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 2014  ottobre 16 Giovedì calendario

OVULI CONGELATI, PAGA L’AZIENDA. MA IL BENEFIT È SUO O DELLE DONNE?

Una recente copertina della rivista di economia Bloomberg BusinessWeek recitava «Freeze Your Eggs, Free Your Career» (congela i tuoi ovuli, libera la tua carriera), celebrando il congelamento degli ovuli come la prossima frontiera della emancipazione femminile.
L’invito è stato accolto in Silicon Valley, dove molte aziende stanno incentivando le impiegate a sperimentare la nuova tecnologia riproduttiva. Ha cominciato Facebook, che offre fino a 20 mila dollari, mentre a gennaio partirà Apple garantendo la stessa cifra ai suoi talenti. Google avrebbe in programma il nuovo benefit per il 2015 mentre sembra che Citigroup e Microsoft offrano già il servizio su richiesta delle dipendenti.
«Vogliamo aiutare le donne ad avere il meglio per le loro vite e a prendersi cura delle loro famiglie», ha scritto Apple nel comunicato, presentando l’iniziativa come un modo per andare incontro alle nuove esigenze delle donne e una soluzione al divario di genere che inquina l’immagine liberale e progressista della Valle (a Cupertino la forza lavoro è al 70% maschile, 69% in Facebook).
Non c’è dubbio che la decisione rispecchi un cambiamento in atto nella società americana (e non solo), dove moltissime donne trovano tardi il partner giusto e preferiscono «scegliere» quando avere un figlio, senza farsi travolgere dalle esigenze dell’orologio biologico.
Se è vero che negli ultimi 20 anni si sono registrate nel mondo appena 150 nascite da ovuli congelati, solo nel 2009 la tecnologia — prima riservata alle giovani malate di cancro che volevano preservare i propri ovuli dalla chemioterapia — ha avuto il via libera dalla comunità scientifica come felice opportunità di riproduzione per pazienti «sane». Da allora sono sempre di più le donne che ne fanno uso: basti pensare che l’agenzia Eggbanxxx, specializzata nel congelamento di ovociti, riceve più di 60 richieste alla settimana.
Eppure è difficile non chiedersi perché — se l’obiettivo è aiutare le dipendenti a conciliare lavoro e famiglia — una quantità così ingente di soldi non venga investita in altri aiuti: «Sembra un incentivo che va incontro alle esigenze delle donne ma in realtà aiuta solo le aziende», commenta Barbara Mapelli, docente di pedagogia delle differenze di genere all’Università Bicocca, che sottolinea come l’investimento delle aziende nel congelamento degli ovuli sia «un’invasione illecita nella vita delle donne» che consente ai datori di lavoro di non prendere iniziative in altri campi come la flessibilità, il telelavoro o la paternità. «Si finisce con l’assecondare solo una tendenza della società — continua Mapelli — senza tenere conto dei bisogni di donne e uomini alla ricerca di una diversa qualità della vita». Per i colossi economici della Valle pare più facile assecondare i bisogni delle single carrieriste che quelli delle coppie che non vogliono rinunciare a diventare presto genitori.
Dietro la volontà (mascherata da generosità) delle aziende di massimizzare la produttività delle dipendenti, si nasconderebbe un problema peggiore, che la scrittrice scientifica Robin Marantz Henig, autrice di Pandora’s Baby , definisce «il mito del riuscire a bloccare l’orologio biologico», un’illusione che troverebbe nella tecnica riproduttiva una nuova frontiera. «Questo approccio aziendale — dice Henig — non aiuterà le donne a risolvere il problema di dover ancora scegliere tra essere madri e professioniste di successo». D’accordo Tanya Selvaratnam, autrice di The Big Lie: Motherhood, Feminism, and the Reality of the Biological Clock che parla di «un crimine» per le donne: «Molte pensano di aver fatto un investimento congelando i loro ovuli, ma non considerano che ritardare la maternità ha costi alti e nessuna garanzia di riuscita». Una realtà confermata dalla scienza che, evidentemente, neanche le aziende hanno voglia di vedere.