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 2014  ottobre 15 Mercoledì calendario

STORIA DELL’ORO IN CINQUEMILA BATTUTE, DAL VITELLO DELLA BIBBIA AL COLPO DI SCENA DI NIXON

Forse la caratteristica più «misteriosa» dell’oro è quella di operare sintesi altrimenti difficili da immaginare. All’insegna dell’oro, gioielleria e politica economica si toccano: hanno in comune la stessa materia prima. Entra in gioco la chimica che spiega che, per il basso punto di fusione dell’oro, era (ed è) possibile trasformare i gioielli in monete e le monete in gioielli e scoprirne molto facilmente il grado di purezza e le contraffazioni. Gioielleria e politica economica guardarono entrambe con favore alle varie «corse all’oro» dell’Ottocento (in California, in Sudafrica, in Alaska) nel timore che il metallo venisse ad esaurirsi proprio quando sia il generale arricchimento sia il bisogno delle banche centrali di creare nuova espansione monetaria ne rinvigorivano la domanda.
Si arriva così alle guerre boere, determinate dalla scoperta dell’oro nel 1885 nelle colline sudafricane del Transvaal. Solo l’oro del Transvaal poteva dare alla sterlina la crescente base aurea indispensabile per continuare a essere la moneta di riferimento di un mondo nel pieno di un’espansione economica con pochi precedenti e di una straordinaria rivoluzione industriale. Il che spiega sia l’estremo interesse inglese per il dominio del Transvaal, sia la nascita a Londra del mercato mondiale dell’oro sia infine le navi speciali a doppia chiglia – una garanzia contro l’affondamento – specialmente progettate per il trasporto dell’oro dall’Africa Meridionale.
Trionfo della modernità? Certo. Se non fosse che navi per il trasporto dell’oro sono già citate nella Bibbia. E, sempre in campo biblico, non va dimenticato che gli Israeliti misero assieme i loro gioielli e li fusero per costruire il celebre «vitello», in sfida a Dio, con pessimi risultati. Qualcuno, meno di un secolo fa, richiese imperiosamente alle famiglie italiane l’«oro per la Patria» e i risultati furono anche peggiori.
Il carattere centrale dell’oro sembrò venir meno dopo la Prima Guerra Mondiale: l’oro dei paesi europei, era affluito in grandissima quantità verso l’America: era servito a pagare la guerra o a rimborsare i debiti di guerra verso gli Stati Uniti, da un paio di decenni la maggiore economia mondiale. Gli Stati Uniti decisero di concentrare le riserve auree nei sotterranei di Fort Knox, nel Kentucky, sotto un imponente controllo militare: estratto con fatica dalle viscere della terra, il metallo giallo tornava nelle profondità della terra nel tentativo di garantire la solidità del dollaro e di sostenere un’economia mondiale scossa dalla depressione.
Ebbe inizio un tormentato periodo caratterizzato dallo sganciamento delle varie monete dall’oro e dalla fine della loro convertibilità nel metallo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti conservarono l’impegno di convertire i dollari in oro al «mitico» prezzo di 35 dollari l’oncia solo con le banche centrali dei paesi aderenti al Fondo Monetario Internazionale e non più nei confronti dei normali cittadini. Nasce così il cosiddetto «Gold Exchange Standard», da «monarca assoluto» l’oro venne ridotto a monarca costituzionale, il che permise sia la stabilità dei cambi sia il finanziamento della ricostruzione postbellica europea. Consentì anche ai paesi europei (in primo luogo alla Francia, ma anche, tra gli altri, a Germania e Italia) di acquistare pian piano ingenti quantità d’oro con l’attivo dei loro conti esteri, determinato dal «miracolo economico». Le navi speciali a doppia chiglia fecero allora moltissimi viaggi attraverso l’Atlantico, dall’America all’Europa.
Alla fine, oppressi dalle spese della guerra nel Vietnam, gli Stati Uniti non ce la fanno più a onorare il patto con le altre banche centrali. Il 16 di agosto 1971, un presidente Nixon con la barba non fatta e l’aria stralunata emerge da una lunghissima riunione con i suoi ministri per annunciare al mondo che il «Gold Exchange Standard» è finito: le monete fluttueranno liberamente e gli Stati Uniti si ritengono esentati dall’impegno di cambiare i dollari in oro: il «monarca costituzionale» è stato spodestato e scompare dalla scena monetaria. Di qui in avanti, si pensa, sarà un metallo come un altro, interesserà soprattutto a gioiellieri e dentisti.
Ancora una volta, l’oro smentisce le previsioni: sperimenta una nuova giovinezza nel mondo della libera fluttuazione e della speculazione finanziaria. Il prezzo dell’oro generalmente sale con i rischi di guerra e l’instabilità economica, scende quando il dollaro è forte, ma in realtà il panorama è molto più complicato. Ecco entrare sulla scena i contadini indiani che investono annualmente i loro risparmi nei gioielli delle loro mogli, per cui quando il monsone è buono e il raccolto abbondante, il prezzo dell’oro, a parità di altre condizioni, ha la tendenza a salire. E accanto ai contadini indiani compaiono gli analisti finanziari che collegano forza e debolezza dell’oro allo stato di salute del sistema mondiale delle monete. O i cinesi che vogliono aprire un mercato dell’oro in Oriente affiancandolo a Londra. Il prezzo dell’oro sale in pochissimi decenni da 35 a quasi 2000 dollari l’oncia, per poi ridiscendere a 1200-1300.
In quest’era della flessibilità si aprono nuove prospettive per tutti, per cittadini e governi, risparmiatori e speculatori, nemici del rischio che ritrovano un antichissimo bene-rifugio e amici del rischio che scoprono una nuova «materia prima» con la quale dar vita a sofisticati prodotti finanziari.
Mario Deaglio, La Stampa 15/10/2014