Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 16 Giovedì calendario

ARTICOLI SULLA MORTE DI GIOVANNI REALE


ANTONIO GNOLI, LA REPUBBLICA -
SEMBRAVA un uomo di altri tempi. Pingue, loquace, cerimonioso. Un’eleganza antica. Cappello compreso, immancabile su una testa calva, dalla fronte spaziosa. Innamorato del proprio mestiere di storico della filosofia. Quando ci vedemmo l’ultima volta, circa un anno fa, in un albergo romano, per parlare di sé e della meravigliosa impresa editoriale dei suoi classici della filosofia (raccolti e pubblicati da Bompiani), mi sembrò che fosse cresciuta in lui la consapevolezza di un lavoro indispensabile. L’idea che avesse realizzato qualcosa di importante per la cultura di questo paese: sia sul piano del pensiero (soprattutto filosofico), sia su quello dell’arte (spesso, negli ultimi tempi, in coppia con Elisabetta Sgarbi).
Giovanni Reale è morto abbastanza repentinamente, a 83 anni, per non lasciarci in qualche modo disorientati. Restano i suoi lavori. Quelli di manualistica, realizzati in parte con Dario Antiseri; i commenti – spesso magistrali – alle opere dell’antichità, in particolare a Platone il suo filosofo di riferimento. Da buon cattolico egli difese le ragioni della vita. Nel dialogo, intenso, che svolse da credente con Umberto Veronesi, lo scienziato non credente, ( Responsabilità della vita è il libro frutto del loro confronto) si coglie il desiderio dialettico di capire e di entrare nelle convinzioni dell’altro, con civiltà e ragione. Negli ultimi anni l’accademico di vaglia – che aveva insegnato in varie università europee, ma prevalentemente alla Cattolica di Milano – lasciò uno spazio crescente alla riflessione più attuale, legata ai temi urgenti: come pensare il fine vita e come difenderlo dai pregiudizi ideologici. Di qui le tormentate considerazioni e il rispetto con cui sentiva di dover affrontare i casi di Welby e di Eluana. Significative furono a questo riguardo – in una lettera inviata a Mina Welby – le ragioni, in qualche modo laiche, di un credente che respingeva l’accanimento terapeutico e lasciava al malato la decisione di come morire. Sospetto che in quella maturazione si affacciasse il bisogno di tornare ad alcuni motivi della filosofia antica: le virtù del bene e del bello, l’armonia, l’eros inteso come slancio verso un ordine superiore, e l’assoluto come principio da imitare nella consapevolezza che mai l’umano potrà pienamente soddisfare.
Per questo tra Aristotele e Platone egli scelse Platone. Sia co- me guida spirituale, che come pratica etica e conoscitiva. Amava Platone da platonico, quale in fondo riteneva di essere. Non che Aristotele non fosse altrettanto fondamentale. Ricordo infatti la sua traduzione e il commento alla Metafisica, dove venivano colte le intenzioni sistematiche dello stagirita. Per ogni studente che si avventurava, con qualche dubbio, nella selva di quel testo, Reale era un saldo punto di riferimento filologico. Come lo fu sull’intera filosofia antica. Eppure, era Platone il filosofo al quale sempre tornava. Reale aveva in qualche modo sposato l’interpretazione fornita dalla “scuola di Tubinga”, secondo la quale il filosofo andava letto e interpretato soprattutto alla luce delle dottrine non scritte. Quel mondo misterioso, impalpabile, iniziatico che Platone costituì sotto il nome di Accademia, affascinò il pensiero di Reale. Quasi che nella scena che si profilava si potesse leggere lo scontro drammatico tra la scrittura e la vivente dialettica. Non era questa, in fondo, la misura stessa con cui Socrate aveva esaltato la forza della parola orale contro quella scritta?
Certo, diverse e fondate furono le critiche a quel metodo di lavoro che privilegiava un inse- gnamento non scritto, forse perfino segreto, ma del quale restano poche e indimostrabili tracce. Ma ad affascinare Reale contribuì la constatazione che Platone fosse al centro di una rivoluzione epocale che in qualche modo coinvolgeva perfino le nostre esistenze. Anche noi, come lui, dentro un’epocale trasformazione. Per quanto riguarda Platone c’era il passaggio tutt’altro che indolore da una civiltà orale, fondata sul mito e l’immagine, a una civiltà della scrittura sorretta dall’argomentazione razionale. Cosa avrebbe guadagnato e perso l’uomo greco con questa rivoluzione? Si sarebbe staccato dalla seduzione del fantastico e dalla bellezza, anche tragica, dell’epico per abbracciare qualcosa che, con la forza del solo Logos, avrebbe segnato l’intero Occidente. Una vittoria che poteva vestire i panni della sconfitta o viceversa: una sconfitta che si sarebbe potuto leggere come una vittoria. Questa era la scena. Platone ne fu pienamente consapevole e sebbene non volle rinunciare del tutto a ciò che si stava abbandonando, al tempo stesso, dovette farsi interprete di quel nuovo mondo che avanzava e che prese il nome di metafisica. I suoi scritti decretarono che si potesse e dovesse pensare non più per immagini ma per concetti. La sua teoria delle idee fu, secondo Reale, l’approdo naturale a un modo nuovo di affrontare il tema della verità.
