varie 16/10/2014, 16 ottobre 2014
ARTICOLI SULLA MANOVRA ECONOMICA DAI GIORNALI DI GIOVEDI’ 16 OTTOBRTE 2014
MARCO MOBILI E MARCO ROGARI, IL SOLE 24 ORE -
Una manovra da 36 miliardi per il 2015. Che tiene conto dei 2,7 miliardi di tagli alla spese e di 2,6 miliardi di nuove entrate dall’aumento della tassazione delle rendite finanziarie previsti in entrambi i casi in via strutturale del decreto Irpef. È quella varata ieri dal Consiglio dei ministri. Con cui vengono confermati i 18 miliardi di riduzione di tasse e contributi su imprese e famiglie, in primis attraverso la stabilizzazione del bonus da 80 euro (che solo contabilmente cambia pelle e diventa uno sgravio contributivo) e l’azzeramento della componente lavoro dell’Irap. Viene, poi, fatta scattarare una nuova spending da 12,3 miliardi, che sale a quota 15 miliardi considerando quella messa in moto dal decreto Irpef. Al suo fianco dovrà marciare la lotta all’evasione che dovrà garantire maggiori entrate per 3,8 miliardi: dai nuovi controlli fai da te "che cambiano verso" al ravvedimento operoso più lungo fino al "reverse charge" Iva limitato a poche categorie. Sono poi previsti altri 2 miliardi di nuove entrate fiscali.
Su quest’ultimo fronte 1 miliardo è atteso dalla stretta sulle slot machine e un altro miliardo da un nuovo intervento sulle rendite finanziarie, che riguarda le fondazioni bancarie, l’aumento della tassazione sui fondi pensione (come anticipato ieri dal Sole 24 Ore) e le rendite delle polizze vita incassate dall’erede.
Tra le novità dell’ultima ora una dote di 800 milioni per sgravi fiscali a 900mila partite Iva con ricavi da 15mila a 40mila euro con il nuovo regime di tassazione semplificato, l’attivazione di un nuovo fondo per gli investimenti per infrastrutture e 100 milioni individuati come garanzia aggiuntiva dello Stato per l’operazione Tfr in busta paga della quale viene previsto l’avvio a giugno 2015.
La legge di stabilità per il 2015 non include la nuova "local tax" unica sulla casa e neppure il riordino delle tax expenditures e delle partecipate. Al netto degli interventi strutturali già adottati nei mesi scorsi con il decreto Irpef, la "ex Finanziaria" vale poco più di 30 miliardi e prevede, come già annunciato dal Governo, un utilizzo della leva del deficit per 11 miliardi rimanendo comunque sotto il tetto del 3%. Ma la "stabilità" assicura anche al Governo una "riserva" o "cuscinetto di sicurezza" da 3,4 miliardi anche per far fronte a ulteriori richieste della Ue sul rispetto dei parametri di deficit.
La manovra "espansiva" voluta da Matteo Renzi poggia su tre misure: la stabilizzazione del bonus da 80 euro, senza alcun allargamento della platea, che vale su tutto il 2015 9,5 miliardi compresi i 2,7 miliardi già garantiti in via strutturale dal decreto Irpef; l’azzeramento della componente lavoro Irap con un alleggerimento per le imprese di 6,5 miliardi che, ai fini del bilancio pubblico, diventano 5 miliardi in termini di cassa per il 2015; la totale decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato con le tutele crescenti dal valore di 1,9 miliardi.
Arrivano poi 500 milioni in sconti fiscali alle famiglie per il sostegno dei figli fino al terzo anno di età. Poco meno di 300 milioni sono destinati al credito d’imposta per la ricerca. Vengono poi prorogati l’ecobonus del 65% e il bonus del 55% per le ristrutturazioni edilizie. Altri 500 milioni vanno alla riforma per la "buona scuola" (assunzione insegnanti precari e alternanza scuola lavoro). Confermato l’allentamento per 1 miliardo del Patto di stabilità interno sui Comuni. E viene aperto uno spazio nel Patto con la Ue per 1,2 miliardi sul cofinanziamento.
Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan hanno anche disinnescato, facendo leva sui tagli di sepsa, la clausola fiscale (sotto forma di aumenti di accise e aliquote) da 3 miliardi ereditata dal Governo Letta e hanno voluto prevedere già in partenza una copertura certa da 6,9 miliardi per tutto il bacino delle cosiddette spese indifferibili: dal 5 per mille alle missioni di pace. Sono poi garantiti 250 milioni per il passaggio delle spese fin qui a carico dei Comuni per i tribunali e 150 milioni ai Comuni di Milano (per l’Expo) e di Roma (per gli oneri come capitale).
Tra le misure contenute nella "stabilità" in chiave spending l’estensione a tappeto dei costi e fabbisogni standard per i Comuni, la stretta sui Caf e la soppressione del Pra. Sul fronte delle maggiori entrate la "ex Finanziaria" indica in 600 milioni quelle dalla banda larga e in 1 miliardo la dote ricavata dalla riprogrammazione dei fondi Ue per effetto del piano Delrio.
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LORENZO SALVIA E MARIO SENSINI, CORRIERE DELLA SERA -
La manovra di bilancio per il 2015 sale a 36 miliardi di euro, con 18 miliardi di tasse in meno, una riduzione della spesa pubblica di 15 miliardi e una clausola di salvaguardia per l’eventuale correzione del deficit pubblico di 3,4 miliardi di euro, ovvero quello 0,25% del prodotto interno lordo che ci chiede la Ue, e che il governo proverà ad evitare fino all’ultimo. L’impostazione generale non cambia ed anzi, l’aumento della dimensione della manovra, ne accentua le caratteristiche espansive.
Sono confermati il bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti (9,5 miliardi), cui si aggiungono 500 milioni per le famiglie numerose, la possibilità di avere il Tfr maturando in busta paga (la garanzia statale alle banche costa 100 milioni), l’eliminazione della componente lavoro dall’Irap (5 miliardi), gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato (1,9 miliardi), la riforma degli ammortizzatori sociali (1,5), l’allentamento del Patto di Stabilità per i Comuni (un miliardo), ma nella manovra entra anche un nuovo regime di favore per le piccole partite Iva, con sgravi per 800 milioni.
Bonus per l’edilizia
Il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti al di sotto dei 26 mila euro lordi l’anno viene confermato ma cambia forma: sarà una detrazione vera e propria e quindi uno sgravio fiscale e non una spesa come figura oggi in bilancio, con un conseguente alleggerimento della pressione fiscale. Non c’è il meccanismo del quoziente familiare che avrebbe alzato la soglia di reddito per le famiglie numerose e con un solo stipendio.
L’intervento sarebbe costato troppo, in compenso viene creato un fondo da 500 milioni di euro per le famiglie, che sarà utilizzato per un sostegno per i nuovi nati fino al terzo anno di età e l’esenzione del ticket per le famiglie con figli. Confermato anche il meccanismo dell’anticipo in busta paga del Tfr, il trattamento di fine rapporto. Su base volontaria, sarà possibile chiedere fino al 100% della somma maturata nel corso dell’anno. Prorogati di un anno i bonus fiscali del 65 e del 50% per gli adeguamenti energetici e sismici e per le ristrutturazioni edilizie. Sulla scuola viene confermato lo stanziamento di un miliardo di euro per l’assunzione degli insegnanti precari.
