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 2014  ottobre 14 Martedì calendario

ARTICOLI SUL CASO LUXOTTICA


DANIELA POLIZZI, CORRIERE DELLA SERA 14/10 -
Alla fine di un board fiume, concluso in tarda serata, i consiglieri indipendenti l’hanno avuta vinta. Sarà Leonardo Del Vecchio a cumulare tutte le deleghe in attesa della nuova governance. E’ un percorso più chiaro e condiviso imposto da consiglieri come Claudio Costamagna e Anna Puccio che hanno così rispedito al mittente la proposta fatta dallo stesso patron del gruppo di occhialeria che chiedeva una soluzione ponte dopo le dimissioni di Enrico Cavatorta dal ruolo di amministratore delegato. Ossia la nomina di Massimo Vian, già chief operating officer, a capo della divisione corporate e finanza.
E’ stata una giornata di tensione ai massimi livelli in casa Luxottica, contrassegnata da incontri frenetici tra Del Vecchio prima del consiglio straordinario convocato dopo l’annuncio dell’addio di Cavatorta, il secondo Ceo a lasciare dopo Andrea Guerra nel giro di 40 giorni. È bastata la notizia per affossare del 9,23% il titolo che ha così bruciato in Borsa 1,82 miliardi. E non sono valsi gli acquisti sui mercati da parte della Delfin dei Del Vecchio. Sforzi vanificati poi da Wall Street che ha confermato il forte ribasso. Pagano il conto sia Del Vecchio, che attraverso Delfin detiene il 66,5% del capitale, sia il mercato rappresentato in larga parte da fondi internazionali. A preoccupare sono state le ragioni del terremoto al vertice, che paiono legate più a una dynasty familiare che alle strategie. Cavatorta ha infatti deciso di lasciare a un mese e mezzo dalla sua investitura per il peso crescente nelle scelte di Luxottica dell’imprenditore Francesco Milleri, consulente informatico e uomo di fiducia di Del Vecchio e della sua attuale moglie, Nicoletta Zampillo. La giornata di ieri è stata una maratona per Del Vecchio ritmata dagli incontri con i membri del board ma anche con il presidente del collegio sindacale Francesco Vella, con Mario Cattaneo e Marco Reboa del comitato rischi e con il consigliere, nonché presidente del comitato risorse umane Claudio Costamagna. I primi a esigere chiarezza. Incontri tesi anche con i consiglieri pronti a dare le dimissioni, anche se con sfumature diverse. Il risultato è stato un cda spaccato, con l’ex McKinsey Roger Abravanel determinato a lasciare con Anna Puccio sulla stessa lunghezza d’onda, e alcuni consiglieri indipendenti come Costamagna che tentavano di trovare la strada. Ieri sera, durante il board straordinario Del Vecchio ha proposto una transizione Massimo Vian, attuale capo delle operation, con le deleghe su prodotto e, ad interim, per corporate e mercati.
Lo schema pensato da Del Vecchio prevedeva in primavera la nomina del consulente Francesco Milleri a vicepresidente con deleghe su corporate e finanza. Adesso bisognerà ripensare lo schema. Ci sarà solo la conferma di Vian come chief operating officer.
Daniela Polizzi