Platone colse i limiti della scrittura, come alcuni interpreti hanno dichiarato rifacendosi alla Lettera V-II. Dopo lunghe discussioni, quel testo fu attribuito a Platone ed è considerato – insieme al Fedro – il documento più esplicito circa i dubbi che Platone formulò nei riguardi della parola scritta, incapace di esprimere tutta la profondità del pensiero filosofico. Peccato che quelle cose Platone le abbia pensate e dette scrivendo. Fu una delle obiezioni forti mosse sia alla scuola di Tubinga che a Reale. Quest’ultimo non se ne preoccupò più di tanto, continuando a pensare che i due volti di Platone – il corpus degli scritti e l’accademia dove trionfò l’oralità della dialettica – fossero entrambi indispensabili per comprenderne il messaggio filosofico.
Reale è stato un curioso metafisico nel tempo del tramonto della metafisica. Negli ultimi anni, si interessò alla filosofia di Martin Heidegger. C’è bisogno di idee forti, altro che pensiero debole, aveva sostenuto, vedendo crescere l’interesse attorno alla figura di questo controverso pensatore. Contrariamente a quello che in genere si pensa, e cioè che Heidegger sia un antimetafisico, Reale sostenne che egli sia stato uno dei più grandi metafisici della storia del pensiero occidentale. Anche sulla religiosità Reale intuì il profondo coinvolgimento di Heidegger. Non so quanto fosse la sincera e tormentata passione del credente e non piuttosto il tentativo di ricondurre la teologia alla filosofia, ma è certo che in quella lettura, a nostro avviso poco plausibile, ci fosse una sintonia profonda, quasi un sovrapporsi di identità. La stessa, anche se in misura più lieve, che per tutta la vita ha riguardato la sua relazione ventriloqua con Platone. Mi chiedo se quest’uomo affabile, cerimonioso e non privo di una qualche punta di vanità non abbia con la sua lettura dato vita, involontariamente, a una specie di “Zelig” della filosofia, tanto più efficace quanto più capace di adattare quel sistema complesso di idee platoniche al mondo contemporaneo. Naturalmente non c’è una risposta. Ogni uomo è la sua terra. Ed è giusto rendere omaggio alla sua fedeltà all’antico. E al suo sogno platonico.


****
ARMANDO TORNO, CORRIERE DELLA SERA -
G iovanni Reale è morto ieri mattina nella sua casa di Luino. Era nato a Candia Lomellina il 15 aprile 1931. Ha lavorato sino a poche ore prima alla traduzione degli ultimi undici dialoghi «socratici» di Platone che, come usava dire, «mi mancavano». Quando usciranno da Bompiani nel 2015 avremo il «tutto Platone» di Reale. Ha chiuso l’esistenza con il filosofo del suo cuore, del quale sostenne per primo in Italia la tesi delle dottrine «non scritte»: sono da cercarsi nelle lezioni sui principi primi che teneva all’interno dell’Accademia e noi conosciamo solo attraverso testimonianze indirette. Debuttò con Aristotele, sul quale pubblicava nel 1961 un saggio dedicato all’unità della Metafisica, opera che tradurrà nel 1968 per l’editore Loffredo in due volumi, poi continuamente ripensata e riproposta (da Vita & Pensiero e Bompiani).
È difficile riassumerne l’immenso lavoro, i libri che scrisse, le battaglie condotte, quanto osò in editoria. Diremo semplicemente che fu il grande Mario Untersteiner a portarlo in cattedra e ad affidargli la cura degli Eleati per la celebre, e oggi impensabile, opera Zeller-Mondolfo sulla filosofia antica; inoltre, per la «Biblioteca di Studi Superiori» de La Nuova Italia, lo incaricò per l’edizione dei frammenti di Melisso. Si era formato in Germania, dove fu inviato dopo la laurea da padre Agostino Gemelli («Portami un po’ di Atene in Cattolica», gli disse) e cominciò a insegnare nei licei. Difficile elencare le opere che curò non ancora ordinario, ma tra esse va ricordata la traduzione con un saggio esemplare della Metafisca di Teofrasto (La Scuola 1964). Giunto in cattedra raddoppiò l’impegno, fondando tra le altre la collana di studi sul pensiero antico di Vita & Pensiero, ora diretta da Roberto Radice, suo successore in Cattolica (134 titoli usciti).