Premi per le assunzioni
La componente costo del lavoro diventa totalmente detraibile dall’Irap, l’imposta sulle attività produttive. Si tratta di un taglio da 6,5 miliardi di euro (anche se l’effetto sul bilancio sarà di 5 miliardi) che avvantaggerà soprattutto le grandi imprese, lasciando fuori quelle senza dipendenti, il 70% del totale. La novità vera riguarda le partite Iva: pagherà tasse a forfait chi guadagna meno di 15 mila euro lordi l’anno a prescindere dall’età. In sostanza viene esteso il cosiddetto regime dei minimi, con 800 milioni di euro a beneficio di 900 mila persone. Per azzerare i contributi alle aziende che assumeranno con il nuovo contratto a tutele crescenti, cioè a tempo indeterminato ma senza articolo 18, il governo mette sul piatto 1,9 miliardi di euro. Mentre un altro miliardo e mezzo viene stanziato per gli ammortizzatori sociali.
Le risorse deriveranno intanto da uno slittamento del deficit pubblico dal 2,2% del pil, cui sarebbe sceso naturalmente, al 2,9%, un’operazione che vale 11 miliardi di euro, ma soprattutto dai tagli di spesa, che secondo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, valgono 15 miliardi nel 2015. La maggior parte dei risparmi sarà a carico delle amministrazioni centrali dello Stato (6,1 miliardi), e realizzata attraverso la centralizzazione degli acquisti, mentre le Regioni contribuiranno con 4 miliardi (di cui una parte deriveranno dalla sanità), i Comuni con 1,2 miliardi e le province con 1 miliardo. Altri 3,8 miliardi saranno recuperati dall’evasione fiscale. Un miliardo scaturirà da una stretta sugli«split payments», cioè i versamenti Iva nell’ambito degli acquisti della pubblica amministrazione, quasi altrettanto dall’applicazione del reverse charge Iva ad alcuni servizi alle imprese, come pulizia, mensa e manutenzione.
No a taglio detrazioni
La stretta fiscale riguarderà anche le ristrutturazioni immobiliari, ma non a carico dei cittadini. Dovrebbe infatti aumentare la ritenuta d’acconto trattenuta dalle banche al momento del pagamento della fattura alle imprese (era al 10% poi fu ridotta al 4% e dovrebbe tornare all’8%). Altri 700 milioni arriveranno dal rafforzamento degli strumenti dell’Agenzia delle Entrate per spingere i contribuenti alla compliance prima della fase dell’accertamento: ci dovrebbe essere un’estensione del ravvedimento operoso e la possibilità di integrare più agevolmente le dichiarazioni. Sempre sul fronte delle maggiori entrate la manovra annovera altri 3,6 miliardi, che includono i 2,4 derivanti dall’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie già decisa l’anno scorso e servita anche a coprire il bonus di 80 euro per quest’anno. Tra le nuove misure spunta un aggravio delle imposte per le fondazioni di origine bancaria per 450 milioni di euro, e un aumento del prelievo sui rendimenti dei fondi pensione per una cifra analoga, cui si aggiungono 300 milioni che derivano dall’aumento dell’aliquota sulla rivalutazione del Tfr. Con la manovra saranno coperti anche 6,9 miliardi di spese «a politiche invariate», tra queste, oltre alle missioni di pace e al 5 per mille, ci sono i 3 miliardi che dovevano arrivare dal taglio delle detrazioni e che saranno coperti in altro modo.
Lorenzo Salvia
Mario Sensini
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ANTONELLA BACCARO, CORRIERE DELLA SERA -
TFR Un’operazione a costo zero per le imprese. Da appena 100 milioni per lo Stato. Ma molto costosa per i lavoratori. Il provvedimento sull’anticipo del Tfr (trattamento di fine rapporto) in busta-paga, vistato dalla Ragioneria, entra in extremis nella legge di Stabilità varata ieri sera dal consiglio dei Ministri. Verranno rispettate le due condizioni annunciate dal governo: volontarietà della scelta di incassare anzitempo il Tfr da parte del lavoratore e nessun deficit di liquidità per le imprese, soprattutto quelle medio-piccole. Ma chi sceglierà di avere il Tfr in busta paga subirà su queste somme la tassazione secondo l’aliquota marginale. È questa, secondo le indiscrezioni, l’ipotesi sulla quale è orientato il governo. L’operazione Tfr in busta paga, quindi, non sarebbe conveniente, soprattutto per i redditi medio-alti.
Il testo definitivo non è stato distribuito ieri in conferenza stampa. Il meccanismo prevede che le banche che anticiperanno alle imprese le risorse per pagare il Tfr in busta-paga avranno la stessa remunerazione che oggi viene garantita al Tfr in azienda (1,5% più lo 0,75% del tasso d’inflazione). Il provvedimento dovrebbe avere un arco temporale che terminerebbe nel 2018 (data che coincide con la scadenza delle Tltro, l’operazione di rifinanziamento mirata a lungo termine della Bce).
Il dipendente privato (per quello pubblico la norma non vale) potrà fare richiesta di ottenere il Tfr in busta-paga mensilmente anziché alla fine del periodo lavorativo.Visto che l’accantonamento del Tfr corrisponde a circa una mensilità all’anno, per un lavoratore che incassi 1.400 euro netti significa ottenere in busta-paga più di 100 euro al mese per 13 mensilità. L’impresa per cui lavora dovrà farsi certificare dall’Inps il diritto alla prestazione. Tale certificazione verrà trasmessa alla banca che deciderà se erogare il finanziamento. Al termine del periodo lavorativo del dipendente, sarà l’azienda a dover restituire i soldi alla banca finanziatrice. Se non lo farà, la banca per recuperare le spettanze dovrà rivolgersi al fondo di garanzia dell’Inps. La novità sta nella controgaranzia dello Stato, pari a 100 milioni per il 2015. Tale controgaranzia consente alle banche di non trovarsi in difficoltà con le regole di Basilea perché evita loro di farsi carico di un fardello patrimoniale per i finanziamenti legati al Tfr in busta paga. Il provvedimento, previo decreto attuativo e successivo protocollo tra ministeri competenti e Abi, dovrebbe essere operativo a metà 2015 con effetto retroattivo dall’inizio dell’anno.
Ci sono due aspetti ancora da chiarire. Il primo attiene appunto alla cifra che lo Stato potrebbe incassare per la tassazione della parte del Tfr che entra in busta-paga e che una stima quantifica minimo in un miliardo e mezzo e massimo in 4 miliardi. L’altro aspetto riguarda il fondo Inps che raccoglie i versamenti effettuati dalle imprese sopra i 50 dipendenti, importi che con la nuova normativa potrebbe perdere. La manovra conterrebbe anche un altro aumento secco del prelievo, quello dell’aliquota sui rendimenti dei fondi pensione dall’11,5% al 20%.
Antonella Baccaro
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FABIO SAVELLI, CORRIERE DELLA SERA -
IRAP Il risparmio per il conto economico sarebbe di circa 720 euro per dipendente. Ipotizzando che l’azienda ne abbia quindici (la gran parte delle piccole imprese italiane è al di sotto della fatidica soglia fissata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), questo significa un minor peso fiscale di 10.762,50 euro all’anno, presumendo che si tratti di una realtà da 1,3 milioni di euro di fatturato e con un costo di produzione di poco inferiore, di circa 1,1 milioni di euro.
La simulazione — condotta dal gruppo di studio torinese Eutekne, che analizza quotidianamente i cambiamenti normativi in materia di fisco — parte dal presupposto della deducibilità integrale ai fini Irap del costo dei lavoratori dipendenti, misura inserita dal governo nel disegno di legge di Stabilità. Allo stato attuale — senza cioè l’intervento sulla componente costo del lavoro dell’imposta regionale per le attività produttive — l’azienda campione paga all’erario oltre 16mila euro all’anno, presumendo che l’ammontare complessivo del costo del lavoro (stipendi, contributi, tasse) sia stimabile attorno ai 600 mila euro all’anno (di cui 180 mila di contributi previdenziali e assistenziali e 420 mila di pura retribuzione). La somma interamente deducibile sarebbe pari a 292 mila euro, immaginando un’aliquota fissata al 3,5% (aliquota disciplinata dalle regioni in maniera non uniforme e in una forbice che può arrivare fino al 4,9%).