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LUIGI PAGNI, LA REPUBBLICA 14/10 -
IL mercato non ha gradito. E non avrebbe potuto essere diversamente. Cambiare due amministratori delegati in meno di quaranta giorni non ha soltanto iscritto il gruppo Luxottica nel guiness dei primati (negativi) delle aziende quotate in Borsa, ma ha pure provocato alla società una perdita di valore per quasi 2 miliardi. Così, ieri, alla riapertura delle contrattazioni il giudizio della Borsa è stato impietoso: la giornata a Piazza Affari per la società fondata dal milanese Leonardo Del Vecchio, diventata negli ultimi 20 anni il leader mondiale della produzione di occhiali, si è conclusa con una perdita del 9,38 per cento. Il che significa che - in poche ore - la capitalizzazione della società è scesa di 1,82 miliardi.
Ora bisogna capire come reagiranno questa mattina gli investitori alle notizie arrivate a tarda notte, al termine di un drammatico cda, in cui si è dimesso uno dei consiglieri indipendenti, il consulente d’azienda Roger Abravanel. Per il momento, è congelata la nomina del nuovo amministratore delegato Massimo Vian che entrerà in carica solo dopo la scelta del nuovo responsabile dei mercati internazionali. Nel frattempo, tutte le deleghe restano nelle mani di Del Vecchio, fino a quando non sarà insediato il nuovo vertice.
Del resto, era stata proprio l’incertezza sulla governance a provocare la fuga degli investitori. In primis, il passo indietro di Enrico Cavatorta, nell’ultimo decennio direttore finanziario del gruppo. Il quale soltanto ai primi di settembre era subentrato ad Andrea Guerra. Ex amministratore delegato del gruppo Indesit, Guerra è stato il manager cui Del Vecchio - dopo aver guidato la società dalla sua fondazione - aveva ceduto la direzione dell’azienda. Con una decisione quanto mai rara nel capitalismo familiare italiano: lasciare la guida a un dirigente esterno e tenere i figli lontani dai vertici aziendali.
Ora, in quaranta giorni, Del Vecchio corre il pericolo di cancellare l’immagine di imprenditore di successo e di grande visione. A rovinarle, le ricostruzioni secondo cui la seconda moglie dell’imprenditore Nicoletta Zampillo abbia chiesto il 25% di Delfin, la holding che ha la maggioranza di Luxottica, il cui capitale è diviso con i sei figli avuto da tre relazioni diverse. E che in azienda avrebbe sempre più peso un consulente del settore informatico che risponde al nome di Francesco Milleri e che sarebbe stato imposto dalla stessa Zampillo e che - a quanto pare - diventerà vicepresidente esecutivo con il rinnovo del cda nel prossimo aprile. Non per nulla, le dimissioni di Cavatorta sarebbero state provocate proprio dai contrasti insorti per la presenza sempre più invasiva della moglie e di Milleri.
Del Vecchio ha comunque voluto rassicurare gli investitori sul fatto che verrà mantenuta la separazione tra famiglia e azienda: ha precisato che l’ingresso in cda del figlio Leonardo Maria «non è mai stato preso in considerazione» e che il figlio Claudio «non sarà riconfermato alla scadenza naturale del mandato, per dare omogeneità e coerenza alle posizioni di tutti i membri della famiglia». Ma il mercato non si fida e vuole capire meglio le prossime mosse.

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LUIGI FERRARELLA, CORRIERE DELLA SERA 14/10 -
I dividendi maturati in Lussemburgo sono ancora solo potenziali o hanno già carne e ossa tassabili in Italia? Il loro incasso potenziale nel 2006, benché non ancora fisicamente avvenuto, può essere già qualificato «incasso giuridico»? Su questioni tributarie-penali di questo genere forse Leonardo Del Vecchio avrebbe potuto protrarre a lungo il braccio di ferro con l’Agenzia delle Entrate, che da lui voleva tanti soldi, e con la Procura di Milano, che lo indagava per l’ipotesi di reato di «dichiarazione infedele».
Ma il fondatore di Luxottica ha preferito non arroccarsi su un contenzioso eterno, e ha scelto di firmare con l’Agenzia delle Entrate una transazione da 146 milioni di euro già versati, che gli varrà anche la certezza dell’archiviazione in sede penale, dove peraltro l’annualità in contestazione (2006) è di fatto già prescritta.
La maxitransazione — che nella tenaglia tra Procura di Milano e Agenzia delle Entrate segue quelle colossali di Prada da 470 milioni o di Armani da 270 milioni o di Bosch da 320 milioni, nonché una miriade di altre meno eclatanti ma pur sempre consistenti come quelle da 56 milioni di Marzotto-Donà delle Rose, da 42 milioni di Bulgari, da 31 milioni di Arcelor Mittal o da 20 milioni di Ezio Greggio — non ha alcun nesso, se non la casuale sovrapposizione tempistica del pagamento al Fisco con le attuali turbolenze nella governance di Luxottica, costate ieri un crollo del 9% alla Borsa di Milano.
Inoltre non riguarda come soggetto giuridico la struttura societaria di Luxottica, la cui catena di controllo invece alla fine del 2009 aveva già avuto un match con il Fisco, concluso anche in quel caso da un corposo versamento di 235 milioni a tassazione delle plusvalenze latenti.
Il soggetto invece dell’attuale contenzioso con l’Agenzia delle Entrate era il contribuente Leonardo Del Vecchio in quanto persona fisica, che dal 2008 risiede a Montecarlo ma continua a presentare la sua dichiarazione dei redditi in Italia, dove è soggetto fiscalmente residente benché abitualmente dimorante all’estero.
La contestazione muoveva dal 2006, quando la holding Delfin (che controlla Luxottica) viene trasferita in Lussemburgo ed emette azioni privilegiate con diritto prioritario a distribuzioni di utili. I dividendi maturano, il socio Del Vecchio è destinato a incassarli, ma da allora restano in «pancia» alla società lussemburghese.
Il punto è che l’Agenzia delle Entrate, nella contestazione riversata poi anche nel penale al pm milanese Gaetano Ruta, considera «viventi» già nel 2006 questi rendimenti come distribuzione presuntiva di dividendi, e perciò anticipa a quel momento l’obbligo di tassazione in Italia.
La difesa ribatte che la società non ha mai effettuato alcun pagamento a favore del socio Del Vecchio, e che dunque ciò che l’Agenzia e la Procura volevano anticipare era una tassazione che comunque avrebbe poi avuto luogo al momento dell’effettivo stacco del dividendo, sicché l’Erario non avrebbe sinora avuto titolo per ritenersi vittima di alcuna reale sottrazione di imponibile.
Alla fine Del Vecchio ha optato per una soluzione che chiudesse l’intero contenzioso: non soltanto ha versato 146 milioni al Fisco, ma nel quadro dell’accordo con l’Agenzia delle Entrate ha anche accettato che pure i futuri rendimenti delle azioni privilegiate e le distribuzioni della riserva nel bilancio di Delfin, in quanto provenienti da utili maturati in Italia prima del trasferimento in Lussemburgo della Delfin, vengano in futuro tassati in Italia al momento della loro distribuzione.
Luigi Ferrarella

