Federico Fubini, la Repubblica 14/10/2014, 14 ottobre 2014
PER NON FARCI SCIVOLARE ANCORA PIÙ IN BASSO, RENZI SI PREPARA AD EMETTERE TITOLI DEL DEBITO PER 11,5 MILIARDI IN PIÙ DEL CONSENTITO
Non è una Legge di stabilità per stomaci leggeri quella in arrivo: 13 miliardi di tagli di spesa, 5,5 miliardi di nuove entrate e soprattutto, misura senza precedenti negli ultimi anni, 11 miliardi di provvedimenti finanziati semplicemente aumentando il deficit pubblico. In questa aritmetica semplice da enunciare, difficilissima da eseguire, si trova la dimostrazione che a Palazzo Chigi e al Tesoro si è affermata definitivamente una nuova consapevolezza: la posta in gioco del 2015 non è tanto il Fiscal Compact, né Maastricht e il tetto del 3%. Questa volta nella stessa grandezza della manovra lorda è racchiuso un messaggio di anche maggiore urgenza: il 2015 è l’anno in cui l’Italia ritrova dopo anni un suo equilibrio come economia avanzata capace di stare sui mercati globali, o rischia di scivolare verso una situazione molto più difficile. Non c’è neppure bisogno di molte parole, a questo punto. I numeri stessi della legge di bilancio in preparazione dicono che il premier Matteo Renzi ha capito — forse non subito — che questa è la posta in gioco e che lui stesso deve scommettere su una scossa tramite la manovra. Là dentro conteranno certamente le fonti di contenimento del deficit. I 13 miliardi di tagli, circa lo 0,8% del Pil, non saranno facili da trovare e ancora più duri da trasformare in fatti sul tessuto sclerotico dello Stato italiano. I cinque miliardi e mezzo di aumento delle entrate includono poi molte voci controverse: una nuova tassa sui monopoli del gioco d’azzardo, la fine di molte deduzioni e detrazioni e, nelle speranze di Renzi, ben tre miliardi dalla lotta all’evasione fiscale. Ma conterà ancora di più il modo in cui saranno impiegate quelle risorse e le altre, quelle ricavate emettendo sui mercati internazionali 11,5 miliardi di titoli di Stato in più. È qui il cuore della scommessa di Renzi, il tentativo di togliere l’Italia dall’equilibrio instabile che minaccia sempre di più di ribaltare i suoi assetti finanziari. Posto che resteranno i 10 miliardi di bonus fiscale per le famiglie a medio-basso reddito, benché non sembrino funzionare granché, ci sarà un tentativo di rivitalizzare la competitività del settore produttivo e la creazione di posti di lavoro con contratti a tempo indeterminato. Le imprese dovrebbero ricevere varie forme di detassazione, che nel complesso valgono 7,5 miliardi di euro. Il messaggio racchiuso in un dispositivo del genere è che Renzi è sempre più tentato dal provare il tutto per tutto pur di rivedere la crescita in Italia. Non arriva a sfidare Bruxelles con una manovra che rinuncia esplicitamente alla soglia di deficit al 3% del Pil, ma ci va vicinissimo. Se neanche la prossima primavera dovesse arrivare la ripresa su cui conta il governo, se il Paese non dovesse crescere dello 0,6% appena iscritto nel Documento di economia e finanza, il disavanzo dell’Italia è destinato a saltare. Questo pone un problema politico immediato: non è escluso che la Commissione europea o gli altri governi di Eurolandia chiedano una revisione di questa Legge di stabilità, quindi per Renzi si aprirà un negoziato sul filo del rasoio a Bruxelles. C’è però qualcosa che conta persino di più delle regole europee sui conti pubblici, ed è la stabilità finanziaria. L’Italia non è sull’orlo di una nuova crisi di fiducia dei mercati oggi, ma negli ultimi due mesi i saldi fotografati dal sistema europeo delle banche centrali mostrano una fuoriuscita di capitali dal Paese per la (notevole) cifra di 67 miliardi di euro: un caso unico in Europa. Il deflusso è avvenuto quando si è capito che la recessione è di nuovo qui. Ciò significa che l’Italia ha disperatamente bisogno di competitività e crescita economica per far salire, e subito, il prodotto interno lordo contro cui si misura il debito pubblico. Non è detto che questo Paese si possa permettere un’ulteriore caduta dell’economia nel 2015 senza rischiare molto: al contrario. Di qui il tentativo di Renzi di dare una frustata con la Legge di stabilità. Non è una misura del tutto radicale, perché poteva ridurre ancora di più le tasse sulle imprese o sul lavoro e da subito fissare per legge ulteriori tagli di spesa a valere dai prossimi anni. Non sarà fatto, sembra. Ma arriva un passo in questa direzione. Sarà interessante vedere se gli imprenditori italiani saranno in grado di cogliere l’occasione, e neanche questo è scontato. Di recente il governo ha offerto a loro e ai sindacati di rafforzare molto la negoziazione dei contratti in azienda, una misura che ovunque in Europa ha rafforzato la competitività delle imprese, eppure Confindustria in proposito è parsa timida e indecisa. Anche l’associazione degli industriali deve decidere qual è il suo ruolo in questo secolo: mantenere il monopolio della contrattazione centralizzata, e giustificare la sua stessa esistenza vecchio stile, oppure fare l’interesse dei suoi associati e della creazione di posti di lavoro. Dopo tre anni di caduta continua dell’economia è davvero il momento della verità e delle scelte. Ma vale per tutti gli italiani, non solo per Matteo Renzi.
Federico Fubini, la Repubblica 14/10/2014