Rilevano i commercialisti Giancarlo Allione e Luca Fornero, autori del dossier, che la misura dell’esecutivo sanerebbe l’attuale squilibrio tra un’azienda che produce in Italia e un’altra che ha delocalizzato all’estero, dove non esiste l’Irap. Ecco perché gli esperti di Eutekne definiscono l’imposta un «mostro giuridico», perché finora ha incentivato le aziende a portare lavoro oltre-confine e perché l’assegno recapitato all’erario è proporzionale al numero di dipendenti e di collaboratori.
In filigrana si può affermare che la deducibilità integrale Irap per i lavoratori avvantaggerà le grandi imprese, perché sono quelle che hanno un maggior numero di dipendenti. Di più: il calcolo va tarato su base regionale anche perché - oltre alla differente aliquota applicata - è diverso anche il peso delle deduzioni. Perché nelle regioni meridionali il risparmio d’imposta sarà minore per la fiscalità di vantaggio delle aree più svantaggiate. Da quest’anno la deduzione forfettaria per chi lavora a tempo indeterminato in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia risulta già pari a 15 mila euro (dai 9.200 del 2013), mentre nelle altre regioni è esattamente la metà: 7.500 euro. Così la misura finirà per avvantaggiare soprattutto le imprese del Nord che potranno usufruire di un maggiore sconto fiscale. Al netto di una minore deducibilità del tributo regionale ai fini Ires e Irpef.
Restano comunque le altre due voci dell’Irap: quelle sui profitti e sugli interessi passivi. Altri due balzelli difficilmente comprensibili per chi produce all’estero e vuole venire da noi.
Fabio Savelli
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ALESSANDRO BARBERA, LA STAMPA -
Sale ancora la scommessa di Matteo Renzi. Non venti, non trenta, ora la legge di Stabilità per il 2015 vale 36 miliardi di euro. Con la solita astuzia politica, il premier gioca coi numeri, conteggiando alcune poste già introdotte l’anno scorso: il saldo è in realtà pari a poco meno di 31 miliardi di euro. Si tratta in ogni caso di una manovra fra le più importanti dai primi anni novanta, senza precedenti per l’entità dei tagli alle tasse (18 miliardi fra il 2014 e il 2015) e - sulla carta - per i tagli alla spesa (15 miliardi), che però ieri il governo non ha precisato nel dettaglio. Occorrerà attendere il testo definitivo del disegno di legge, che ora passa alle Camere e, soprattutto, al vaglio dell’Europa.
Tasse, giù Irpef e Irap
La voce più importante della manovra è la trasformazione del bonus da 80 euro in una riduzione strutturale di tasse: secondo le stime del governo l’anno prossimo varrà 9,5 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i 500 milioni destinati al rafforzamento del bonus per chi ha più figli a carico. È confermata la cancellazione dell’Irap nella parte che gli imprenditori pagano per ciascun dipendente: nel 2015 saranno cinque miliardi di euro. Sono confermati gli sgravi per chi assume a tempo indeterminato, mentre - è una novità di ieri sera - il governo ha deciso di mettere a bilancio 800 milioni di euro per ridurre le tasse alle partite Iva con meno di 35 anni e un reddito non superiore ai trentamila euro. Ci saranno 1,5 miliardi per allargare la platea di chi usufruisce dei sussidi di disoccupazione, un miliardo per allentare il patto di Stabilità dei Comuni, i quali però avranno una riduzione dei trasferimenti correnti. Cento milioni di euro verranno destinati alla copertura della norma che permetterà di chiedere l’anticipo del Tfr. In sintesi: se fino a oggi è stato possibile chiedere la liquidazione solo per alcune e specifiche ragioni (acquisto della prima casa, spese mediche) d’ora in poi li si potrà chiedere in ogni caso. La copertura limitata della misura lascia intendere che la norma escluderà i lavoratori pubblici.
Ecobonus confermati
La fretta di scendere in conferenza stampa (erano già passate le 22) ha fatto sì che le slides contenessero alcuni errori: nella lista delle riduzioni fiscali mancava la conferma nel 2015 dei due ecobonus per la ristrutturazione degli appartamenti. Tesoro e Infrastrutture, interpellate a riguardo, spiegano che «le due misure sono previste»
Tagli e nuove entrate
Come verrà finanziato tutto questo? In conferenza stampa Renzi ha presentato alcune slides con la lista delle entrate e delle uscite, peccato non abbia dato alcuna conferma ufficiale sulla composizione dei risparmi che arriveranno in gran parte da tagli sugli acquisti dei ministeri e dalle Regioni, le quali potranno decidere in autonomia se risparmiare sulla spesa sanitaria, su altre voci, o aumentando le addizionali Irpef. «Decideranno le Regioni», ha detto Padoan. «Sono sicuro non lo faranno», lo ha corretto Renzi.
Il premier ha poi confermato che ben un terzo della manovra - 11 miliardi - sarà finanziato in deficit. Quindi le nuove entrate: la voce «lotta all’evasione» vale 3,8 miliardi, un miliardo arriverà dall’aumento delle tasse sulle slot machine, altri 3,6 miliardi dalla «tassazione delle rendite finanziarie». Qui dentro ci sono i 2,4 miliardi di nuove tasse già introdotte l’anno scorso, una riduzione delle agevolazioni per le fondazioni bancarie (400 milioni), altri 300 milioni da un ritocco della tassazione a carico dei fondi pensione.
La «riserva» per l’Ue
Questi numeri ora passano al vaglio di due istituzioni: la Commissione europea e il Parlamento. Il passaggio più difficile sarà con Bruxelles che aveva chiesto all’Italia di destinare alla riduzine del debito pubblico fra gli otto e i dieci miliardi di euro, mentre per ora il governo prevede un settimo di quella cifra. Dalle parole di Renzi si capisce che la trattativa per raggiungere un compromesso è in corso: «Abbiamo messo da parte 3,4 miliardi, non si sa mai». Se Bruxelles chiederà all’Italia un rafforzamento dei risparmi, il governo li prenderà da lì.
Twitter @alexbarbera
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FABIO MARTINI, LA STAMPA -
Non era una mattinata qualunque. Lo spread tornava su, Piazza Affari andava giù, Bruxelles scrutava minacciosa, ma il presidente del Consiglio - bulimico come è - ha continuato ad occuparsi anche d’altro, non si è lasciato «distrarre». Tanto è vero che - per dirne una - nel giorno forse più importante della sua carriera politica, Renzi non ha voluto rinunciare all’appuntamento con Oprah Winfrey.
Winfrey, la regina dei salotti tv americani, che si è presentata a Palazzo Chigi con un vestito rosa confetto e sandali rosati anche loro. Per non parlare di una chiacchierata di prima mattina con l’amico-nemico Diego Della Valle.
L’uomo è fatto così, per lui la politica è fatta di tante cose, anche se ovviamente in queste ore quel che conta è la Legge di Stabilità. Quarantotto ore fa le direttive di Renzi erano state tassative, con una raccomandazione per le ultime sorprese: «Dentro ci devono assolutamente essere anche il Tfr, gli sgravi per le partite Iva e la manovra può andare anche oltre i 30 miliardi...». Detto e fatto nello sprint delle ultime 24 ore. Il risultato, una manovra monstre, potenzialmente capace di produrre quella scossa sul sistema-Italia attesa da anni, anche se alcune coperture sono ancora da «scoprire».
