lo spread si allarga soprattutto per il calo dei titoli tedeschi. Tanto è vero che anche lo spread francese e spagnolo ieri si è allargato significativamente.
L’Italia però, con il suo debito pubblico, resta il Paese, dopo la Grecia, più esposto a queste periodiche tempeste sui mercati.
Il problema principale è che siamo in recessione da ormai tre anni. La via maestra per abbattere il debito è la crescita. Se non rilanceremo la crescita non avremo mai conti pubblici in ordine e saremo sempre in balìa delle tensioni dei mercati. Perciò abbiamo scelto con convinzione di puntare su una manovra espansiva, che unisce misure di bilancio, con una forte riduzione fiscale, e riforme strutturali, come quella del lavoro e quella della giustizia civile. Io la definisco una manovra a espansione qualificata. Rilanciamo la crescita con risorse limitate ma con misure qualitativamente efficaci.
Per la verità lasciate crescere il deficit di oltre 11 miliardi. Bruxelles non è per nulla d’accordo e anche la Merkel ieri ha ribadito che «i patti vanno rispettati».
Con l’Europa abbiamo un dialogo aperto. Abbiamo mandato alla Commissione la legge di stabilità appena approvata, così come prevedono i trattati. Loro la analizzeranno ed entro il 29 dovranno esprimere una valutazione.
Informalmente la Commissione uscente vi ha già comunicato che le cifre del Def non sono in linea con gli impegni sulla riduzione dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil. Pensate che con Juncker possa esserci un atteggiamento più morbido?
Certamente abbiamo rapporti articolati con Bruxelles, dal momento che c’è una fase di transizione. Alcune figure stanno cambiando, ma altri, come Katainen, resteranno.
E non è una gran fortuna...
Lo so che è considerato un falco, ma io con lui ho un rapporto buono e costruttivo. Gli ho spiegato il senso della nostra manovra e delle riforme che stiamo facendo, e ho trovato da parte sua un forte apprezzamento, a cominciare dal Jobs Act.
La manovra rispetta il vincolo del 3%, ma non riduce come dovrebbe il rapporto deficit/Pil dello 0,5% annuo e il debito aumenta invece di calare. L’Europa lo accetterà?
Conto di sì. Quegli aggiustamenti valgono in condizioni normali. Ma noi siamo in circostanze eccezionali. Eccezionali in negativo, perché siamo al terzo anno di recessione, ed eccezionali in positivo perché stiamo facendo le riforme e tenendo comunque in ordine i conti. Tutto questo andrà valutato attentamente.
Se a fine mese dovesse arrivare la richiesta di una correzione?
Abbiamo già fatto uno sforzo importante di aggiustamento. Oltre un certo limite si rischia di entrare in una spirale recessiva che farà aumentare il rapporto debito/Pil e potrà compromettere la tenuta complessiva. C’è un equilibrio delicato da mantenere, guai a intaccarlo.
Intanto si è già aperto il fronte dello scontro con le regioni. I "governatori" dicono che davanti a tagli di 4 miliardi non potranno che aumentare le tasse...
Gli ha già risposto il presidente del Consiglio. Io ribadisco la mia posizione, so che potrà sembrare un po’ accademica, ma insisto. Ogni livello di governo si deve assumere le proprie responsabilità davanti ai propri cittadini: bisogna essere parsimoniosi, perché alle tasse devono corrispondere servizi adeguati. Sono convinto però che oggi le Regioni possano aumentare l’efficienza dei servizi senza aumentare le tasse. Quello delle siringhe è un esempio fin troppo scontato, ma vero.
È un fatto però che negli anni a ogni taglio di risorse è corrisposto un aumento di prelievo locale. Dal 2000 la pressione fiscale locale è aumentata dell’80%, cioè da 47 a oltre 81 miliardi.
Lo so. Ma non accetto chi accusa lo Stato, i governi, di far aumentare le tasse locali. Regioni e comuni sono autonomi e responsabili davanti ai cittadini. E le forti divergenze territoriali che oggi esistono dimostrano che ci sono, per molti, margini per far meglio. La maggiore responsabilità aiuterà.
Il carattere espansivo della manovra è in parte contraddetto dal calo degli investimenti pubblici. Non si poteva fare di più?
I vincoli di bilancio non l’hanno consentito. Sugli investimenti pubblici siamo già intervenuti con lo sblocca-Italia...
Ma si attendevano, appunto, risorse aggiuntive con la manovra...
Intanto abbiamo spostato le risorse bloccate su opere incagliate verso i lavori cantierabili. In questo modo si produrrà una spinta significativa. Eppoi stiamo continuando a lavorare al rilancio degli investimenti privati, a cominciare dal decreto "competitività" che sta ottenendo risultati eccellenti grazie all’introduzione di strumenti finanziari innovativi. E anche in Europa facciamo la nostra parte. Proprio ieri abbiamo tenuto una riunione con la Bei per individuare progetti meritevoli e trovare il relativo matching con i finanziamenti.
Si dà la possibilità ai lavoratori di intascare il Tfr, sebbene con tassazione ordinaria, e si aumenta l’aliquota sui fondi pensione: non si penalizza troppo la previdenza integrativa?
Per quanto riguarda il Tfr si tratta di soldi dei lavoratori, è giusto che possano scegliere cosa farne, e il miglioramento generale dell’economia dovrebbe favorire anche i fondi pensione. In ogni caso le politiche del governo sono orientate a creare opportunità per gli operatori privati, sbloccando il mercato in tutti i settori. Ne beneficerà anche la previdenza integrativa.
È stato tagliato di 200 milioni il fondo per incentivare la contrattazione aziendale, non è un passo indietro rispetto all’obiettivo del Jobs Act di favorire il decentramento dei contratti?
L’obiettivo è certamente confermato. Quel fondo ha funzionato finora molto poco, perciò lo abbiamo tagliato. Ma lavoreremo nella direzione dei contratti aziendali, è uno strumento molto utile per aumentare la produttività.
Avete una stima di quanti contratti porterà la decontribuzione sul tempo indeterminato?
Pensiamo 800mila. Di certo, insieme con il Jobs Act, questo tipo di contratto diventerà molto più conveniente.
E sulla crescita che impatto avrà questa manovra?
Nell’aggiornamento del Def abbiamo scritto che nel 2015 l’Italia crescerà dello 0,6%. Ma l’impatto potrà essere superiore in modo significativo se, insieme con le riforme che stiamo facendo, la legge di stabilità darà quella scossa di fiducia che noi ci attendiamo. Io sono molto soddisfatto del lavoro fatto con tutti i collaboratori del ministero. Sia io sia il presidente del Consiglio abbiamo molto apprezzato la qualità di questo lavoro.
Mi obbliga alla domanda di rito: com’è il barometro dei suoi rapporti con Renzi?
Bello stabile. E su questa manovra credo proprio che si sia visto.
Fabrizio Forquet, Il Sole 24 Ore 17/10/2014