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 2014  ottobre 15 Mercoledì calendario

I CINESI INNAMORATI DEL BELPAESE

Gli investitori cinesi sono presenti in 270 società italiane, ma questo è solo l’inizio. In attesa del vertice Asem, in programma domani e venerdì 17 a Milano e in coincidenza con la visita di Li Keqiang in Italia, al forum Horasis Global China Business Meeting 2014, portato per la prima volta in Italia da The EuropeanHouse Ambrosetti, gli esperti hanno dibattuto sul futuro delle relazioni tra Cina ed Europa. Il nostro interscambio, che viaggia a 43,33 miliardi di dollari, è ben lontano da quei 100 miliardi che Silvio Berlusconi e Wen Jiabao ipotizzavano avremmo raggiunto in cinque anni, entro il 2015. Ma soprattutto la bilancia commerciale è nettamente favorevole a Pechino. «Le opportunità non mancano nel medio termine, i cinesi guardano sempre di più ai brand italiani, alle nostre infrastrutture come fatto con la Cdp Reti, al food & fashion», spiega Irving Bellotti, managing partner Rothschild Italia, «del resto siamo pur sempre il secondo Paese manifatturiero in Europa». Il 40% della base manifatturiera dell’Italia è costituito dai macchinari e, secondo Bellotti, in questo comparto l’Italia continua ad eccellere. «In termini di export», precisa il manager, «l’Italia è al quinto posto nella maggior parte dei settori, fatta eccezione per le risorse base».
Perché i cinesi accrescono la loro presenza in Italia? «Perché il nostro mercato dei capitali è debole, perché il private equity è molto indietro rispetto ad altri Paesi e perché le banche italiane non supportano le aziende come facevano un tempo», continua Bellotti. «Sono questi i fattori che lasciano il campo libero ai cinesi». Racconta Giuseppe Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia: «Quando i cinesi ci hanno adocchiato la prima volta non avevano ancora un piano industriale per valorizzare la nostra azienda. Shanghai Electric è il gruppo più importante del mondo nella produzione di turbine in acciaio, ma con poca esperienza nelle turbine a gas. L’obiettivo per loro era entrare in questo settore e per noi invece, entrare in Cina». Una relazione, secondo Zampini, che si è rivelata vincente. «Noi abbiamo aumentato la nostra quota di mercato nel Paese di mezzo», prosegue il presidente di Ansaldo Energia, «loro invece cercavano la nostra tecnologia: abbiamo creato due jv, una è controllata dai cinesi al 60%, l’altra da noi con la stessa percentuale». Nella joint venture controllata dai cinesi è stata creata anche una divisione di Ricerca e Sviluppo con fondi dati dallo Stato per sviluppare un altro tipo di turbina a gas. Zampini sottolinea che l’obiettivo è stato raggiunto anche grazie alla relazione esistente tra i due gruppi, maturata nel corso degli anni.
Una delle questioni emerse infatti è stata quella della fiducia e dei rapporti tra aziende italiane e cinesi. In una sessione a porte chiuse, dal titolo Le opportunità di investimento in Italia, si è sottolineato come i cinesi spesso non si fidino delle controparti occidentali e non ritengano di valore le figure di consulenti e avvocati. «Gli investitori cinesi talvolta faticano a comprendere il valore delle consulenze legali in particolare nell’ambito del mid market, quello cioè che riguarda aziende con fatturati annui da 30 a 200-00 milioni di euro», spiega Filippo Guicciardi, ad di K Finance. Sulla stessa linea la case history portata dall’amministratore delegato di Ansaldo e riferita all’operazione con cui Shanghai Electric ha rilevato il 40% di Ansaldo Energia per 400 milioni di euro. «Nel momento caldo della trattativa la partita rischiò più volte di arenarsi su questione di mentalità differenti tra le parti. Non dicevamo cose particolarmente diverse ma ciascuno si era sedimentato sulle proprie posizioni e non riuscivamo a venirne a capo. Siamo riusciti a risolvere lo stallo e a condurre in porto la partita soltanto grazie all’aiuto dei consulenti».
I problemi nella partnership tra Italia e Cina riguardano mentalità diverse, spiegano gli esperti, ma occorre flessibilità da entrambe le parti per risolverli. «Anche perché i cinesi se investono stanno condividendo il rischio: non sono lì per una relazione toccata e fuga, ma sperano che l’accordo duri nel lungo termine», sottolinea André Loesekrug-Pietri, managing partner A Capital China. «Il più grande errore che puoi fare invece è sottovalutare gli investitori cinesi e il loro know how», aggiunge Alberto Galassi, ad di Ferretti Yachts, «sul fronte del controllo incrociato di aziende per esempio, sono molto più bravi di noi. Inoltre serve pazienza, perché il divario culturale è parecchio». Galassi racconta anche che se c’è stato un problema con i cinesi (Ferretti è stata acquisita dalla conglomerata Shandong Heavy Industry) è stato quello di far loro capire la burocrazia italiana.
Il 2014 è un anno che funge da spartiacque con i cinesi che hanno fatto i primi investimenti importanti, in società quotate quali Enel, Eni e Generali. Il benvenuto all’investimento cinese viene proprio dal padrone di casa di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi. «È importante che i cinesi si fidino di noi, è importante essere credibili», dice il responsabile di Piazza Affari.
Cosa manca ancora alla Cina? Dal Forum è emerso che «la nuova frontiera sarà l’acquisizione da parte delle aziende cinesi della capacità di creare dei brand», sintetizza Xu Hey, presidente di Beijing Automotive Group.
Mariangela Pira, MilanoFinanza 15/10/2014