Ma soprattutto - ed è questa la novità politica e sociale più grande - una manovra «interclassista», come ai tempi della prima Dc: un risultato che l’ex giovane democristiano Renzi dietro le quinte ha fortissimamente voluto e che alla fine è riuscito a disegnare. Sono di nuovi premiati, con gli 80 euro, i ceti medio-bassi. Ma stavolta con gli sgravi Irap e per i nuovi assunti, è festa per le imprese e infatti Renzi, nella conferenza stampa finale, ha voluto enfatizzare questo dato, rivolgendosi ad un immaginario imprenditore: «Mamma mia e di più che vuoi?». E un segnale di attenzione c’è anche per «le partite Iva a basso livello di reddito». E, con un’ulteriore sapienza comunicativa, quella varata ieri è anche una manovra bipartisan: «Abbassare le tasse potremmo dire che è di sinistra, ma lascerei stare che poi ne dobbiamo parlare con Angelino: mentre altrove la riduzione è appannaggio di alcune forze politiche, in Italia non è di sinistra né di destra, ma da persone normali perché si era arrivati a un livello pazzesco».
Certo, una manovra che sembra finanziare il deficit - proprio come si usava nella Prima Repubblica - spese per le quali la copertura è in parte da «scoprire». Una manovra destinata comunque ad accendere gli occhiuti riflettori di Bruxelles. E proprio nella sfida con la capitale d’Europa, Matteo Renzi sta preparando le due nuove scommesse. La prima: mettendo nel conto una possibile riserva da parte della Commissione europea, nelle prossime ore il presidente del Consiglio si misurerà la palla e se le reazioni dovessero rivelarsi ostili, a quel punto Renzi potrebbe decidere di ripetere, «contro» Bruxelles, lo schema amici-nemici, sempre efficace per la psicologia collettiva italiana.
Renzi pregusta quindici giorni di «guerriglia» con Bruxelles, replicando quello schema già collaudato in casa con i politici da rottamare, i superburocrati, i sindacati, la Rai. Uno spazio polemico che il responsabile economia Pd Filippo Taddei, lascia capire: «Non è scontato che la Commissione Ue dia il suo assenso. Ma difficilmente l’Europa potrà dare un giudizio negativo». Ed esattamente in questo spazio - tra iniziale giudizio negativo e possibile assenso finale - si colloca la seconda scommessa di Renzi, che in queste ore ha confidato: «Barroso è più rigido, con Juncker ci sarà un esame più sereno». E comunque Renzi lo sa: anche una eventuale battaglia anti-Bruxelles, avrebbe un’impronta bipartisan, promettendo di occupare anche spazi dell’area populista e di sinistra.
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STEFANO LEPRI, LA STAMPA -
La questione non è più tanto se la Commissione europea accetterà questi numeri, quanto se li considererà verosimili. Gli obiettivi che il governo si pone con la legge di stabilità approvata ieri sera appaiono validi. Le risorse per raggiungerli non è chiarissimo come saranno trovate; 3,8 miliardi dalla lotta dell’evasione fiscale e 15 da tagli alle spese sono cifre di grande ambizione.
Matteo Renzi l’ha definita una manovra di bilancio «anticiclica», ossia, in gergo economico, volta a rilanciare l’economia.
Non è esattamente così. Nelle grandi cifre, è grosso modo neutrale; scelta corretta rispetto all’intervento ulteriormente recessivo che sarebbe risultato da una applicazione schematica delle regole europee.
Potrà essere espansiva se sarà costruita bene, sostituendo soldi ben spesi a soldi mal spesi. Al calo del prelievo fiscale, 8 miliardi aggiuntivi ai 10 già promessi, dovrebbe accompagnarsi una vera riduzione di spese poco utili. Potrà esserlo se le grandi riforme, come spera Piercarlo Padoan, avranno effetti pronti sulla fiducia di chi lavora e di chi investe.
Tre ipotesi sono possibili. Primo, gli interventi sulla spesa saranno maldestri; l’esperienza passata sui «tagli lineari» ci dice che cambiano poco e per di più non durano. Secondo, i tagli sono fittizi e il deficit 2015 oltrepasserà la soglia del 3%, con rialzo dei tassi sul debito e sanzioni europee. Terzo, i tagli saranno ben concepiti, e proprio per questo solleveranno una tempesta di resistenze.
Purtroppo incidere sulle cattive erogazioni di denaro pubblico per una cifra così grande, 12,3 miliardi aggiuntivi rispetto alle misure già in corso, richiede che si colpiscano interessi costituiti ben capaci di difendersi. E’ già partita al contrattacco la politica locale, dove gli sprechi sono assai diffusi. Vedremo nelle prossime ore chi altri alzerà le barricate.
Solo riforme efficaci e un uso migliore delle risorse possono azzittire chi in Europa vorrebbe costringerci a una regola – quella dell’«obiettivo di medio termine» – sorpassata dall’evolversi della crisi. L’Italia l’aveva fatta propria, inserendola anche nella Costituzione, dopo gli enormi rischi corsi nel 2011; rispettarla quest’anno significherebbe altri posti di lavoro in meno.
Tutta l’economia mondiale non riesce ad uscire appieno dalle difficoltà, come mostrano anche i dati giunti ieri dagli Stati Uniti; il ribasso del greggio segnala timori di recessione. E’ assurdo dare la colpa di tutto all’austerità nell’area euro, visto che anche Svezia e Svizzera sono in deflazione; varie sono le cause se anche la gran parte dei Paesi emergenti rallenta.
In passato, il vincolo delle regole esterne ha fatto solo bene all’Italia, ponendo freni alla cattiva politica. Ora una azione di rilancio spetterebbe alla Germania, che ha i bilanci in ordine. Non lo vuole fare, per una debolezza politica interna che ributtata all’esterno sembra forza; e allora il male di gran lunga minore è che l’Italia temporaneamente vi si sottragga.
I rischi ci sono. Lo mostra la Grecia, che nell’attuale fase di calma dei mercati finanziari progettava di sottrarsi in anticipo alla sorveglianza della troika (Commissione europea, Bce, Fmi). Meglio che non lo faccia – si vede in queste ore – soprattutto perché politicamente non è stabile, elezioni anticipate non possono essere escluse, con una vittoria dell’estrema sinistra.
L’Italia non è né fragile come la Grecia né altrettanto malmessa; però è anche otto volte più grande. Per questo gli altri Paesi dell’area euro diffidano di noi. Dobbiamo loro chiarezza di propositi; e, magari, anche la lucidità di indicare verso quali regole migliori potremmo muoverci tutti insieme.
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ROBERTO PETRINI, LA REPUBBLICA -
Il governo Renzi gioca la carta del taglio delle tasse per riprendere per i capelli un’economia ormai in recessione da tre anni e porta la “Finanziaria” a quota 36 miliardi. La legge di Stabilità varata ieri dal consiglio dei ministri destinerà 18 miliardi al taglio delle tasse (“Un fisco pazzesco, è il calo più forte nella storia della Repubblica”, ha detto Renzi): per rilanciare i consumi (gli 80 euro in busta paga diventano strutturali e la possibilità del Tfr in busta paga), per aiutare le aziende (va via la contestata Irap sul lavoro), per assume i giovani (1,9 miliardi di sconti contributivi per contratti a tempo indeterminato).
“Imprenditori non avete più alibi, se non assumete”, ha detto Renzi riferendosi al combinato disposto di sconti, Irap e articolo 18. Aiuti arrivano alle emergenze del paese: disoccupati (1,5 miliardi per i nuovi ammortizzatori sociali), piccole partite Iva (regime forfettario per chi fattura fino a 15 mila euro), famiglie numerose (500 milioni).
Parte della manovra viene fatta in deficit, cioè 11,5 miliardi, il pareggio strutturale viene rimandato, ma il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan assicura che l’impatto delle misure consentirà una crescita dello 0,6 per cento il prossimo anno. Se si fosse agito diversamente ci sarebbe stato il quarto anno di Pil negativo.
Per far fronte all’ultima ora alle risorse necessarie si è forzato si portata la spending review da 13 a 15 miliardi: contribuiranno beni e servizi delle amministrazioni dello Stato, Regioni (con mancato aumento del Fondo sanitario), Province e Comuni.