È nota l’apertura mentale. Cenava con Giovanni Paolo II, che lo incaricò di curare le sue opere, e difese con fermezza don Luigi Verzé quando i più lo abbandonarono (insegnò all’Università Vita-Salute del San Raffaele); scrisse un libro con Umberto Veronesi ( Responsabilità della vita , Bompiani 2013), fece dibattiti al Parolario di Como con Peppino Englaro, portò Eugenio Scalfari in Cattolica, firmò con il cardinale Angelo Scola — tra l’altro suo allievo —l’opera Il valore dell’uomo (Bompiani 2007). Era un credente convinto, libero come un vero filosofo. Mai si sclerotizzò nelle varianti filologiche o in camarille care agli accademici: per questo scrisse non pochi libri divulgativi, oltre a testi su Socrate (Rizzoli) o sull’Europa (Raffaello Cortina). Con Elisabetta Sgarbi diede vita a una serie d’arte, uscita da Bompiani. Opere quali Il gran teatro del Sacro Monte di Varallo o Raffaello. La Stanza della Segnatura abbinano le sue analisi ai film della Sgarbi offrendo contributi sorprendenti.
Con lui scompare un maestro e un amico, il magnifico storico del pensiero greco-romano (10 volumi, Bompiani) o l’autore, con Dario Antiseri, della vasta Storia della filosofia dalle origini a oggi (14 volumi, Bompiani). Con Antiseri ha anche pubblicato nel 2103 per l’editrice La Scuola i tre volumi de Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi . È pronta — venduta benissimo a Francoforte — un’opera, sempre per La Scuola e sempre con Antiseri, intitolata Cent’anni di filosofia. Da Nietzsche a oggi (uscirà nel gennaio 2015). Di più: ha diretto per Bompiani, dopo aver iniziato con Rusconi, le collane «Il pensiero occidentale» e «Testi a fronte»: rappresentano, con oltre 300 volumi usciti, una delle più grandi raccolte di opere filosofiche al mondo. Giulio Giorello, che pubblicò in «Scienza e idee» di Raffaello Cortina, da lui diretta, tre titoli di Reale, ci confida a proposito: «Ha abituato gli italiani a leggere la filosofia con l’originale a fronte». Ed Emanuele Severino, suo collega in Cattolica: «Lo ricordo come un carissimo amico, di grande ingegno, con il quale ho avuto un intenso rapporto filosofico. Avevamo in comune la convinzione che il pensiero greco fosse la chiave per capire lo sviluppo della civiltà occidentale».
Reale ha firmato tra l’altro le traduzioni dei frammenti dei Presocratici, delle Vite di Diogene Laerzio, delle opere di Plotino, Seneca, Agostino. Nel «Pensiero occidentale», in novembre, uscirà una raccolta di scritti di Togliatti. È l’omaggio più concreto per i cinquant’anni dalla morte. Reso da un filosofo cattolico dal cuore libero.

*****
MIRELLA SERRI, LA STAMPA -
«È stato un grande rivoluzionario. Quest’affermazione può sembrare paradossale tenuto conto del suo rivolgersi indietro, al mondo classico, ma è così. Giovanni Reale ha influenzato e orientato moltissimo il pensiero filosofico attuale con il ricercarne le radici»: è molto commosso Roberto Radice per la scomparsa, a 83 anni, del suo maestro. Il filosofo è stato uno dei pensatori più vicini a Reale, tra i suoi allievi più amati, e vive nella stessa Luino dove era andato a risiedere anche il grande traduttore e interprete dell’opera di Platone, nato a Candia Lomellina.
«Per la sua rilettura dell’autore del Fedone e per quella di Aristotele, Reale ha consentito a molti filosofi contemporanei di approfondire i concetti di scienza e tecnica in Occidente. E’ questa una profonda portata della sua speculazione: ha rovesciato come un guanto la lettura dello scrittore della Metafisica. Prima dei suoi interventi, il pensiero di Aristotele veniva considerato una specie di collage, uno zibaldone filosofico. Ma Reale, fin dai primi studi, come Il concetto di filosofia prima e l’unità della Metafisica di Aristotele, ne ha capovolto l’interpretazione più tradizionale: al centro dell’opera aristotelica mette la definizione della metafisica come scienza delle cause e dei princìpi primi, come scienza della sostanza e della verità».
