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 2014  ottobre 13 Lunedì calendario

DIECI RAGIONI CONTRO IL TFR IN BUSTA PAGA

Il governo sta discutendo se inserire il Trattamento di fine rapporto in busta paga. Elenchiamo dieci motivazioni, in decrescente ordine di importanza, per cui questa scelta non sembra ottimale.
1. Dissuade i lavoratori dall’investire in previdenza integrativa, ciò che salverà le pensioni dei giovani. Negli ultimi 13 anni i fondi negoziali hanno offerto un rendimento cumulato nominale del 49 per cento mentre i contributi alle pensioni pubbliche si sono rivalutati di circa il 30 per cento (se non teniamo conto del trascinamento della crescita di fine anni 90 legato all’utilizzo di medie mobili). Negli ultimi 3 anni il rendimento cumulativo più basso offerto da un fondo pensione è stato del 4,5 per cento (comparto garantito), mentre i contributi previdenziali sono stati capitalizzati virtualmente a un tasso inferiore a un punto percentuale. Anche in caso di scelta volontaria bene tenere conto del fatto che i giovani italiani sono tra quelli con un grado di alfabetizzazione finanziaria più bassa in Europa (Ocse-PISA).
2. Penalizza chi ha messo il Tfr in fondi pensione (che non può scegliere) rispetto a chi non lo ha fatto. Paradossale colpire coloro che hanno fatto ciò che in passato sia maggioranza che opposizione hanno chiesto, cioè mettere il Tfr nei fondi pensione.
3. Crea problemi di liquidità alle aziende che oggi hanno maggiore bisogno di credito (Pmi) oppure (nel caso in cui fossero le banche a erogare sine die il Tfr) richiede garanzie pubbliche che possono rivelarsi (ex-post se non ex-ante) molto costose, soprattutto in caso di scelta volontaria. Presumibile infatti che siano soprattutto i lavoratori di imprese a rischio di fallimento a chiedere di vedersi erogato il Tfr, il che aumenta il grado di rischio dei prestiti concessi dalle banche alle imprese.
4. Espone i lavoratori delle imprese presso cui i lavoratori avevano lasciato il Tfr (la maggioranza delle imprese con meno di 50 addetti) a un più alto rischio di licenziamento; il Tfr agiva anche come deterrente ai licenziamenti soprattutto in un momento in cui le imprese hanno scarso accesso al credito. Non voleva il governo sostituire l’articolo 18 con compensazioni monetarie ai lavoratori licenziati?
5. Aumenta le tasse che i lavoratori devono pagare su queste somme (le rendite dei fondi sono tassate all’11,5 per cento mentre in caso di trasferimento in busta paga, i soldi verrebbero mediamente tassati alla marginale del 23 per cento). Facile venire accusati di speculare sulla miopia degli italiani per aumentare le entrate.
6. Discutibile che stimoli i consumi. Dopo aver fatto campagne per anni sottolineando che il Tfr è previdenza, si dà l’impressione della famiglia che spacca il salvadanaio, mettendo peraltro in piedi un sistema talmente complesso dal non potere reggere alla lunga. E il senso di estemporaneità non spinge certo a mettere in circuito queste somme.
7. I lavoratori con maggiori problemi di liquidità sono nel parasubordinato e questi non hanno il Tfr.
8. Aumenta le asimmetrie fra dipendenti pubblici e privati, il che non è mai desiderabile, anche perché può aprire spazi a contenziosi per trattamento discriminatorio.
9. Rende ancora più intricata la contabilità aziendale (i fondi vanno accantonati anche se poi versati al lavoratore).
10. Aumenta l’incertezza normativa sul trattamento della previdenza complementare, che ha bisogno di assetti certi per decollare.