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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

QUANDO I COMPAGNI ANDAVANO A SCUOLA


C’era una volta Frattocchie. Nel ‘900 di blocchi contrapposti e ideologie, mondo libero e socialismo reale, era d’aiuto la scuola quadri alle pendici dei Castelli Romani per dare una pletora di strumenti ai futuri parlamentari Pci: dall’interpretazione giusta degli scritti gramsciani e del quadro geopolitico utili ad aprire le riunioni con frasi passepartout quali «l’analisi del quadro internazionale e dei gravi fatti» fino al libretto del capogruppo e ai brogliacci per la propaganda.
Ma scuole di formazione le avevano la Dc (dal 1950 al 1970 a Roma, alla Camilluccia), il Psi, il Pri, addirittura la destra fuori dall’arco costituzionale con i campi Hobbit tentava la strada di un originale Pantheon tra Tolkien e Evola, tutti sperando di costruire la classe dirigente.
In anni più recenti la formazione politica era tornata di moda, a inizio e fine estate. Le summer school non servivano per rinfrescare l’inglese o i fondamentali economici ma proprio per cercare una visione del mondo, o quantomeno una chiave di lettura. Dalla sua nascita all’avvento di Renzi la parte del leone l’ha fatta il Pd. Per volontà di Veltroni e di Giorgio Tonini la formazione politica faceva parte dello Statuto Pd e nel 2008 nasceva a Cortona, in un ex convento, S. Agostino, la scuola estiva del partito.
Quasi mille ragazzi, apertura nella rocca di Castiglione del Lago con Edgar Morin introdotto da un inedito Dario Franceschini alle prese con Marx, chiusura in un afoso palasport a Montepulciano con Veltroni e scene di Into the wild, il film della felicità reale solo se condivisa. Su tutto aleggiava il tam-tam sulla presenza a sorpresa di Jovanotti, cortonese di nascita, che però si palesava solo a tarda sera nelle cene di fronte al Teatro Signorelli. Nella breve stagione di Franceschini segretario la scuola andò sui binari, con il “treno per l’Europa”. Iniziative che avevano successo ma il taglio non piacque a Bersani che le bollò, con una delle sue metafore, come «andar per funghi». Ciò nonostante a Cortona ci si è ritrovati fino al 2013.
Dopo le primarie il Pd renziano, con l’eccezione di una giornata sulla comunicazione all’interno della festa nazionale dell’Unità a Bologna, la formazione non l’ha più fatta. «Neanche se ne sembra avvertire la mancanza, nel 2013 M5S è stato visto come l’innovazione, ma il terremoto nel reclutamento non veniva certo dalla formazione ma dalle parlamentarie di Grillo e da quelle del Pd, gli altri invece continuano con la filiera di cooptazione», spiega il politologo dell’Università di Siena e membro del Direttivo dell’European Consortium for Political Research Luca Verzichelli, autore nel 2010 per Il Mulino di Vivere di politica: come (non) cambiano le carriere politiche in Italia. La scienza politica se ne è occupata poco «perché la personalizzazione ha scalzato la formazione standard dei quadri politici. Forse perché siamo stati ossessionati, tutti, osservatori e politici, dalla ricerca del leader, e il rischio è che si siano formati polli di batteria. Mentre i partiti di massa coltivavano i politici in filiere diverse da quelle degli amministratori, oggi essere segretario di circolo non è un trampolino, invece essere nello staff di chi guida il partito può essere molto più utile per finire in lista. L’elevata percentuale di professionisti della politica ha essenzialmente un background amministrativo locale, alcuni sono funzionari degli organismi di partito».
Si potrebbe pensare che ci si forma su twitter ma la sua analisi è confermata anche dalle nuove leve come Giacomo Possamai, vicesegretario uscente dei Giovani Democratici, capogruppo Pd al comune di Vicenza dove è stato il candidato più votato. «La politica solo virtuale non va, i social network possono essere utili ad agganciare i ragazzi disinteressati alla politica e convincerli a votare, ma non riescono nelle realtà locali a farti emergere. Si cresce sul campo, si viene buttati in acqua senza saper nuotare, questo ha alcune qualità e alcuni limiti, manca qualcuno dei fondamentali, se la palestra è da consigliere o assessore può mancare l’agilità nel processo legislativo e nei contesti nazionali».
Il Pd partito di sindaci però di formazione ne parla, il premier-segretario ha citato la serie tv House of cards come momento formativo, ma il Pd non ha più organizzato nulla. Almeno per il momento. Non sappiamo se perché la memoria da elefante di Renzi non cancella la sovrapposizione tra la 2 giorni napoletana di Finalmente Sud!, la scuola per i ragazzi del mezzogiorno, e la fiorentina kermesse della Leopolda. Certo è che l’impostazione cortonese stride con il nuovo corso: i professori universitari stavano proprio in cattedra, i sindaci che intervenivano erano pochi, quelli che dissentivano dalla linea Pd non pochi. La scuola era un battesimo o un ritorno alla politica, tanto che prima della sbornia per la democrazia diretta grillina si sperimentò la democrazia partecipativa sulla regolamentazione del lavoro confrontando e votando le proposte di Ichino, Treu, Damiano. Sforzo che a fronte della nuova stagione, che si vuole riformista, dei 1.000 giorni con la probabile battaglia parlamentare sul Jobs Act, forse andrebbe riproposto. Difficile che accada.
Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha annunciato per il 24 ottobre la nuova Leopolda. Sempre nell’ex stazione di Firenze con interventi di 7 minuti, senza documenti o bibliografie, probabile #leopolda2014 in vetta ai TT. Le leopolde sono l’essenza del renzismo, senza mai bandiere Pd, e nel frattempo la spending review dei bilanci di partito, ha lasciato campo libero a altre iniziative correntizie, spesso ingessate o parziali. I “giovani turchi” di Rifare l’Italia, la corrente del presidente Pd Matteo Orfini, hanno organizzato 4 weekend formativi. I FutureDem, i giovani più convinti della svolta impressa da Renzi, a #Cambiarelitalia hanno discusso soprattutto con esponenti di governo e si sono presentati libri su Renzi e l’autobiografia di Claudio Martelli.
Questo 2014 di presunto, rinnovato primato della politica sembra il passaggio dalla politica pop – come l’hanno definita nell’omonimo libro Mazzoleni e Sfardini – a un pop post-politico, leggero e veloce, più immagine che approfondimento. Per Verzichelli «si è coltivato il mito della formazione parallela ma i comunicazionisti si sono illusi di poter servire i partiti leggeri. Ma pur trovando il leader, il Pd, formando pochi quadri, trova sempre meno persone che san parlare alla gente».
È quella che il sociologo Aldo Bonomi definisce l’egologia predominante in questi anni di eclissi della società di mezzo, di partiti e sindacati. Senza più la necessità di affiancarsi a personaggi e stili pop, via le Mannoia e i Baricco, i Pif come gli Umberto Eco, i leader politici diventano tra camicie bianche, tweet, balli di gruppo sulle note di Happy, personaggi muscolari, più da rotocalco che da cronaca politica. Una semplice sovrastruttura avrebbe detto Carlo Marx.
@marcolaudonio