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 2014  ottobre 15 Mercoledì calendario

IL FUNZIONARIO TEDESCO CHE SI ERA AMMALATO DI EBOLA IN LIBERIA È MORTO A LIPSIA

È morto martedì notte Mohammed A. il funzionario Onu che si era ammalato di Ebola in Liberia ed era stato trasportato giovedì scorso con un aereo speciale in Germania per essere curato. Le condizioni del 56enne, che già al suo arrivo all’aeroporto non era più in grado di camminare da solo, erano state giudicate «molto critiche, ma stabili». Ieri un comunicato dell’ospedale ha reso noto che «nonostante gli interventi medici intensi e gli sforzi enormi del personale, il paziente è morto». Il sudanese è già il terzo paziente infettato dal virus e affidato alle cure in Germania: un altro è trattato attualmente a Francoforte, il terzo è guarito dopo cinque settimane in una struttura ospedaliera ad Amburgo ed è stato dimesso.
Mohammed A. sarà cremato immediatamente, ma prima verrà sottoposto alle misure cautelative tipiche per le vittime di Ebola prescritte dal Robert Koch-Institut (Rki), come ha dichiarato un portavoce del ministero della Sanità della Sassonia. Il cadavere sarà disinfettato, trasportato in un sacco impermeabile, deposto in una bara speciale, poi bruciato.
La cremazione non è un dettaglio irrilevante: l’uomo era musulmano «e la religione islamica non prevede che si brucino i cadaveri», ha ricordato il portavoce. Ma in questo caso la sicurezza ha ovviamente la priorità su tutto. Oltretutto, interpellato da «Bild», il capo della comunità musulmana tedesca, Aiman A-Mayzek, ha dichiarato che «se la situazione richiede che l’uomo sia bruciato, la priorità è la protezione della popolazione. Per la famiglia e i parenti è molto dura. Ma le ceneri possono comunque essere sotterrate. E la preghiera per i morti può essere recitata».
Il cinquantaseienne era originario di El-Obied, una città 370 km a sudovest di Khartoum, dove aveva lavorato a lungo per il ministero della Sanità sudanese. Dal 2005 era passato all’Onu e tre anni fa era arrivato in Liberia, dove era stato incaricato, nell’ambito della missione di «peacekeeping», di contribuire a ricostruire il Paese devastato dalla guerra civile, sia come analista da laboratorio, sia come ispettore. Da mesi analizzava ormai solo prove di pazienti colpiti da Ebola.
Ad oggi non esiste un farmaco contro l’Ebola: i malati vengono continuamente idratati e si tenta di rafforzarli il più possibile per compensare la perdita di liquidi causata dalle continue crisi di vomito e diarrea. Prima si individua il virus e si inizia la terapia, dunque, meglio è.
Il totale dei casi, secondo quanto comunicato ieri dal vicedirettore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Bruce Aylward, ha raggiunto quasi quota 9000 e il numero dei morti è di 4447. Tuttavia, sempre secondo l’Oms, il contagio sta rallentando nei Paesi in cui sembrava ormai fuori controllo, ossia in Liberia, Guinea e Sierra Leone. Ma non è un motivo per abbassare la guardia: entro fine anno potrebbero esserci 10 mila casi a settimana, secondo l’organizzazione con sede a Ginevra. «Se non verrà intensificata la risposta all’epidemia - ha affermato Aylward - entro 60 giorni sarà necessario affrontare una spirale crescente di casi». Soltanto nell’ultimo mese i contagi sono aumentati al ritmo di mille a settimana, «e la cifra potrebbe essere maggiore considerando i casi solo probabili e non ancora confermati», ha precisato il numero due dell’Oms.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 15/10/2014