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GIOVANNI PONS, LA REPUBBLICA 14/10 -
La dynasty di Agordo ha già prodotto i suoi effetti negativi. La perdita subita dal titolo Luxottica in Borsa ieri ha raggiunto 1,82 miliardi, quasi quanto il valore della quota che la moglie di Leonardo Del Vecchio, Nicoletta Zampillo, chiederebbe per sé: il 25% delle azioni Delfin. La conoscenza tra i due risale a molti anni addietro in quanto il padre Zampillo è stato uno dei primi, se non il primo rappresentante di occhiali Luxottica per Milano e la Lombardia. Nicoletta era l’ultima di tre figlie e deve aver conosciuto Del Vecchio quando veniva a Milano a trovare il padre. Ma non è stato un colpo di fulmine. Nicoletta ha infatti sposato in prime nozze Paolo Basilico, enfant prodige della finanza milanese, prima in Mediobanca e alla filiale italiana della Giubergia Warburg e poi fondatore dei primi hedge fund in salsa italiana, sotto il marchio Kairos. Da questa unione nasce un figlio, Rocco, che in queste ore alcune voci accreditano per un ingresso nel cda di Luxottica. Voci in libertà visto che Del Vecchio ha già dichiarato pubblicamente più volte che non vuole figli in azienda, neanche Leonardo Maria nato dal matrimonio con Nicoletta a metà degli anni ’90 e che invece la signora sta cercando di spingere in tutte le maniere. Andrea Guerra, il ceo che ha guidato la Luxottica per un decennio, pare abbia respinto più volte le richieste della signora Zampillo per l’inserimento del figlio in azienda. E forse anche questi dinieghi hanno fatto sì che il rapporto tra la famiglia e il manager cominciasse a deteriorarsi.
Il periodo buio per la signora Zampillo, soprannominata da alcuni “Phd” per essere riuscita a farsi sposare, liquidare e risposare una seconda volta dallo stesso uomo - arriva negli anni Duemila quando il patron si invaghisce della investor relator che lavora in Luxottica, Sabrina Grossi. La relazione è così forte che Del Vecchio tronca il matrimonio con la Zampillo, la liquida e si butta a capofitto nella nuova relazione che porterà alla nascita di altri due figli, Luca e Clemente, che si aggiungono ai tre avuti dal primo matrimonio, Claudio, Paola e Marisa, e a Leonardo Maria. Con sei figli avuti da tre relazioni diverse la questione della successione diventa complessa e Del Vecchio, ormai assunto alle cronache per aver creato una multinazionale partendo da una bottega, quando entra in crisi la relazione con la Grossi pensa a come sistemare il tutto. Divide esattamente per sei le azioni della Delfin, 16,38% per ciascun figlio, chiude un contenzioso da 300 milioni con il Fisco, e con l’azienda affidata nelle mani sapienti di Guerra decide di marcare ancor più il suo distacco e trasferire la residenza a Montecarlo dove si trova ormeggiato anche il suo mega yacht. Ma evidentemente da ex martinitt che si è fatto veramente da solo, Del Vecchio non è uomo che riesce a godersi gli agi della ricchezza e del consumismo senza qualche rimorso nella coscienza. Il riavvicinamento con la Zampillo, donna che non demorde mai, e il richiamo dell’azienda fondata oltre 50 anni prima, fanno il resto. Ma risposandosi Del Vecchio ha messo a repentaglio la suddivisione in parti uguali effettuata anni prima: alla moglie spetta infatti la cosiddetta legittima. Le avances di Matteo Renzi a Guerra costituiscono il pertugio in cui la Zampillo si infila per indurre il marito a riprendere in mano le redini del gruppo. Ma il rischio di una rapida deriva da azienda di standing internazionale a tipica azienda famigliare italiana è già visibile. Il consulente Francesco Milleri, vicino di pianerottolo della Zampillo ai tempi del matrimonio con Basilico e fidanzato dell’attuale investor relator del gruppo, assume improvvisamente un ruolo strategico e provoca le dimissioni del neo ad Enrico Cavatorta. La frittata è fatta con il titolo che crolla a Milano e New York e arrivati a questo punto è difficile che la battaglia per la successione possa fermarsi qui a meno che il fondatore non abbia già pronta la soluzione in grado di mettere tutti d’accordo.

