Pier Mario Fasanotti, Libero 16/10/2014, 16 ottobre 2014
COME HA FATTO L’ASSASSINO A LASCIARE IL CADAVERE IN UNA STANZA CHIUSA DALL’INTERNO? CHIEDERE, PER SAPERLO, A GASTON LEROUX
Chi si ricorda dei romanzi gialli del francese Gaston Leroux (1868-1927) e le sue intricate avventure poliziesche lontane dall’enigmistica e impregnate di umanità e atmosfere? E con lo sfondo degli scintillanti anni Venti parigini? Pochissimi purtroppo. Nei serial televisivi dove prevale l’onnipotente e indagine scientifica. Aggrappati allo slow-reading il mercato respira ancora coi classici. Il parigino Leroux, avvocato nonché dilapidatore del patrimonio familiare e poi giornalista, fu uno degli protagonisti, assai prolifici, del feuilleton francese, dilatando le aspettative, a volte maniacali, di migliaia e migliaia di lettori. Certo, i buoni orecchianti sono in grado di scovare, tra le nebbie della memoria, suoi capolavori misterico-polizieschi come La camera gialla o Il fantasma dell’opera, quest’ultimo largamente saccheggiato dal cinema. Il recupero l’ha fatto l’editore Castelvecchi con l’edizione italiana di Le avventure di Rouletabille, 661 pagine, 22 euro. Prefazione di Jean Cocteau, uno dei pochi intellettuali che si limitano a considerare la bontà di una pagina indipendentemente dal genere. Il protagonista per eccellenza dei rebus di Leroux è il giovanissimo reporter-detective Joseph Rouletabille (contrazione di «lancia la tua palla»), che si avvale di un suo Dottor Watson, che ricorda l’aiutante di Sherlock Holmes. È il maggiordomo delle acrobazie mentali dell’eroe. Quest’ultimo invece è più un tenace quanto assillante adepto della deduzione (come Holmes) che non un aristocratico spesso perentorio e saccente, che il ritratto comportamentale e la sintesi delle dinamiche familiar-campagnole. Accade che il professor Stangerson, il quale dopo essersi sfiancato tra le polemiche accademiche americane, ha deciso assieme alla trentenne figlia Mathilde, di stabilirsi, per continuare i suoi studi in santa pace, in un castello poco distante da Epinay-sur-Orge (centro nella regione dell’Ile-de-France): larghi e silenziosi spazi che favoricono la concentrazione. Sua collaboratrice d’eccezione è proprio la figlia, severo esempio di una forte dedizione, e «compare» Jacques, anziano e ignorantissimo, dedito a piccole mansioni. Lo stanzone degli esperimenti sulla «Dissociazione della materia», è collocata in un vasto spazio, sul quale s’affaccia la «Camera Gialla», monacale stanza da letto di Mathilde. Lei è lontana da incontri sentimental-mondani. Ma non se ne rammarica. Si accontenta del serrato corteggiamento d’un tale chiamato Robert Darzac, «eterno fidanzato». Cos’è successo? Verso la mezzanotte esplode quello che sarà chiamato il «diabolico mistero». Il professore, assieme a compare Jacques sente provenire dalla «Camera gialla» serrata con chiavistelli robusti e dotata, come quasi tutte le finestre che s’affacciano sull’immensa campagna, di robuste sbarre alle finestre - delle orribili grida: «Assassino! Papà, aiutami!», un trambusto di mobili e due spari di rivoltella. Non siamo nel castello, ma in un suo più agevole e sicuro padiglione. Il professore spezza i chiavistelli esterni alla porta e trova Mathilde in gravi condizioni, ferita alla testa: si salverà? Forse. E gli spari? Rouletabille, che con un’abile menzogna (sfrutta la vanità del magistrato quale autore di pièces teatrali «indecenti»), arriva alla certezza che a sparare è stata la stessa Mathilde: una pallottola si è conficcata su un muro mentre l’altra ha ferito a sangue la grande mano del suo aggressore. Il rebus vero è il seguente: come ha fatto a scappare senza essere visto? E ancora: ha avuto complici? Stargenson e Jacques non hanno davvero visto nessuno dileguarsi. I giornali ci sguazzano, la gente ripete che si tratta di un «diabolico mistero» e scomoda elementi soprannaturali di decenni o secoli prima. In questo trambusto mediatico, Rouletabile evita, con una serie di bugie sorrette dalla sua sia pungente sicumera, il divieto d’accesso alla stampa. E formulerà ipotesi che daranno a Leroux lo spunto per far ballare sul palcoscenico del classico delitto della «camera chiusa» altre inquietanti comparse. Il lettore si abbandona all’affascinante labirinto. Lunghissimo. Scrive nelle prefazione Cocteau che Leroux è un autore «senza boria. Da questa assenza di boria deriva un’autenticità meravigliosa, un solido equilibrio tra l’enigma proposto e l’inclinazione a risolverlo». Dunque Leroux non bara, non mima generi. Un classico riscoperto.