Mario Cervi, Il Giornale 17/10/2014, 17 ottobre 2014
CHE GRAN COMUNICATORE IL «DUCA INVITTO» EMANUELE FILIBERTO
Egregio Dottor Cervi, scartabellando nella libreria ho trovato un libro che non avevo letto. Si tratta de Il duca invitto di cui lei è l’autore. L’argomento, che è la biografia di Emanuele Filiberto, meritava una maggiore attenzione da parte mia ma altre letture mi avevano distolto ed ora riparerò. L’appellativo è appropriato in quanto nella Grande Guerra non subì nessuna sconfitta. Alla terza armata, di cui egli era al comando come pure della seconda, si deve tra l’altro la conquista di Gorizia. È rimasto il mistero del mancato affidamento del comando dell’esercito ad Emanuele Filiberto dopo la rimozione di Cadorna, cosa che viene attribuita alla gelosia di Vittorio Emanuele III.
Antonio Fadda
Caro Fadda, mi fa piacere che lei abbia scovato in non so quale anfratto il mio Il duca invitto e che l’abbia trovato interessante. Invitto fu Emanuele Filiberto di Savoia duca d’Aosta perché invitta fu la sua terza armata che riuscì a ripiegare con qualche ordine dopo la rotta di Caporetto. Il duca - alto e bello in palese contrasto con il re cugino, Vittorio Emanuele III - ebbe alcune importanti fortune. La maggiore è che gli austro-tedeschi attaccarono, in quel fosco autunno del 1917, la seconda armata (generale Capello) e non la terza, la sua. Ebbe anche la fortuna di morire quando ancora le glorie della monarchia sabauda erano con ragione illustrate ed elogiate da una sterminata pubblicistica. Fu fascista - molto più di Vittorio Emanuele III - ma evitò la sconfitta e la vergogna dell’8 settembre 1943. Non era un grande stratega (seppe tuttavia creare una catena di comando efficiente). Era uno straordinario comunicatore, pur con i limitati mezzi del tempo. Nella nostra società dell’immagine e della parola si sarebbe trovato perfettamente a suo agio. Ebbe sempre, nonostante le sue possibili o probabili ambizioni, un comportamento corretto e protocollarmente impeccabile nei confronti del Re. Il quale aveva sicuramente per lui una certa invidia e una certa diffidenza. Intelligente, il re soldato conosceva i limiti e le superficialità del duca cugino. Forse anche per questo non volle lui dopo Cadorna, gli preferì il meno ingombrante Diaz che non era un Napoleone, per carità, ma aveva buon senso.