La lotta all’evasione viene cifrata in 3,8 miliardi a colpi di banche dati e stretta sulle procedure di pagamento dell’Iva. Arrivano anche tasse: la più rilevante è quella sui fondi pensione, ma un contributo viene chiesto alle Fondazioni bancarie.
La legge di Stabilità ora va a Bruxelles e Renzi è fiducioso nell’approvazione: “Rispettiamo i vincoli”.
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ROBERTO MANIA, LA REPUBBLICA -
Tfr in busta paga. L’operazione scatterà dalla seconda metà del prossimo anno, cioè dal mese di giugno, e sarà valida per il triennio 2015-2018. Sarà su base volontaria e non avrà alcun impatto sui costi delle imprese. Mentre per lo Stato si tradurrà in nuove entrate fiscali con l’anticipo del Tfr trattato ai fini Irpef al pari di un incremento di reddito. Saranno esclusi i lavoratori del pubblico impiego e quelli del settore agricolo. Potranno aderire anche i lavoratori che hanno dirottato il proprio Tfr nei fondi di previdenza complementare. Riguarderà il Tfr maturato a partire dal primo gennaio 2015 e non lo stock già accumulato. La tassazione sulle rendite dei fondi pensioni potrebbe impennarsi dall’attuale 11,5 al 20 per cento.
È una delle novità più importanti della legge di Stabilità varata ieri sera dal governo. L’obiettivo è quello, in una fase di emergenza dell’economia, di provare a immettere più risorse nelle buste paga dei lavoratori per alimentare i consumi interni dopo che l’operazione 80 euro ha in gran parte fallito l’intento. Certo, bisognerà vedere quanti lavoratori decideranno di spendere tutta o parte della liquidazione anziché continuare a lasciarla nelle casse delle propria azienda, che così, in particolare le piccole, si autofinanzia a tassi assai vantaggiosi, oppure investirli nei fondi pensionistici integrativi come fa oggi meno del 30 per cento dei lavoratori italiani.
Il perno dell’operazione rimane la volontarietà. Dunque sarà il singolo lavoratore a decidere come utilizzare gli accantonamenti delle propria liquidazione che nell’arco dell’anno è pari circa all’ammontare di una nuova mensilità. Se dovesse chiedere che gli venga anticipato il Tfr maturato l’anno precedente, la sua azienda si rivolgerà alle banche le quali erogheranno il prestito a tassi identici a quelli con i quali viene attualmente remunerato il Tfr (1,5 per cento più lo 0,75 per cento del tasso di inflazione). È dunque un meccanismo a tre: lavoratore, imprese e banche. Con lo Stato che fa da garante anche attraverso l’apposito fondo dell’Inps.
Quando cesserà il rapporto di lavoro, l’azienda non erogherà più al lavoratore l’ammontare della liquidazione, bensì sarà l’azienda a restituire alla banca il prestito ottenuto in precedenza. Prestito che nel passato le imprese avevano proprio dai lavoratori. Perché è bene chiarirlo: il Tfr rappresenta una forma di retribuzione differita, appartiene al lavoratore.
Nel caso, proseguendo sugli aspetti procedurali, l’azienda non dovesse restituire il debito contratto con la banca quest’ultima potrà rifarsi sul fondo presso l’Inps, a sua volta garantito dallo Stato. Per questa ragione nella legge di Stabilità sono stati stanziati 100 milioni di euro.
Questa complicata operazione dovrebbe, tra l’altro, consentire nuove entrare fiscali nelle casse dello Stato: secondo le simulazioni dei tecnici potranno essere tra 1,7 miliardi e 5,6 miliardi, a seconda del tasso di adesione.
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LUCA CIFONI, IL MESSAGGERO -
Trentasei miliardi. L’importo della legge di Stabilità cresce ancora, inglobando però anche alcune voci del decreto Irpef dello scorso aprile. Ma soprattutto il governo tenta di allargare la propria strategia affiancando ad una robustissima revisione della spesa pubblica una serie di operazioni in chiave anti-evasione fiscale. Il tutto al servizio di quella che il presidente Renzi ha nuovamente definito la più grande operazione di riduzione fiscale della storia della Repubblica. Uno sforzo quantificato in 18 miliardi (numero simbolico perché coincide con il contestato articolo dello Statuto dei lavoratori) e basato essenzialmente su cinque misure. La prima è la conferma del bonus da 80 euro al mese per i lavoratori dipendenti, che però potrebbe cambiare veste sul piano tecnico trasformandosi da credito d’imposta a detrazione. In ogni caso sarà una misura strutturale, permanente, il cui valore complessivo scende leggermente da 10 a 9,5 miliardi l’anno. A questo intervento viene aggiunto un piccolo impegno supplementare a beneficio delle famiglie, con uno stanziamento di 500 milioni che con tutta probabilità sarà usato per incrementare gli sgravi per i nuclei con figli fino a tre anni. Per le imprese il piatto forte è senza dubbio la cancellazione dalla base imponibile dell’Irap della voce costo del lavoro. La novità, che premia sostanzialmente tutte le imprese salvo quelli senza dipendenti, vale circa 5 miliardi in termini di cassa il primo anno (per il gioco di acconti e saldi), e poi 6,5 l’anno a regime. A fronte di questo alleggerimento tornerà però al 3,9 per cento l’aliquota, che era stata portata ad aprile al 3,5.
I NUOVI CONTRATTI
Si presenta consistente anche la decontribuzione dei nuovi contratti a tutele crescenti e a tempo indeterminato. Nella presentazione seguita al consiglio dei ministri è stata “cifrata” in 1,9 miliardi, più di quanto fosse stato ipotizzato nelle scorse ore. Infine vale 800 milioni a favore delle partite Iva il potenziamento dell’attuale regime fiscale dei minimi.
Non sono queste però le uniche novità di carattere fiscale. Oltre alle misure contro l’evasione fiscale, da cui l’esecutivo si attende nell’insieme 3,8 miliardi, ci sono alcuni inasprimenti a carico in particolare delle fondazioni bancarie e dei fondi pensione (con l’aumento dell’imposta sui rendimenti): in tutto 1,2 miliardi che si aggiungono ai 2,4 di maggiore tassazione sulle rendite inclusi nel decreto Irpef. Infine l’operazione Tfr in busta paga, di cui restano da chiarire gli aspetti fiscali: per chi lo vorrà i versamenti della liquidazione inizieranno ad affluire nello stipendio a partire dalla metà del prossimo anno, con una tassazione che però potrebbe risultare non favorevole.
Quanto ai possibile effetti sulla crescita, il ministro Padoan non si è sbilanciato, confermando la stima di un Pil a +0,6 per cento il prossimo anno; l’impatto dovrebbe risultare poi più significativo dal 2013. Intanto di sicuro la manovra viene accolta con soddisfazione dal mondo imprenditoriale, come ha detto il presidente di Confindustria Squinzi; nella serata di ieri poi c’è stata anche una telefonata di disgelo tra Renzi e Diego Della Valle.
Luca Cifoni
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ANDREA BASSI, IL MESSAGGERO -
Deficit, tagli e nuove tasse su rendite e giochi. Per recuperare i 36 miliardi necessari (30,9 quelli netti se si escludono le risorse già stanziate nel vecchio provvedimento del bonus) il governo mette mano a tutto l’armamentario possibile. Che la costruzione sia stata complessa, tuttavia, lo dimostra anche l’errata corrige che in tutta fretta il Tesoro ha dovuto consegnare in Parlamento per eliminare dal Def le stime sugli effetti recessivi che la spending review avrebbe avuto sui conti pubblici. Il motivo è chiaro. Nelle slides presentate da Renzi ieri, alla voce tagli di spesa sono iscritti ben 15 miliardi di euro. Anche in questo caso, però, bisogna scomputare i 2,7 miliardi dei tagli già previsti dal precedente decreto sul bonus e conteggiati dal governo nel totale. Ma restano sempre più di 12 miliardi di tagli. Da dove arriveranno? Sei miliardi circa saranno a carico dello Stato, dei ministeri.
