Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 14 Martedì calendario

LA SPIEGAZIONE DELLA CRISI STA NELLE CANZONI DEI BEATLES. E ANCHE IL MODO PER USCIRNE…

Questo testo è tratto da All you need is love di Federico Rampini (Mondadori pagg. 288, euro 17) Il mondo intero fatica a capire quale possa essere una via d’uscita “vera” da questa depressione. Che non bruci per sempre i sogni di un’intera generazione. Molti di noi sentono il bisogno di approfondire, confrontarsi sulle interpretazioni e le terapie anti-crisi. Ma non ci fidiamo più degli esperti, tecnocrati o economisti dei governi e delle banche centrali, che ne hanno sbagliate tante. Io mi faccio aiutare dai Beatles... Nei testi della band musicale più celebre della storia (600 milioni di dischi venduti), ritrovo la mia adolescenza.E un’epoca che fu l’ultima Età dell’Oro per l’Occidente: alta crescita, pieno impiego, benessere diffuso, aspettative crescenti per i giovani, minori diseguaglianze (almeno all’interno dei paesi industrializzati). In quei brani-culto c’è anche la storia del primo grande conflitto generazionale, una fase di contestazioni che sconvolsero il mondo, fecero tremare — davvero! — dei regimi autoritari. Nelle musiche che furono la colonna sonora dei favolosi anni Sessanta vedo i germi di quel che accadde in seguito: le rivolte fiscali, l’immigrazione, l’irruzione dell’Oriente nella nostra storia. Composte in un periodo di cambiamenti travolgenti, alcune canzoni sono ricche di spunti per parlare di economia in modo semplice, divertente, provocatorio. Taxman prefigura le rivolte fiscali, anticipa Ronald Reagan e Margaret Thatcher ma anche i movimenti populisti e anti-Stato del nostro tempo. Get Back nasce come una satira dei primi partiti xenofobi e anti-immigrati. When I’m 6-4 anticipa la crisi del Welfare State da shock demografico, ironizza in modo davvero profetico su quel che sta accadendo oggi alla generazione dei baby-boomer. Eleanor Rigby e Lady Madonna evocano la nuova povertà che è in mezzo a noi. Across the universe con il suo richiamo al viaggio in India dei Beatles, ricorda quell’“orientalismo” che precedette la globalizzazione. I Beatles non furono degli ideologhi, le loro composizioni nascevano dall’intuizione, dall’emozione... e dall’aiuto chimico dell’Lsd. Alcune mi servono come uno spunto surreale — non a caso John Lennon era un avido lettore di Lewis Carroll e il suo modo di scrivere fu paragonato ai collage di Picasso — per affrontare questioni drammatiche: la follia dell’austerity europea basata su una lettura dogmatica dell’economia; i gravi danni generati dall’uso di indicatori sbagliati come il Prodotto interno lordo; il legame stringente fra il nostro modello di sviluppo e i disastri ambientali. Perfino la biografia personale dei Beatles può insegnarci qualcosa. In un certo senso la parabola di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr fu la nostra… ma alla rovescia. L’austerity, loro la vissero all’inizio: oggi ci è difficile immaginare la miseria estrema in cui l’Inghilterra versava subito dopo la seconda guerra mondiale. Da ragazzini, i Beatles nella Liverpool operaia vissero di privazioni, razionamenti, in un triste mondo “in bianco e nero”. Il loro successo è anche una storia imprenditoriale: non a caso Steve Jobs, fondatore di Apple, aveva verso la band una venerazione. «Il mio modello di business? Sono i Beatles». Così parlò il fondatore di Apple (l’azienda degli iPhone e degli iPad, non la casa discografica…), uno che di business capiva qualcosa. Lui si riferiva soprattutto alla formula del collettivo che lo ispirava: vedeva i Beatles come un prodigioso moltiplicatore dei talenti individuali. Il quartetto più indimenticabile della cultura pop fu anche una start-up di successo. Io sono cresciuto da bambino nel Nordeuropa, nutrito della musica dei Beatles come tutta la mia generazione; oggi a New York abito a pochi isolati di distanza dal Dakota, il palazzo dove stava John Lennon quando fu assassinato nel 1980; quando vado a correre a Central Park, però, osservo che nel giardino Strawberry Fields dedicato alla sua memoria, ci sono i coetanei dei miei figli a suonare la chitarra e a cantare i loro successi. È un linguaggio universale, che fa da ponte tra generazioni. Cinquant’anni dopo il loro sbarco in America, oggi a Times Square nel cuore di Manhattan un maxi-cartellone pubblicitario con le loro foto inneggia ai Fab Four e agli struggenti anni Sessanta.Con la nostalgia voglio fare i conti seriamente. Uso un capolavoro come Yesterday per affrontare i miti del nostro tempo e metterli alla prova: davvero si stava meglio ieri? Prima dell’euro, prima della globalizzazione, prima di Internet? Chi stava meglio? Quando, esattamente? Anche in Cina, anche in India? Le risposte non possono essere ideologiche, vanno cercate in un’analisi onesta della nostra storia. L’obiettivo di questo gioco che faccio con i Beatles, è ricostruire una speranza. Se la Grande Depressione degli anni Trenta seppe generare un “pensiero forte” per risolvere quella crisi, cioè la dottrina (allora rivoluzionaria) di Keynes, anche questa crisi invoca idee e terapie innovative. Le spiego grazie ad alcuni dei pensatori più audaci del nostro tempo, che ho incontrato e intervistato: da Thomas Piketty a Paul Krugman, da Amartya Sen a Joseph Stiglitz. Da loro prendo due insegnamenti fondamentali. Il primo: bisogna affrontare con terapie nuove il problema delle diseguaglianze sociali, senza lasciarci paralizzare dall’idea che siano “inevitabili” in un’economia di mercato. Non lo sono, tant’è che lo stesso capitalismo americano ha conosciuto fasi di maggior vigore associate a minori ingiustizie. L’altra lezione riguarda la democrazia: funziona solo quando le assegniamo gli obiettivi giusti, e concentriamo la nostra attenzione sulle priorità vere. Oggi viviamo un tormento, una sfiducia verso le istituzioni democratiche. È urgente ricostruire un tessuto di cittadinanza, un patto sociale, una “polis” democratica che sia la casa di tutti. All You Need Is Love, la canzone che si apre sulle note della Marsigliese (l’inno a Liberté Egalité Fraternité) e dà il titolo a questo libro, ha un passaggio che va letto con attenzione, perché ha un significato più profondo e più serio di quanto potessero immaginare i Favolosi Quattro: «Non c’è nulla di quello che tu puoi fare, che non possa essere fatto». I confini del possibile cambiano nella storia umana. Li determiniamo noi. La fantasia e la creatività che affascinarono Steve Jobs, oggi sono indispensabili anche per rigenerare l’analisi economica. Facendolo su un accompagnamento dei Beatles, si seppellisce ogni pregiudizio contro la “scienza triste”. Ci riprendiamo l’economia, togliendola a chi l’ha sequestrata, per cambiare le nostre vite.
Federico Rampini, la Repubblica 14/10/2014