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ROBERTA AMORUSO, IL MESSAGGERO 14/10 -
Colpo di scena. Almeno per ora, non sarà Massimo Vian, l’uomo scelto dalla famiglia Del Vecchio, a guidare il gruppo Luxottica. Non sarà lui il manager a prendere il testimone di Enrico Cavatorta, uscito di scena domenica scorsa con tanto di dimissioni a poco più di un mese dalla sua nomina incassata con l’uscita di Andrea Guerra. A prendere le redini del gruppo sarà il fondatore del gruppo, Leonardo Del Vecchio, che alla soglia degli 80 anni avrà fino all’ultima delle deleghe operative del gruppo. Altro che il triumvirato immaginato un mese. È questo il risultato della giornata convulsa di ieri, una giornata fatta di riunioni a catena, seppure informali, che hanno preparato il campo a un esito clamoroso. Il pressing dei consiglieri indipendenti, determinati a fare chiarezza sul vertice ha avuto la meglio ed è riuscito a far congelare la nomina di Vian fino a quando non sarà trovato il secondo amministratore delegato immaginato dallo stesso Del Vecchio. Soltanto allora il consiglio ratificherà la doppia nomina. La decisione è stata presa da un cda ad alta tensione riunito fino a tarda notte e sarà comunicata stamattina ai mercati.
A questo punto è facile immaginare che si cercherà di stringere i tempi per chiarire il nuovo assetto. Ma nel frattempo il timone sarà nelle mani del fondatore. Proprio come richiesto dai sei consiglieri indipendenti, riuniti più volte ieri in conclave con il presidente del collegio sindacale, Francesco Vella. Un passaggio cruciale che almeno per ora mette al sicuro il gruppo da imminenti scossoni familiari e può servire a rasserenare i mercati. Già, perchè il colpo di mano preparato ieri mattina da Del Vecchio con l’arrivo al vertice di Vian e l’annuncio del riassetto in Delfin, la holding che controlla il colosso degli occhiali, aveva fatto sprofondare il titolo a Piazza Affari e a Wall Street fino a perdere oltre il 9% e 1,8 miliardi di capitalizzazione.
LO SCONTRO FAMILIARE

Ieri mattina la giornata era iniziata con una rovente riunione informale del consiglio in cui Del Vecchio avrebbe ribadito la determinazione a far entrare Francesco Milleri, l’imprenditore dell’It vicino alla seconda moglie, Nicoletta Zampillo e diventato improvvisamente il super consulente del gruppo, in cda al posto di Luigi Francavilla. È lo stesso Milleri che nei piani di Del Vecchio, su pressione della Zampillo, doveva essere candidato alla vicepresidenza operativa proprio mentre la seconda moglie puntava al 25% della Delfin.
Una rigidità, quella del fondatore. non apprezzata dai sei consiglieri indipendenti che a più riprese durante la giornata si sono confrontati sul da farsi nell’interesse della società. Accanto alla posizione di Cavatorta, tra le posizioni più intransigenti quella di Roger Abravanel, che ha finito per consegnare le sue dimissioni al consiglio, in segno di dissenso. Indecisa fino all’ultimo anche Anna Puccio, ma il malumore era diffuso anche tra chi come Claudio Costamagna (sulla stessa linea di Marco Reboa e Mario Cattaneo) hanno cercato una mediazione per evitare di veder saltare l’intero cda. Il punto è che il patron del gruppo ha alle spalle ben tre matrimoni ed è alle prese con gli equilibri tra i sei figli. Di qui la decisione di «studiare un riassetto di Delfin» per «migliorarne la governance e separare ulteriormente la proprietà dalla gestione». Precisando anche che se da una parte l’ingresso in cda del figlio Leonardo Maria (avuto con Zampillo) «non è mai stato preso in considerazione», l’altro figlio Claudio «non sarà riconfermato» in cda «per dare omogeneità e coerenza alle posizioni di tutti i membri della famiglia».
Roberta Amoruso