GIRO DI VITE
Una cifra elevata e, quasi sicuramente, non limitata al solo taglio del budget dei dicasteri ma allargata a molte delle proposte messe nero su bianco dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, dallo spegnimento delle luci alla razionalizzazione delle Forze di polizia. Uno sforzo pesante sarà chiesto anche alle Regioni. Nei loro bilanci dovranno essere trovati 4 miliardi di risparmi. Secondo Renzi, in realtà, si tratterebbe solo di 2 miliardi, in quanto già a legislazione vigente i budget dei governatori il prossimo anno sarebbero lievitati di 2 miliardi. Tra le righe dovrebbe significare che potrebbe essere bloccato il programmato aumento del Fondo sanitario. Ma anche i restanti due miliardi di tagli potrebbero avere ripercussioni indirette sulla sanità. La sfida sarà riuscire a risparmiare sugli acquisti di farmaci e dispositivi medici, altrimenti l’unica strada sarà quella di aumentare le tasse regionali, come ha ammesso il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
TUTTE LE NOVITA’
Ai Comuni, invece, sarà richiesto uno sforzo minore: 1,2 miliardi di euro. A fronte di questo i sindaci avranno un maggiore spazio nel patto di stabilità interno per un miliardo e il governo si farà anche carico del pagamento delle spese dei tribunali oggi a carico dei Municipi. Un analogo sforzo, un miliardo di euro, sarà richiesto anche alle Province. In questo caso molto si agirà sul personale, che grazie alla riforma Madia potrà essere spostato ad altri impieghi. Ma se l’elenco dei tagli di spesa è lungo, anche le «nuove entrate» daranno un contributo sostanziale alla legge di stabilità. Dalla lotta all’evasione arriveranno 3,8 miliardi di euro. Novecento milioni arriveranno dal «reverse charge», l’inversione contabile, il meccanismo per cui a versare l’Iva in alcuni casi non sarà più il compratore ma il venditore. Da questa misura il governo si attendeva di più, fino a 2 miliardi. Ma l’Europa ha frenato l’allargamento dell’operazione legando le mani al governo. C’è poi un capitolo ribattezzato «fisco amico». La legge di stabilità rivoluzionerà i meccanismi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate ma, contemporaneamente, introdurrà anche dei nuovi meccanismi per fare la pace (a sconto) con il Fisco. La copertura della manovra non sarà tuttavia, solo spending e lotta all’evasione. C’è anche un capitolo, corposo, di nuove entrate. Tradotto significa nuove tasse. Ad essere colpiti saranno innanzitutto i Fondi pensione, per i quali il prelievo salirà dall’11,5% al 12,5% (Renzi ha derubricato questa operazione ad aumento della tassazione sulle rendite, anche se in realtà si tratta di risparmio previdenziale). Stretta anche per le Fondazioni di origine bancaria la cui tassazione agevolata sarà ritoccata. Giro di vite da un miliardo di euro anche sui giochi. Il pay out, ossia la vincita restituita ai giocatori sulle New slot, sarà ridotta dal 74% al 70%. Contemporaneamente dovrebbe essere anche ritoccato il Preu, il prelievo unico erariale che potrebbe aumentare da 1 a 5 punti percentuali a seconda del gioco. Una parte consistente della legge di stabilità, come ampiamente anticipato nei giorni scorsi, sarà comunque finanziata lasciando salire dal 2,2 al 2,9% il deficit del prossimo anno. Un allentamento che da solo vale 11,5 miliardi.
Andrea Bassi
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LUCA CIFONI, IL MESSAGGERO -
Un ritorno all’antico, o meglio al passato recente, quello in cui la tassa sugli immobili si chiamava solo Imu. Ma con un’attenzione particolare da una parte a responsabilizzare gli enti locali, dall’altra semplificare la vita al cittadino. Così insieme all’amplissimo margine di manovra concesso ai sindaci in materia di detrazioni appare destinata a sparire anche la quota della Tasi, variabile tra il 10 e il 30 per cento, posta a carico dell’inquilino o di chi comunque detiene l’immobile pur non essendo il proprietario.
LA VIA PIÙ SEMPLICE
La semplice riunificazione di Imu e Tasi sembra la via più praticabile per predisporre una normativa che possa entrare in vigore già nel 2015. Più complesso sarebbe inserire nel nuovo tributo anche l’addizionale Irpef, oppure passare ad una vera e propria tassa sui servizi quale quella che era stata abbozzata ma poi sostanzialmente abbandonata nel 2013: di quella impostazione, che doveva servire a differenziare la Tasi sull’abitazione principale dalla vecchia Imu, era sopravvissuta appunto solo la parziale e quasi simbolica imposizione a carico dell’inquilino.
I CONSUNTIVI
Il nuovo assetto potrebbe essere inserito in un provvedimento collegato alla legge di Stabilità o nei decreti attuativi della delega fiscale. I tempi sono quindi ancora da definire: la volontà del governo di accelerare è chiara, non mancano comunque gli aspetti critici. Intanto gli stessi Comuni non sono convinti della fattibilità in tempi brevi dell’operazione. Visto che anche il 2014 è stato un anno di novità, con il debutto della Tasi avvenuto per giunta con modalità molto confuse, l’Anci preferirebbe basare la costruzione del nuovo tributo sui consuntivi precisi, per evitare errori nella ripartizione del gettito tra i vari enti locali. Se però alla fine il nuovo tributo partirà dal prossimo anno, le amministrazioni comunali dovranno definire in corsa le nuove aliquote in modo da assicurare gli stessi effetti finanziari, compito certo non facile.
In ogni caso per i cittadini dovrebbe essere un po’ più facile calcolare l’imposta dovuta e fare i necessari adempimenti. Per gli immobili diversi dall’abitazione principale il pagamento sarà unico, invece che suddiviso tra Imu e Tasi. Del resto anche oggi i due tributi sono legati dal tetto complessivo all’aliquota, attualmente fissato al 10,6 per mille eventualmente incrementabile di un ulteriore 0,8 per mille legato alla concessione di detrazioni a beneficio dell’abitazione principale. Per quel che riguarda quest’ultima dovrebbe mantenere un’aliquota non troppo distante da quella della Tasi nel 2014.
POSSIBILITÀ LIMITATE
Ma la vera semplificazione per i contribuenti potrebbe arrivare proprio sul fronte delle detrazioni. Oggi i Comuni, con l’obiettivo (non sempre conseguito in pieno) di evitare aumenti di prelievo rispetto a quanto pagato in passato sull’Imu, prevedono un range di detrazioni quanto mai ampio: in genere decrescenti al crescere della rendita catastale, ma anche in alternativa legate alla situazione familiare o anche al reddito personale misurato attraverso l’Isee.
Nello scenario futuro è invece previsto il ritorno ad una detrazione nazionale unica per l’abitazione principale (quella per l’Imu era fissata in 200 euro più 50 per ciascun figlio) o quanto meno un drastico disboscamento delle attuali combinazioni: i sindaci avrebbero a disposizione due o tre variabili da incrociare in modo limitato.
Luca Cifoni
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STEFANO FELTRI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Evviva, evviva: Matteo Renzi sfascia l’austerità, taglia le tasse di 18 miliardi, regala soldi alle imprese, infila la liquidazione in busta paga ai dipendenti, conferma gli 80 euro, favorisce le assunzioni, c’è perfino qualcosa per le partita Iva. Tutti felici e tutti grati al premier e al Pd: un utile consenso, casomai arrivassero presto le elezioni.
