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 2014  ottobre 14 Martedì calendario

TUTTO QUELLO CHE STA FACENDO MARCHIONNE PER TROVARE UN SOCIO CHE LO AIUTI A SFONDARE IN ASIA

Simbolicamente, il primo consiglio di amministrazione della nuova Fca si è tenuto in videoconferenza. Evocativamente, lo sbarco di John Elkann e Marchionne a Wall Street è avvenuto mentre le bandiere italiana e americana si confondevano lungo la Quinta strada nella tradizionale parata del Columbus Day. Con il sindaco, Mike Di Blasio, che sventola la bandiera italiana e i carri allegorici che non rinunciano a Toto Cotugno: «Un italiano vero». Prudentemente, si è deciso di far sventolare la bandiera di Exor, la finanziaria degli Agnelli, sulla facciata del Lingotto, accanto a quella della nuova società, la Fca, che migra in Olanda e in Inghilterra. Come dire: l’azionista principale resta italiano. Nella giornata dei significati incrociati, quella che per l’America è soprattutto la festa per il ritorno in Borsa della Chrysler, data per fallita e ora salvata dagli italiani, ci sono due frasi di Sergio Marchionne che aiutano a comprendere opportunità e rischi della nuova fase aperta alle 16 di ieri con il suono della campana di Wall Street. La prima considerazione è il fatto che quel suono «corona un lavoro durato cinque anni e mezzo». Non era scontato che si giungesse alla chiusura del cerchio: che Fiat salvasse Chrysler e venisse successivamente salvata dalle vendite di Chrysler. Se è vero, come aggiunge l’ad, che è bene «riconoscere l’importanza delle differenze culturali», è altrettanto vero che su quelle differenze Fiat-Chrysler ha costruito la sua fortuna evitando alle due società originarie la strada del fallimento e della chiusura. La seconda frase di Marchionne è quella sul futuro: «Oggi non celebriamo solo la fine di qualcosa ma l’inizio di una nuova avventura». Si sa che l’obiettivo è quello di non fermarsi qui, galleggiando a metà classifica nella top ten dei costruttori mondiali dell’auto. La speranza di Fca è quella di una fusione che le consenta di diventare se non il numero uno, uno dei tre in grado di contendersi il primato. È evidente che per ottenere il risultato è decisivo fondersi con qualcuno che abbia un buon radicamento in quei mercati asiatici che il Lingotto ha spesso avuto difficoltà a conquistare. Che cosa rimane in tutto questo agli insediamenti italiani? Nella globalizzazione dell’azienda, diventa sempre più decisivo per la Penisola il ruolo degli Agnelli. È John Elkann con la sua finanziaria rimasta al Lingotto, il principale legame di Fca con l’Italia. Forse un paradosso per un presidente nato a New York e vissuto in molti Paesi del mondo. Ma è un fatto che la bandiera di Exor da ieri messa a sventolare sull’ex quartier generale di Torino non c’è su nessun altro delle centinaia di palazzi del gruppo sparsi per il mondo. Certamente non bastano i fatti simbolici a salvare le aziende e le nazioni. Alle 14 di ieri, nella sala del Consiglio di Wall Street, la conferenza stampa di Elkann e Marchionne ha presentato la nascita di una nuova società olandese con regime fiscale inglese. Meno di 400 anni fa, nello stesso luogo, gli olandesi di Nuova Amsterdam avevano costruito un muro, quello che dà il nome alla via, per difendersi dall’assalto delle truppe inglesi. Oggi nessuno ci fa più caso. I simboli passano abbastanza in fretta. Il futuro degli stabilimenti italiani dipende piuttosto dalle produzioni industriali. E dalle scelte di missione affidate dalla società ai singoli stabilimenti. La recente storia di Fiat ha già dimostrato che la competizione è anche all’interno del gruppo e non ci sono rendite di posizione. Per questo la 500L viene prodotta in Serbia e non a Mirafiori. Ma la convenienza economica non è l’unico criterio: se così fosse difficilmente oggi la Panda si costruirebbe a Pomigliano e non in Polonia. Per questo nelle scelte produttive il fatto di avere in casa il principale azionista può giocare un ruolo importante. I prossimi mesi serviranno dunque a capire se anche l’Italia, oltre al Lingotto, avrà vinto la scommessa di Fca. Scambiando una parte del radicamento territoriale della vecchia Fiat con capitali freschi, provenienti in parte significativa dagli investitori americani, per rilanciare il marchio Alfa Romeo e garantire un futuro a Mirafiori, Cassino, Melfi e Pomigliano. Mantenere in Italia l’azionista di controllo e garantire la produzione eliminando le migliaia di cassintegrati tra i dipendenti del gruppo, sono gli obiettivi italiani del nuovo gruppo globale.
Paolo Griseri, la Repubblica 14/10/2014