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 2014  ottobre 14 Martedì calendario

JOSCHKA FISCHER: «BISOGNA RENDERE EUROPEA LA GERMANIA E NON GERMANIZZARE L’EUROPA»

Joschka Fischer, da quando la crisi finanziaria mondiale domina la Ue, gli Stati nazionali hanno riguadagnato un ruolo. Si è verificata così una ri-nazionalizzazione, ovvero il contrario di quello a cui lei pensava, e cioè la piena integrazione politica.
«La ri-nazionalizzazione durante la crisi è il risultato di dati di fatto oggettivi. Improvvisamente sono entrati in gioco centinaia di miliardi di euro provenienti dai bilanci e dai gettiti fiscali nazionali. E soltanto i Parlamenti e i governi nazionali potevano legittimare questa operazione».
Angela Merkel in ogni caso predilige questa forma nazionale della politica europea e non intende abbandonarla.
«Al momento viviamo un conflitto, che la Ue non è preparata ad affrontare. Una volta tutti gli Stati membri potevano essere annoverati tra i vincitori, o almeno quasi sempre. Negli ultimi anni si è verificata all’interno degli Stati Ue una lotta per la distribuzione tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud. La solidarietà europea rischia di arenarsi. E al centrovii è la Germania, con l’economia più forte».
Che cosa ne consegue?
«Sulla questione decisiva, purtroppo nel nostro Paese si discute di meno. E cioè: si approderà a una Germania europea o a un’Europa tedesca?».
Durante la crisi era sembrato piuttosto che si trattasse di un’Europa tedesca.
«Questo è il pericolo più grande per il progetto europeo! Ma mi sembra che in nessun posto a Berlino se ne parli. È un vero peccato! Perché in quasi tutti gli altri Stati della Ue se ne discute in modo acceso. Eppure è evidente che la maggior parte degli altri Stati membri non sarà disposta a limitare la propria sovranità nazionale per rendere possibile un’egemonia tedesca. Non ci sarà un’Europa tedesca. Ma se vogliamo una piena Unione politica, tutto gira intorno alla Germania e alla Francia».
Perché?
«Perché la crisi europea in verità pone la questione della sovranità nazionale, e questa non può trovare una risposta senza il contributo della Germania e della Francia. Gli Stati dell’euro hanno rimesso la loro sovranità sulle proprie monete, ma hanno conservato quella sui bilanci nazionali. Questa separazione funziona soltanto quando le condizioni sono buone. Se non vogliamo che la sopravvivenza dell’euro dipenda sempre dal presidente della Bce, allora dovrà esserci una comune amministrazione dei deficit nazionali e dell’indebitamento».
Per questo compito la Francia ora appare troppo debole politicamente ed economicamente. E la Germania non vuole accollarsi i debiti dei Paesi problematici.
«La Francia troverà la via delle riforme, a modo suo e non al modo della Germania. Ma i francesi hanno infinite difficoltà a rimettere altra sovranità politica. E i tedeschi hanno altrettante difficoltà a rimettere altra sovranità finanziaria. Se entrambe le parti rimangono sulle loro posizioni, non supereremo la crisi e rimarremo in una lunga stagnazione economica, come il Giappone».
Il suo nuovo libro, uscito questa settimana, si chiama «L’Europa sta fallendo?». È qualcosa di più che una domanda retorica?
«L’Europa si trova coinvolta in due crisi. Quella esterna, che l’intervento di Putin in Ucraina ha reso visibile, e che forse riuscirà addirittura a rafforzare la coesione. E la crisi interna che invece sta disintegrando la Ue. Dobbiamo finalmente parlare del fatto che abbiamo bisogno in Europa di una piena unione politica e che possiamo costruirla. Angela Merkel, in nove anni di governo, ha evitato questo dibattito, e di ciò ora si presenta il conto. Temo che non siamo mai stati così vicini al fallimento. Cinque anni fa, davvero non lo avrei mai pensato».
E perché ora?
«Perché la solidarietà europea è distrutta dalla crisi interna. Alle elezioni europee hanno vinto i partiti del fronte antieuropeo. In Francia il Front National si è spinto fin dentro il centro politico. In Inghilterra l’Ukip ha sopravanzato il Partito laburista. Con Syriza in Grecia ha vinto un movimento antieuropeo di sinistra».
Questi risultati rispondono tutti alla parola d’ordine «meno Europa». Lei intende rispondere con «più Europa»?
«Cosa vuole dire “meno Europa”? Ancora più debole? O si crede che nel XXI secolo gli Stati nazionali possano far valere i nostri interessi meglio dell’Europa unita? Questo è assurdo! Ma mi rendo conto che una piena integrazione politica, quindi più Europa, ha bisogno di un altro tipo di legittimazione. Non ci sarà nessun miracolo di Pentecoste e all’improvviso le persone accetteranno la Commissione Europea come il governo d’Europa. Lo Stato nazionale è e rimane il quadro di riferimento dei cittadini, non fosse altro che per la lingua e la storia nazionale. Se l’Europa è fatta di una molteplicità, e ciò va bene, dobbiamo riprodurre questa molteplicità in un’unione politica».
Il Parlamento e la Commissione Ue non non lo fanno già?
«Mi dispiace, ma sono percepiti come istituzioni tecnocratiche. Ciò non fa giustizia soprattutto al Parlamento, ma è così».
(Traduzione di Steffen Wagner)