Qualche obiezione però dovrebbe essere lecita. Primo: le coperture sono, come sempre, all’italiana. Oltre 11 miliardi arrivano dall’aumento del deficit: come dire che la copertura non c’è. Ma visto che ormai siamo tutti keynesiani, chiudiamo un occhio. Però ci sono i tagli: non ai tanto odiati “sprechi”, visto che il commissario alla revisione Carlo Cottarelli è stato licenziato e il suo lavoro sepolto negli archivi. No, si taglia (poco) sui ministeri e (molto, 6,2 miliardi) su Regioni ed enti locali: solo chi è in malafede può sostenere che ci sia ancora grasso da asportare. Dopo quattro anni in cui lo Stato centrale ha sottratto oltre 40 miliardi a Regioni e Comuni, ogni ulteriore stretta ridurrà i servizi, visto che le tasse non si possono più alzare senza rivolte di piazza (anche se il ministro Padoan è favorevole a un aggravio delle imposte locali). L’austerità è ottusa, non c’è dubbio. E va ridiscussa perché non sta funzionando. Ma ancora una volta l’Italia viola i suoi impegni, oggi su debito e domani sul deficit, e non per finanziare investimenti che creino la base della crescita dei prossimi anni, ma per una versione rinforzata della deludente “operazione 80 euro”. Legittimo, ma il crollo delle Borse di ieri sulle voci di elezioni anticipate e di rigetto del rigore in Grecia dimostra quanto fragile è la tregua concessa dallo spread.
Spendere in deficit e sbertucciare Bruxelles è facile. La parte difficile è affrontare le sanzioni europee – ormai certe – e l’eventuale furia dei mercati. Oltre a quella dei cittadini, se dovessero scoprire che i regali della politica sono prestiti con tasso di interesse da usura.
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MARCO PALOMBI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Alla fine, di riffa e di raffa, la manovra vale 36 miliardi. Certo le coperture sono un po’ strutturali, un po’ una tantum (la vendita delle frequenze, riprogrammazione di fondi europei), un po’ farlocche (3,8 miliardi da trucchetti fiscali chiamati “gigantesca lotta all’evasione”), ma quando il Consiglio dei ministri finisce Matteo Renzi è felice. Ogni misura che illustra è un metaforico gesto dell’ombrello a chi non gli credeva: “Diciotto miliardi è la più grande riduzione di tasse mai fatta da un governo nella storia della Repubblica”, gongola , “tagliare le tasse è di sinistra”, anzi no “da persone normali” visto il livello “pazzesco” della pressione fiscale. Riassumendo, anche se lui non lo sa, la sua è una manovra tutta giocata sul lato dell’offerta: peccato che questa sia una crisi di domanda. Lo sintetizza perfettamente lo stesso premier in conferenza stampa, quando si rivolge al mondo delle imprese: “Caro imprenditore, assumi a tempo indeterminato? Ti tolgo l’articolo 18, i contributi e la componente lavoro dall’Irap. Mamma mia, cosa vuoi di più?”. Meno diritti e meno welfare in cambio di un po’ d’occupazione ricattabile: gran cambiamento di verso. Va detto che Confindustria e soci hanno festeggiato i 6,5 miliardi di euro di minor Irap (che si uniscono alla conferma strutturale degli 80 euro di Irpef) annunciati dal governo, ma forse dovrebbero stare più attenti e controllare il loro portafoglio ordini: se è pieno di fatture in lingua straniera fanno bene, ma se vendono soprattutto in Italia non hanno capito cosa sta succedendo.
MANOVRA RECESSIVA. Tutti dicono che la legge di stabilità di Matteo Renzi è “espansiva”, lui la definisce “seria”. Non è né l’una né l’altra cosa. Oltre la metà delle coperture vere sono infatti tagli di spesa: 6,1 miliardi sono “risparmi dello Stato”, dice Renzi, formula non chiara che dovrebbe contenere tanto le sforbiciate ai ministeri che il risparmio dovuto ai minori interessi sul debito pubblico. Il resto è più o meno tutto in carico a regioni, province e comuni: otto miliardi o giù di lì. L’altra grossa posta, cioè circa 11 miliardi, è lo spazio che il governo si è concesso aumentando il deficit dal 2,2% tendenziale sul Pil al 2,9%. A parte che l’Italia sforerà il 3% - scelta legittima - ma senza avere il coraggio di dirlo e fare su questo una battaglia a viso aperto, la maggior parte della manovra si basa su tagli (ma non manca qualche tassa, tipo quella sui fondi pensione a cui i lavoratori hanno devoluto il Tfr): applicando qualunque forma di moltiplicatore fiscale (all’ingrosso l’effetto sulla ricchezza delle misure) se ne deduce che questa manovra è recessiva, cioè comprimerà comunque il Pil (certo, nulla a confronto coi fasti di Mario Monti). I tagli di tasse, infatti, non hanno l’effetto espansivo della domanda diretta dello Stato (che opportunamente calibrata, peraltro, peggiora meno della spesa privata la bilancia commerciale). Il ministro Pier Carlo Padoan però, beato lui, è uomo fiducioso e prevede un andamento crescente del Pil “nel medio periodo”, cioè tra qualche anno, a patto di arrivarci vivi.
PAGANO COMUNI E REGIONI e quindi i cittadini. Questa la sostanza. Il sindaco d’Italia il conto lo ha presentato agli enti locali, già fiaccati da sforbiciate che nelle innumerevoli manovre degli ultimi tre anni ammontano già a una quarantina di miliardi. Chiunque pensi che dopo questa cura sia possibile, in pochi mesi e senza alcun lavoro di effettiva revisione della spesa, tagliare solo eliminando gli sprechi e non toccando i servizi è nella migliore delle ipotesi un illuso. Oppure è Renzi.
Questi tagli significano meno posti negli asilo, più buche per le strade, meno assistenza per gli indigenti e gli anziani, spesa sanitaria ancora in contrazione, zero investimenti. Ovviamente non di soli tagli dei servizi vivono sindaci e governatori in difficoltà: possono sempre aumentare le tasse, vale a dire le addizionali Irpef e tante altre cosette. “Non so se lo faranno - ha ammesso il ministro Padoan - Certo ne hanno la possibilità”. Renzi, invece, preferisce buttarla sul merito: quelli bravi tagliano, quelli cattivi tassano e i cittadini li puniscono nelle urne. “È il federalismo fiscale”, gli fa eco il ministro. Sarà.
La cosa curiosa però è che il governo si è preoccupato di spostare il pareggio di bilancio al 2017 per lo Stato, ma quello degli enti locali scatta ancora a gennaio 2015: significa sei miliardi di tagli diretti, cui va aggiunta la quota degli enti locali dei tagli agli acquisti di beni e servizi (un altro paio di miliardi). Come contentino, i comuni che hanno i soldi in cassa potranno sforare il Patto per fare investimenti: la copertura è un miliardo in tutto. In questo modo, parecchi enti locali rischiano il dissesto. Non lo dice solo Il Fatto Quotidiano, ma persino due parlamentari del Pd. uno renziano, Matteo Richetti, uno in rapporti altalenanti col premier, Francesco Boccia: “Il pareggio di bilancio per gli enti locali deve seguire le regole del governo nazionale: un anticipo al 2015 solo per gli enti locali non sarebbe sostenibile e molte amministrazioni rischierebbero il dissesto”. Così, per dire.