Reale, pensatore cattolico, ripropone l’utilizzo della saggezza antica che può, se non guarire, almeno aiutare a superare i mali dell’uomo contemporaneo: la rilettura dei classici ci aiuta a vivere meglio, ad andare oltre il nichilismo contemporaneo. «Secondo l’Aristotele di Reale qualcosa si muove non perché riceve un impulso. Esemplifichiamo questo concetto con un’immagine: siamo motori a trazione anteriore, veniamo trascinati ma non spinti. Un analogo discorso innovativo il filosofo lo ha applicato a Platone», osserva ancora Radice, esperto di Filone di Alessandria e dell’età ellenistica, autore di una poderosa ricerca su «I lessici elettronici su Aristotele, Platone, Plotino e gli Stoici» (Biblia editore). «Reale ha importato in Italia gli studi della scuola platonica di Tubinga e ha assestato un bel colpo all’interpretazione romantica. Il corpus degli scritti platonici non è unitario: questo depone a favore della tesi secondo cui il vero Platone andrebbe cercato nelle “dottrine non scritte”. Questi insegnamenti sono ricostruibili solo indirettamente, cioè nei discorsi tenuti all’interno dell’Accademia. Platone afferma che al vertice della realtà si trova il principio bipolare, in cui i due poli, come in un magnete, risultano essere indivisibili. In altri termini in ogni cosa che vedo, penso e tocco vi sono due forze: una che tende all’unità (Uno) e l’altra alla divisione (Diade). Se ho una torta è Una e se la divido vince la Diade, se la taglio in quattro vince ancora la Diade. Ma se ho una persona e la taglio in due non ho più nulla. Ecco la forza dell’Uno. Le conseguenze? Un individuo che ha avuto milioni di esperienze è sempre se stesso. La lettura di Reale ha puntato molto sul pensiero platonico dedicato ai numeri, ricollegandosi alle basi concettuali della scienza e della matematica moderne».
Molte opere di Reale sono state tradotte all’estero, il grande interprete del pensiero greco si è dedicato non solo alla speculazione ma alla ricostruzione storica e alla divulgazione. Lo ha fatto, per esempio, attraverso la monumentale Storia della filosofia greca e romana (Bompiani) in dieci volumi e attraverso i volumi di Storia del pensiero filosofico e scientifico redatti insieme a Dario Antiseri. Qual è dunque la principale caratteristica di queste opere che hanno fatto di Reale uno dei filosofi italiani più noti anche a livello internazionale? «E’ stata l’adozione di un punto di vista molto particolare da parte nostra», osserva Antiseri che per anni ha lavorato con il filosofo anche tramite scambi telefonici quasi quotidiani e che avrebbe dovuto accompagnarlo nei prossimi giorni al liceo di Casale Monferrato dove aveva studiato e dove si stava allestendo un incontro con l’ex alunno così famoso. «In senso metaforico, non siamo mai montati in cattedra. Tutti i nostri lavori sono partiti dal desiderio di illustrare i testi filosofici e non di trasformarci in un tribunale, in giudici del pensiero filosofico. Così Marx, per esempio, l’abbiamo fatto criticare dal revisionista Eduard Bernstein o gli abbiamo contrapposto le riflessioni di Gramsci. Mi piace poi ricordare il grande interesse di Reale per il pensiero di Agostino e in particolare per la “terza navigazione”. Platone nel Fedone usa la metafora marinara e parla dell’importanza della “seconda navigazione” che si intraprende quando cadono i venti e bisogna mettere mano ai remi. La “prima navigazione” è invece quella con le vele al vento e corrisponde al tragitto compiuto da Platone sulla scia dei naturalisti. La seconda va oltre la sfera del sensibile e alla conquista del soprasensibile. Ma Agostino aggiunge la “terza navigazione” in cui è come se Platone vedesse da lontano la patria e ci fosse di mezzo il mare… Che si può solcare solo con la fede ovvero con il legno della croce. Giovanni ne era molto attratto… Insieme comunque avevamo appena terminato una nostra peculiare traversata durata più di tre anni, in due tomi e mille e 600 pagine: una storia della filosofia da Nietzsche ai nostri giorni. E’ stata appena venduta alla Fiera di Francoforte e sono molto addolorato perché quando uscirà Giovanni non sarà con me a festeggiarla».

