Lucio Caracciolo, la Repubblica 17/10/2014, 17 ottobre 2014
SE LA FINANZA GLOBALE ESPUGNA LA CITY
Città mondiale, prima che capitale del Regno Unito. Massima piazza finanziaria del pianeta. Stato a sé, giurano alcuni. State of mind, ricama il suo biografo Peter Ackroyd. Metropoli multietnica, eco dell’impero che fu. Rifugio di milioni di immigrati delle più varie origini, che vi ritagliano recinti propri, talvolta esclusivi. (…) Al resto del Regno Unito Londra non di rado appare come un vortice che aspira e consuma le ricchezze nazionali, assai variamente distribuite. Gestita da un’oligarchia tanto opaca da nutrire le più cupe teorie del complotto, come quella che ha travolto Blair, accusato di aver manipolato l’intelligence per accodarsi a Bush nella sciagurata campagna irachena. Élite incarnata dai gentlemen di Westminster e di Whitehall, con ramificazioni intellettuali a “Oxbridge” (Oxford+Cambridge, sinonimo di eccellenza come di superbia accademica) e connessioni globali con i traders della City, oggetto di leggende gotiche da far invidia agli gnomi di Zurigo.Contro questa Londra si è scatenata la voglia di autogoverno non solo della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord, ma anche delle regioni inglesi (Yorkshire, Cornovaglia) in cerca d’autore eccitate dalle promesse devoluzioniste di quello stesso establishment da cui si sentono manipolate. Ed è in questa Supercapitale che si tracciano road maps secessioniste. Per rispondere all’eventuale disintegrazione del Regno Unito con la proclamazione dello Stato di Londra, centro della rete finanziaria mondiale. E megaparadiso fiscale. (…) Nell’epoca della finanza elettronica, degli scambi algoritmici in tempo reale, perché non sognare di fare della City il centro di gravità permanente dei movimenti di capitale su scala globale? Non solo fantasie. Le sirene della City sono all’opera per sedurre i gestori dei fondi cinesi e islamici. Insieme agli oligarchi russi — che Cameron vorrebbe trattenere sulla piazza di Londra malgrado il regime di sanzioni con cui l’Occidente intende castigare l’intervento di Putin in Ucraina — mandarini e sceicchi, detentori di un incommensurabile tesoro liquido, contribuirebbero a globalizzare la clearing house installata nella patria della sterlina ma specializzata nel mercato dell’euro. Progetto geofinanziario di ardua attuazione, che molto deve a una visione geopolitica di moda nell’Occidente intristito dal declino, in debito di futuro. L’idea è che il mondo in gestazione non apparterrà più agli Stati nazionali o alle loro costellazioni, come l’Unione Europea, ma alle città globali che gestiranno la ricchezza finanziaria. La dimensione territoriale conterà quasi nulla. Basteranno pochi chilometri quadrati in cui impiantare superbi grattacieli dotati di ogni diavoleria tecnologica, nel cuore di una vibrante metropoli multietnica — perché anche brokers e traders amano divertirsi. In questa prospettiva, la devolution non è tragedia. È il penultimo grido della deterritorializzazione dell’impero britannico, condizione necessaria al suo rilancio in potenza, come assicurano i teorici della nuova (anti) geopolitica virtuale. Anzi risorgerà dalla City, di qui irradiandosi quale super hub della finanza globale. Il segno del comando non è più il possesso di colonie, nemmeno informali, ma il controllo delle nervature finanziarie che disegnano le architravi del potere reale perché impalpabile. L’ultimo standard della potenza, il marchio liquido dell’impero globale. L’editoriale è pubblicato sul numero di Limes in edicola
Lucio Caracciolo, la Repubblica 17/10/2014