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FRANCO BECHIS, LIBERO -
Sette giorni fa era da 22 miliardi di euro. Alla vigilia del consiglio dei ministri sulla legge di stabilità era salita a 30 miliardi di euro. Ieri sera alle 22 a palazzo Chigi il conto finale è salito a 36 miliardi di euro. Matteo Renzi ha ovviamente battuto il tasto delle tasse tolte, che in realtà sono assai meno di quelle annunciate alla vigilia: per il bonus sugli 80 euro che proroga quello esistente invece dei 10 miliardi previsti ce ne saranno solo 9,5 (e non saranno più un aumento di stipendio, ma una maggiore detrazione tolta dalle tasse dovute). Di sconto Irap erano annunciati 6,5 miliardi di euro, e invece nel 2015 ce ne saranno 1,5 di meno: in tutto 5, e lì sono ricompresi anche i 2 miliardi di sconto che erano contenuti nel decreto sugli 80 euro. I tagli di spesa sono 15 miliardi, e non i 16 annunciati alla vigilia, e al loro interno è nascosta una trappola che è destinata a fare aumentare le tasse ai cittadini: alle Regioni ad esempio sono stati tagliati 4 miliardi di trasferimenti. Dopo il consiglio dei ministri un giornalista ha chiesto durante la conferenza stampa: «Le Regioni dicono di non poterli sopportare, e che quindi dovranno mettere nuove tasse per coprire quei 4 miliardi di lire. Sarà così?». Renzi non ha risposto, scaricando la palla sul ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ha raggelato con la sua risposta i cittadini italiani: «Non lo so. Hanno la possibilità di aumentare le tasse, e se lo fanno è una cosa buona, che finalmente chiarisce che cosa è il federalismo fiscale e di chi è la responsabilità dell’aumento della pressione fiscale». A Renzi è venuto un mezzo coccolone: era come dire che dei 9,5 miliardi di bonus da 80 euro quasi la metà se ne andava via. Forse anche più della metà, perché la domanda riguardava le regioni, ma anche i comuni e le province potrebbero recuperare i tagli fatti dalla spending review (più di 2 miliardi) con analogo aumento della pressione fiscale locale. Già non aveva funzionato il bonus da 80 euro nel 2014, figurarsi se nel 2015 40 euro al mese verranno già sicuramente riassorbiti dalla maggiore tassazione locale rispetto all’anno in corso. Così il premier ha ripreso il microfono e provato a mitigare l’effetto della assai impolitica sincerità di Padoan: «Io non credo che un grande riformista come il presidente delle Regioni, Sergio Chiamparino, decida di aumentare le tasse locali per compensare i tagli. In ogni caso i cittadini sanno che se viene aumentato questo o quel tributo locale, quel sindaco o quel presidente di Regione deve anche dimostrare di dare una migliore qualità di servizi. E poi giudicano. E sanno che questa tassa l’ha messa il sindaco, e questa il presidente del Consiglio o quello delle Regioni». Nonostante il tentativo di correzione, la sincerità di Padoan deve essere assai più vicina a quello che davvero accadrà. Bene sapere quindi che in tasca effettivamente gli 80 euro del 2014 diventeranno 40 euro reali nel 2015, dimezzati. E qualche altro se ne andrà perché nella manovra ci sono molte altre tasse. Nella tabella sulle entrate infatti ci sono 3,6 miliardi di euro dalla tassazione delle rendite finanziarie. Di questi 2,4 erano già previsti per l’aumento delle aliquote al 26% scattate dallo scorso primo luglio (il governo ora li calcola così, ma all’epoca aveva previsto un incasso annuo di 2,6 miliardi di euro). In più c’è 1,2 miliardi di euro di nuove tasse. Alcune di queste riguarderanno le imprese (300 milioni di euro di maggiore tassazione sulle rivalutazioni), altre le banche (450 milioni di euro dalla tassazione delle fondazioni bancarie), ma i restanti 450 milioni di euro li pagheranno i cittadini attraverso l’aumento del prelievo sui fondi pensione obbligatori, la cui tassazione passa dall’11 al 12,5% perdendo ogni agevolazione. In tabella c’è anche una agevolazione fiscale da 800 milioni di euro per le partite Iva. Si tratta però di un costo netto, perché sparisce contemporaneamente l’agevolazione introdotta nel 2011 per i contribuenti minimi, che erano tassati al 5% fino a 30 mila euro lordi. Era una norma prevista per i giovani sotto i 35 anni che non avevano mai aperto una partita Iva. Ora la tassazione passa al 15%, ma viene estesa a tutti fino a 50- 55 mila euro a seconda dei settori, con un regime particolarmente agevolato e forfettario al di sotto dei 15 mila euro. Si allarga la platea, ma per quelli che avevano quel vantaggio prima, si tratta di una tassa triplicata.
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MARCELLO SORGI, IL SOLE 24 ORE -
Intorno alle cifre imponenti della manovra di Renzi si discuterà a lungo: dal rapporto fra tagli di spesa e risorse in deficit alla verosimiglianza dell’intero pacchetto, fino alle effettive coperture. Che sia un progetto ambizioso, è chiaro a tutti. Che sia anche realistico, lo si vedrà presto.
Appare chiaro che il presidente del Consiglio gioca su due fronti. Quello europeo è evidente a tutti. Ma l’ambizione che traspare dai numeri va molto al di là del rigido rispetto dei parametri. Sulla carta il famoso tetto del 3 per cento di deficit è rispettato, ma si sono anche poste le premesse dello sfondamento, nel caso in cui i vari tasselli del mosaico non si collocassero tutti al loro posto: cioè se le maggiori spese non fossero compensate da tagli efficaci e soprattutto autentici. Quindi si coglie un rischio calcolato e persino temerario nelle cifre di Palazzo Chigi, anche se non proprio una sfida all’Unione. Ora spetterà alla Commissione di Bruxelles studiare la manovra nel merito, voce per voce, e giudicare la sua serietà. Non sarà, come tutti prevedono, un esame facile e il pericolo della bocciatura s’intravede sullo sfondo.
Tuttavia c’è anche il secondo fronte, a cui Renzi è particolarmente attento. Un secondo fronte che riguarda il rapporto fra il premier e l’opinione pubblica interna. Sotto questo aspetto la legge di stabilità del centrosinistra è una miscela ben congegnata per piacere al maggior numero possibile di italiani. I miliardi destinati ad abbassare le tasse delle imprese servono, almeno nelle intenzoni, a conquistare il mondo produttivo. Al tempo stesso, gli 80 euro confermati nelle buste paga vogliono rendere più solido il patto politico con i bassi redditi.
È chiaro che l’operazione è tutt’altro che banale. Non è una mera ricerca di consenso; al contrario è soprattutto il tentativo di imprimere una spinta significativa a un’economia che non esce dalla recessione: con un Pil tornato ai livelli di quattordici anni fa, cioè al 2000. Ma in ogni caso è anche una legge molto "politica", nel senso che Renzi l’ha modellata sull’Italia che ha in mente: da un lato, il paese di chi produce e compete sui mercati eppure si sente soffocato; dall’altro, la platea di chi - singoli o famiglie - ha pagato fin qui il prezzo più salato alla crisi. Tale profilo politico della manovra è stato tratteggiato pensando al possibile «blocco sociale» che il premier ha in mente. Quindi è un errore limitarsi a dire che si tratta di una legge scritta pensando alle elezioni anticipate. Anche perché al momento il voto non è vicino, come non è vicina la riforma elettorale maggioritaria che Renzi considera l’indispensabile lasciapassare per le urne.
Detto questo, è certo che si tratti di un passaggio verso il consolidamento del consenso "renziano" nel paese. Consenso che ha bisogno di mettere radici nell’Italia profonda. Poi, una volta rafforzate le radici, il premier potrà giocare con maggiore sicurezza le sue carte. E magari immaginare quel ricorso alle urne che oggi è prematuro. Del resto, è chiaro che una manovra del genere "lacrime e sangue" oggi non sarebbe praticabile in una nazione stremata. Mentre una legge di stabilità come l’attuale permette di tenere in tasca, fin quando non sarà utile, la carta dello scioglimento del Parlamento. E c’è da credere che al momento opportuno, non sappiamo quando, Renzi vorrà giocarla.