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 2014  ottobre 14 Martedì calendario

SE LA RIFORMA DELLA BUROCRAZIA SERVE A EVITARE LA TROIKA, L’INCOMPETENZA DELLA MADIA INDUCE A TEMERE IL PEGGIO

In una lunga lettera al Corriere della sera di domenica, Marianna Madia si firma «Ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione». Semplificazione? Accipicchia, finora questo ruolo era sfuggito a molti, e tra poche righe sarà bene colmare la lacuna con qualche verifica. Prima, è giusto ricordare il contenuto della lettera del «ministro» (è lei che si firma al maschile): un tentativo penoso di rispondere alle dure critiche che un alto burocrate, Oberdan Forlenza, consigliere di Stato e segretario generale della Giustizia Amministrativa, aveva mosso due giorni prima, sullo stesso giornale, a coloro che danno una rappresentazione negativa della realtà burocratica italiana. Un’accusa rivolta non solo ai media, ma anche al governo di Matteo Renzi. Ha scritto infatti Forlenza: «Stiamo distruggendo l’amministrazione pubblica. Forse non è un disegno consapevole, certo non è un bene».
Per sostanziare l’accusa, l’alto burocrate ha aggiunto una raffica di dati contro l’operato dei governi recenti, compreso l’attuale. In sintesi: a parità di popolazione, la Gran Bretagna ha 5 milioni di dipendenti pubblici, l’Italia poco più di 3 milioni, però piuttosto anziani; l’età media di oltre il 50 % dei nostri burocrati è infatti sopra i 50 anni, ma le assunzioni sono bloccate da anni, e scarseggiano personale qualificato, competenze tecniche, mezzi e risorse finanziarie. Risultato: «la pubblica amministrazione sta morendo».
Per tutta risposta, la Madia ha scritto una lettera che, se mai ce ne fosse bisogno, è un selfie della sua incompetenza, figlia di quella «straordinaria inesperienza» che lei stessa si attribuì quando fu eletta alla Camera per la prima volta, a 26 anni, solo perché amica di Valter Veltroni. Qualche esempio? «Oggi per fare un bonifico bancario o acquistare un biglietto aereo bastano pochi secondi. Per capire come, dove e quanto pagare di tasse, invece, si possono impiegare intere giornate», osserva la Madia, aggiungendo che lei sta «cercando di annullare questa assurda differenza». Come? «Stiamo costruendo una carta della cittadinanza digitale», che risolverà tutti i problemi. L’ennesima promessa, che fa a pugni con la realtà. Basta una sola parola, Tasi (una tassa di cui si parla molto in questi giorni), perché tutti capiscano. Ed è sufficiente leggere in questo stesso numero di ItaliaOggi la lettera di Annalia Martinelli sul calvario che un cittadini deve compiere all’Agenzia delle entrate di Milano!
Un caos burocratico come quello scatenato dalla Tasi, che ha preso il posto dell’Imu cambiandone il nome, non s’era mai visto. Dov’era la Madia quando, solo pochi mesi fa, si è deciso di consentire ai sindaci di stabilire le aliquote dell’imposta senza una data certa? Lo sa il ministro della Semplificazione che ben 659 Comuni non le hanno ancora deliberate, poiché il governo (lei compresa) non ha saputo scrivere una legge chiara in materia, una legge che fosse a tutela dei cittadini contro i soprusi burocratici? Lo sa che il New York Times e Der Spiegel hanno sconsigliato di venire a investire in Italia per le troppe complicazioni burocratiche, citando come esempio di tassa inutilmente complicata proprio quella sull’immondizia (ora inclusa nella Tasi)? Le dice niente il fatto che il presidente del Senato, Pietro Grasso, abbia detto che «il 74% degli imprenditori siciliani temono più la burocrazia che la mafia»?
La semplificazione, quando non sia soltanto un pennacchio ridicolo, esige interventi che consentano ai contribuenti italiani di sentirsi alla pari con il resto d’Europa. Ma così non è. Proprio sul Corriere della sera, Piero Ostellino ricordava sabato scorso che «in Francia la Tasi si chiama Tax d’habitation, e il contribuente riceve un foglio con l’importo e la data entro la quale pagare, tutto calcolato dalla stessa amministrazione». In Germania, come ha spiegato più volte il nostro Roberto Giardina, grazie al rapporto fiduciario Stato-cittadino, il contribuente viene informato del fatto che una sua imposta è stata già pagata quando riceve l’estratto conto della banca: pensa a tutto il fisco, calcolo e prelievo.
In Italia, invece, per pagare anche l’imposta più banale bisogna rivolgersi al commercialista o ai Caf sindacali, che, in questi giorni, sono assediati dalle file dei contribuenti che non sanno come calcolare la Tasi. Vale a dire un’imposta sui «servizi indivisibili» del Comune. Tra questi servizi, a filo di logica, dovrebbe esserci anche quello di calcolare la stessa imposta, e di comunicarla al contribuente. «Altrimenti, caro sindaco Pisapia, cosa ci sta a fare lei a Palazzo Marino?» chiede giustamente Ostellino.
La stessa domanda vale per la Madia. Cosa ci sta a fare a capo della Semplificazione se i ministeri, come ha ricordato lo stesso Renzi poche settimane fa, non sono ancora riusciti a scrivere ben 752 decreti attuativi di leggi già approvate dal Parlamento? E non tutti riguardano il passato: 286 sono in capo al governo di Mario Monti, altri 304 a quello di Enrico Letta, e ben 106 a quello attuale, dove la Madia continua a promettere una maggiore efficienza, con risultati però opposti. Se la riforma della pubblica amministrazione è tra quelle chieste all’Italia per evitare l’intervento della Troika, c’è da temere il peggio.
Tino Oldani, ItaliaOggi 14/10/2014