Riccardo Ruggeri, MilanoFinanza 14/10/2014, 14 ottobre 2014
CARO VALLETTA, ECCO IL GRAN GIORNO
Caro Professor Valletta,
il grande giorno è arrivato. La sua (nostra) Fiat non c’è più, è evaporata in una nuvola di nebbia proveniente dai Grandi Laghi. Un signore con un golfino scuro ha suonato una campanella, ci sono stati tanti sorrisi, tanti applausi, una commozione composta: è nata Fca. Le assicuro che la «F» di Fca sta in luogo di Fiat, ma devo confessarle che molti si vergognano di usare il logo Fiat, e tendono a far finta di non essere italiani. Pensi che persino il nostro premier attuale, per complimentarsi dell’evento, ha scelto un’officina di Detroit (ricevendo applausi scroscianti), non il doveroso tempio di Mirafiori. Che tristezza.
Declinando l’acronimo, il «Fabbrica» è termine ormai desueto, usato solo più da un curioso sindacalista, non pensi a Di Vittorio, la prego. L’ultima sua bizzarria: vuole occupare le fabbriche, molte vuote, altre con qualche macchina utensile a macchia di leopardo, spesso senza neppure gli operai. Con lei regnante, nei mitici anni 50-60, noi operai anelavamo fare gli straordinari (grazie agli straordinari potevi sposarti, i miei figli devono tutto agli straordinari), oggi gran parte degli operai Fiat, passano le loro giornate in pantofole, nel tinello di casa, davanti alla tv, campano con 700 euro erogati dallo Stato (si chiama cassa in deroga). Il dirigente che ha preso il posto che fu dell’ingegner Gaudenzio Bono dice che quegli operai ancora a busta paga, ma in Cassa, un giorno rientreranno tutti nelle quattro fabbriche di montaggio rimaste (Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi), sempre che ci siano clienti interessati alle auto che verranno colà prodotte (sic!). «Italiana» è parola che in questo momento è bene non usare, si è molto degradata, così «Automobile». Faranno solo più auto di lusso, le chiamano Premium: i nuovi modelli Alfa Romeo non ci sono ancora, ma sono stati annunciati, quindi, secondo la vulgata oggi di moda, è come se ci fossero. «Torino» poi, non la riconoscerebbe più, sta per diventare una città della cultura (seppur a pil miserabile). È piena di debiti, appena avranno coperto le buche per le strade, saremo tutti diversamente colti e vivremo, si dice, in una piccola Atene. Lo confessi, Professore, questo finale colto-sabaudo non l’avrebbe mai immaginato. Lei divenne ragioniere studiando di sera, io perito industriale (ramo fonderia), per cui siamo persone legate ai numeri, non alle parole. Le troviamo insopportabili, specie quelle spese quando si parla di business, di politica: poche sono vere, molte ambigue, nella maggioranza false. L’unico riferimento certo è il valore del titolo in borsa. Sul vertice che ha suonato la mitica campanella, ora possiamo finalmente esprimere il giudizio numerico che gli compete: il titolo Fiat nel maggio del 2004 valeva 5,74 euro (e aveva un rating normale, quindi Fiat non era fallita, come sostennero loscamente, a posteriori, molti finti esperti), cinque anni dopo, febbraio 2009, 3,54 euro (Moody’s gli assegnò un rating spazzatura, i fondi la vendettero a piene mani, per timore di essere a loro volta declassati: allora sì che poteva dirsi tecnicamente fallita). Poi, curiosamente, il primo presidente nero americano (democrat) decise di salvare (per la terza volta) la Chrysler dal fallimento, e mentre c’era pure Fiat Auto, avvalendosi dei quattrini dei contribuenti americani e la sottomissione forzosa dei sindacati locali (Professore, non se l’abbia a male, ma lei che è stato l’inventore del Reparto 0 - la Corea, ricorda? - un’operazione simile non l’avrebbe mai fatta, non ne avrebbe avuto lo stomaco).
Iniziò allora, nel 2009, l’entusiasmante cavalcata di Chrysler-Fiat sotto la guida capace della nuova gestione, che si è conclusa ieri a New York: è giusto che si prenda tutti i riconoscimenti del caso. Vediamo qualche numero. Nel gennaio 2011, avviene la scissione di Fiat Industrial, in quel momento il titolo Fiat (Auto) quota circa 6 euro, poi in pochi mesi crolla sotto 4. Per 18 mesi si galleggia intorno a questo valore, quindi nella primavera del 2013 comincia una salita ininterrotta, fino ai 9 euro del maggio di quest’anno, prima della presentazione del piano strategico 2014-18 nell’Auditorium di Auburn Hills, l’edificio più grande d’America dopo il Pentagono; la cerimonia durò 11 ore e 18 minuti. Improvvisamente, il titolo cambia verso, comincia a scendere, giù giù fino ai 6,94 (8,76 dollari) dell’ultimo giorno di quotazione, venerdì scorso a Milano. A fronte di 1,25 miliardi di azioni, la capitalizzazione di Fiat del suo ultimo giorno di vita è stata pari a 8,9 miliardi di euro (11,2 miliardi di dollari). Il titolo Fca ha iniziato ieri la sua nuova vita con una quotazione iniziale di 9,25 dollari, pari a una capitalizzazione di 11,5 dollari, per poi ripiegare. Le polemiche, gli scontri sulle filosofie managerial-sindacal-aziendali, i giudizi pro-contro Marchionne, le chiacchiere degli anni passati: tutte cancellate. Nessun colpo di scena: dollaro in luogo di euro, Wall Street anziché Piazza Affari, stesso prezzo, stesse prospettive, è cambiato solo il nome. Numerosi entusiasti si attendevano fuochi d’artificio, non ci sono stati, è molto probabile che nei prossimi giorni il titolo ricuperi almeno il prezzo di recesso (circa 10 $) e punti agli 11,5 $.
Caro Professor Valletta, torniamo ai nostri tempi, quando in luogo degli algoritmi c’era il meno preciso conto della serva, cosa avremmo fatto noi? Avremmo sommato i tre macro asset che oggi compongono Fca: Chrysler, Ferrari, Fiat Auto (Europa-Brasile). Dieci mesi fa Chrysler fu valutata, in sede di trattativa con Veba per l’acquisizione del 41,5%, 10 miliardi di dollari. Marchionne, nei giorni scorsi, ha indicato per Ferrari un valore di 5 miliardi di dollari. La valutazione intrinseca di Fiat Auto sarebbe venuta per differenza rispetto alla capitalizzazione di borsa. E qui casca l’asino: mi rifiuto di scrivere, per la mia Fiat, un numero col segno meno davanti. L’ho sempre pensato che si fosse ridotta a un veicolo di traino-lancio per Chrysler, l’ho scritto ma rifiutavo di crederci: l’amore prevale sempre sulla cruda realtà. Oggi, caro Professore, è uscito il mio libro Fiat, una storia d’amore (finita), l’ho dedicato a lei, alla Signorina Rubiolo, all’ingegner Giacosa. Troverà la storia degli anni successivi al suo periodo imperiale, la scelleratezza degli anni ’67-80, la viltà di quelli ’80-95, la confusione del ’95-2004, l’attesa della fine di quelli 2004-14. Leggerà di strategie, processi, scelte di persone (spesso imbarazzanti), decisioni incredibili, ci aggiunga questo numero (9 dollari, il prezzo di apertura a New York)): l’operazione Fca le sarà più chiara. Lei, per me, sarà sempre un mito.
Riccardo Ruggeri, MilanoFinanza 14/10/2014