Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica 16/10/2014, 16 ottobre 2014
ORELLANA, L’EX GRILLINO CHE HA SALVATO IL GOVERNO FACENDO ARRABBIARE I DURI E PURI DEL M5S
Una scialuppa di salvataggio, nel tempestoso mare del Senato. Una barchetta che tenga a galla il governo di Matteo Renzi e lo affranchi da compromessi difficili con Forza Italia. A formarla, potrebbero essere alcuni parlamentari eletti con l’M5S, ma cacciati o comunque usciti dal gruppo. Quello che è successo martedì, con Luis Orellana che dice sì al documento di Economia e Finanza facendo arrivare il governo alla sospirata quota 161, potrebbe quindi ripetersi in altre occasioni, e a opera di altre persone. Le manovre di avvicinamento del Pd sono continue, perché i numeri, a Palazzo Madama, sono ballerini da sempre. Matteo Renzi incassò la sua prima fiducia il 24 febbraio con 169 voti. Sul jobs act, ne ha avuti 165. Ieri, sul decreto stadi, 164. A parte il problema politico dei civatiani (Corradino Mineo, Felice Casson e Lucrezia Ricchiuti avevano votato no alla legge delega sul lavoro per l’articolo 18), i voti che spesso mancano sono quelli della galassia di centro. I popolari Mario Mauro e Tito Di Maggio si tirano fuori da mesi. Martedì non c’era il neoacquisto dell’Ncd (da Gal) Pietro Langella. E poi vabbè, Pier Ferdinando Casini era a Ginevra, Pietro Ichino aveva un problema di famiglia, il democratico Renato Turano era a Chicago e un altro senatore pd - Ignazio Angioni - ha fatto tardi. «Paradossalmente, quel che è accaduto sul def è molto positivo - dicono nelle stanze del Pd al Senato - perché finalmente tutti hanno capito qual è il rischio». Il presidente dei senatori pd Luigi Zanda non è meno esplicito: «Di fatto, il governo ha appena 4 voti di vantaggio. Non possiamo considerare acquisiti i senatori a vita, che spesso non ci sono. Continuiamo quindi a subire gli effetti velenosi del porcellum di Calderoli e Berlusconi. Sia in aula che in commissione, ogni singola votazione deve essere preparata con grandissima cura». Con margini così ristretti, tutto diventa prezioso. Anche il voto di Lorenzo Battista, che dai 5 stelle è passato al misto per poi transitare nel gruppo per le autonomie (è stato il primo a votare per Renzi, con la fiducia al jobs act). O quello di Luis Orellana, che su singoli temi - di volta in volta - valuterà se convergere con il Pd. Potrebbero fare lo stesso Adele Gambaro (che votò la fiducia al governo Letta), o la neofuoriuscita Cristina De Pietro: non è ancora tornata a Palazzo Madama, ma tutti la attendono per capire quale strada voglia intraprendere. Perché per quanto assurdo possa sembrare, all’interno del misto i 5 stelle sono divisi in 3 gruppi. Ci sono i battitori liberi Mastrangeli, Nitori e Gambaro. Quelli di “Movimento X” (Paolo Romani, Bartolomeo Pepe, Silvia Bignami e Maria Mussini) e il gruppo di cui fa parte Orellana, “Italia lavori in corso”, con Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino, Monica Casaletto, Paola De Pin e Alessandra Bencini. Per ora, l’ultimo gruppo ha interloquito per lo più con Sel, e alle regionali appoggia quel che resta dell’Altra Europa di Tsipras. E però - dice Campanella - «non abbiamo pregiudizi nei confronti di nessuno, i renziani finora ci hanno cercato solo per chiedere voti, non hanno aperto una discussione politica. Per questo non ci fidiamo, e di volta in volta decidiamo come comportarci. Luis ha sbagliato perché non ha detto quello che intendeva fare ».Nel frattempo, in una giornata convulsa in cui i grillini hanno attaccato con violenza Luis Orellana (gli insulti vanno da verme, a venduto e traditore) scoppia un’altra grana alla Camera. Sul blog, un post non firmato invita i parlamentari a dismettere il server di Montecitorio, perché il deputato che lo ha gestito fino a qualche mese fa -Massimo Artini - avrebbe compiuto delle irregolarità. Un’accusa che arriva (guarda caso) alla vigilia dell’elezione del prossimo capogruppo, carica per cui era in pole position proprio Artini. Le voci parlano di un rischio espulsione. Il deputato toscano che in realtà ha aiutato i suoi colleghi appena arrivati in Parlamento con un sistema operativo che permettesse loro di comunicare - dice di essere sereno: «Non ho fatto nulla di scorretto». Patrizia Terzoni lo difende apertamente su Facebook, e un’altra deputata dice chiaro: «Se lo fanno fuori succede un casino. Se ne va la maggior parte di noi, possono giurarci».
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L’intervista
Orellana dice che lui, i social network, li guarda poco. È ancora sereno quando risponde dall’aula di Palazzo Madama, mentre su Internet da ore - lo ricoprono di insulti. Il deputato Manlio Di Stefano lo definisce “sanguisuga”, pubblica le sua indennità - e quella degli altri fuoriusciti - e spiega che i dissidenti (di cui allega foto segnaletica) volevano solo tenersi tutti i soldi. Alessandro Di Battista si ripromette di «pizzicarlo»: «Che schifo d’uomo, lo farò vergognare». Carlo Sibilia twitta «verme», gli attivisti fanno di peggio.
Senatore, lei ha tradito.
«Io ho solo creduto che al Paese potesse essere utile lo spostamento del pareggio di bilancio al 2017. Mi sento libero di votare. È la Costituzione a darmi questa libertà, quella Carta che i grillini dicono tanto di voler difendere».
Sapeva di essere determinante per il def?
«Non ne avevo idea, ma mi meraviglio che mi attacchi perfino la Lega. A Calderoli bastava rifiutarsi di presiedere, per far sì che il governo andasse sotto».
I 5 stelle la accusano di essersi venduto al Pd, di aver sempre agito per soldi.
«Stanno perdendo il lume della ragione. Sono stati loro a cacciarmi, insistono su una posizione becera in Parlamento, e pretendono che io mi adegui a quella posizione?».
Di cosa parla?
«Della chiusura totale, della pura propaganda. I voti dati ai 5 stelle sono voti buttati al vento. All’inizio decidevamo sui singoli provvedimenti, abbiamo fatto passare la legge per il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Poi c’è stata la deriva».
Non si sente in colpa verso i suoi elettori?
«Chi mi ha eletto ha capito benissimo che credevo servisse un atteggiamento diverso nei confronti dei governi che si succedono. Al Senato i 5 stelle sono passati da 54 a 39 parlamentari: qualche domanda dovrebbero farsela i grandi capi, non io». (a. cuz.)
Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica 16/10/2014