*****
CORRADO OCONE, IL MESSAGGERO -
Non è esagerato dire che con Giovanni Reale, morto ieri mattina a Luino in provincia di Varese all’età di 83 anni, scompare uno dei filosofi e storici della filosofia italiani internazionalmente più conosciuti. Egli era entrambe le cose, sia storico sia filosofo, come non sempre accade per chi fa proprio oggetto di studio principale il pensiero antico. Non si è mai limitato a interpretare filologicamente gli autori di quel lontano passato, ma ha anche preso posizione netta sia sulle tematiche principali della filosofia sia sui suoi problemi attuali. L’idea centrale che ha ispirato la sua imponente ricerca è quella della genesi tutta greca del pensiero e della civiltà occidentali, compresi i suoi recenti sviluppi tecnico – scientifici.
CRISTIANESIMO
Lo stesso cristianesimo, secondo la sua interpretazione, si è reso dottrina e istituzione inserendosi sul tronco delle categorie concettuali elaborate dalla metafisica greca, in particolare da Platone e Aristotele. Si può dire che, pur non sottovalutando l’apporto etico e di saggezza pratica degli antichi (oggi è quasi una moda farlo), egli ha insistito soprattutto sul fatto che quell’etica era inserita in una visione generale delle cose del mondo, in una metafisica. Questo vale per Aristotele, l’unitarietà di fondo del cui pensiero è evidente, ma lo è anche, secondo lui, per Platone. Nell’importante Per una nuova interpretazione di Platone (1991), Reale, in accordo con le tesi della Scuola di Tubinga, mostra come le “dottrine non scritte” del filosofo, di cui parlano ampiamente gli allievi e le testimonianze, fossero ancora più importanti di quelle scritte. Il che mostrerebbe una linea di continuità forte con il suo maestro, Socrate, che, come è noto, non aveva scritto nulla. Originale è stata anche la sua interpretazione che Reale ha dato di Aristotele, Plotino, Agostino, tanto che può dirsi che egli ha rinnovato in maniera radicale, oltre che dottamente argomentata, l’ermeneutica della filosofia antica.
INTERPRETAZIONE
In sostanza, i due concetti per lui centrali in questa interpretazione, e in fondo per capire l’intera nostra civiltà, sono quelli, dai greci elaborati, di logos e psyché. Il logos rappresenta l’idea che vera conoscenza è la messa in relazione delle idee, in modo organico e unitario, secondo un progetto di organicità ove ogni elemento è interdipendente rispetto agli altri; la psyché è invece l’anima, che non è affatto un’invenzione cristiana avendo i Greci molto insistito (come ha sottolineato anche Foucault) sulla filosofia come “cura di sé”, cioè attenzione costante al proprio mondo interiore e all’universo delle passioni che lo abita. Reale era un fervente e impegnato cattolico, amico personale sia di papa Wojtyla sia di Ratzinger. Al primo, di cui aveva curato (insieme a Styczen) le opere complete per Bompiani, aveva dedicato quest’anno (stesso editore) un’importante monografia: Un pellegrino dell’assoluto. In un ricordo di Reale, non si può certo poi tralasciare il contributo da lui dato alla promozione e alla divulgazione della cultura filosofica. Un’attività che egli ha svolto soprattutto attraverso la direzione di importanti collane presso gli editori Bompiani e La Scuola. Nel primo caso, vanno ricordati I classici della filosofia che, con nuove traduzioni e il testo a fronte, ha fatto dell’editore milanese il riferimento per la letteratura filosofica di base in Italia. Per La scuola di Brescia, egli, oltre a vari testi di esegesi cattolica, ha pubblicato una diffusissima (anche all’estero) storia della filosofia per i licei, scritta insieme a Dario Antiseri. D’altronde, sono ben tredici le lingue in cui sono stati tradotti i più importanti volumi di Reale, conosciuti in tutto il mondo. Essendo la sua bibliografia sterminata, qui mi limito a ricordare: Saggezza antica (1996); Platone. Alla ricerca della sapienza segreta (1997); Corpo, anima e salute (1998); Socrate. Alla scoperta della sapienza umana (1999). E, soprattutto, la fondamentale Storia della filosofia greca e romana in cinque volumi. Recentemente, Reale era stato al centro di una polemica con Luciano Canfora, Mario Vegetti e altri storici, sull’esistenza di una «dittatura culturale del marxismo» nel secondo dopoguerra in Italia. Gli argomenti da lui usati per dimostrarla sono molto forti, ma, d’altronde, la sorte stessa toccata alle sue idee, ostracizzate per molto tempo dall’accademia italiana, ne rappresenta empiricamente un buon esempio.
Corrado Ocone