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CHRISTIAN MARTINO, IL SOLE 24 ORE 14/10 -
«Abbiamo fatto dieci anni con Andrea Guerra, adesso ne faremo altri dieci con la nuova governance». Era lo scorso primo settembre quando il presidente e fondatore di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, osannava il nuovo corso del gruppo di Agordo sotto la gestione di Enrico Cavatorta. Dopo solo 42 giorni la nuova governance voluta da Del Vecchio, una sorta di triumvirato, non ha retto. Oggi in casa Luxottica qualcosa non funziona più. E di questo si è accorto anche il mercato (ieri il titolo è crollato del 9,32% a Piazza Affari, mandando in fumo 1,8 miliardi di capitalizzazione). Ma a penalizzare il gruppo non sono state divergenze sulle strategie aziendali tra azionista e management, ma le ingerenze della numerosa famiglia Del Vecchio sulla gestione del gruppo. Un antico neo della finanza non solo italiana che si ripropone ancora oggi e che rischia di mettere in crisi, questa volta, il primo player mondiale nel settore dell’occhialeria con 7,3 miliardi di euro di fatturato (60% negli Usa, 20% in Europa e altrettanti nel resto del mondo). Con l’uscita di Guerra l’attuale moglie di Del Vecchio, Nicoletta Zampillo, sta puntando a conquistare sempre più potere in azienda. In tal senso va letto l’ingresso nella governance dell’amico di famiglia Francesco Milleri, inizialmente arruolato come consulente con un contratto di oltre un milione di euro. Luxottica, un gruppo con oltre 50 anni di storia, nato dall’intuizione geniale del suo fondatore cresciuto al collegio dei Martinitt, oggi si trova imbrigliato in una dynasty familiare degna di un romanzo d’appendice. Ma tra i "lettori attenti", ci sono molti concorrenti del settore (i rumors dicono transalpini), pronti a fare l’ennesima zampata nel nostro Paese su un gruppo che, nonostante tutto, resta uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy di successo.
Christian Martino

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MARIGIA MANGANO, IL SOLE 24 ORE 14/10 -
La stabilità ai vertici di Luxottica è la priorità. Sistemato quel tassello, per Leonardo Del Vecchio partirà la vera sfida: rivedere gli assetti proprietari di Delfin, la cassaforte che controlla il colosso degli occhiali con il 61,38%. Con esiti ancora tutti da verificare. Perché se non si dovesse trovare la quadra e il giusto equilibrio tra la moglie Nicoletta Zampillo e la numerosa prole, l’alternativa, secondo alcune fonti, potrebbe essere perfino quella di guardare altrove la soluzione. Magari in quelle alleanze che possono proiettare sempre più Luxottica all’estero, che vadano a ridimensionare il controllo finora detenuto dalla famiglia e riescano a contribuire a un miglioramento della governance che, dopo l’uscita di Andrea Guerra e la nascita del triunvirato, appare oggi assai debole.
Del resto, che gli assetti proprietari vadano rivisti e in modo sensibile è stato lo stesso patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio a chiarirlo. Dopo le indiscrezioni pubblicate da questo giornale che indicavano la moglie Nicoletta Zampillo pronta a chiedere il 25% della holding, Del Vecchio, in una nota, ha comunicato ieri che «è attualmente allo studio un riassetto di Delfin con l’obiettivo di migliorarne la governance e separare ulteriormente la proprietà dalla gestione delle aziende partecipate».
Marigia Mangano

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MARIGIA MANGANO, IL SOLE 24 ORE 14/10 -
Luxottica crolla in Borsa e il fondatore Leonardo Del Vecchio, con un colpo a sorpresa, torna in prima linea nella gestione del gruppo, congelando di fatto il progetto del triumvirato. Ieri a Piazza Affari il gruppo di Agordo ha bruciato 1,82 miliardi di euro di capitalizzazione. All’origine del tracollo, con il titolo che ha perso il 9,23% a 37,29 euro, le dimissioni dell’amministratore delegato Enrico Cavatorta, a un mese dalla sua nomina. Dimissioni lette con estrema preoccupazione dagli analisti e dal mercato. A nulla è servito il vertice, convocato domenica pomeriggio, con il fondatore del gruppo Leonardo Del Vecchio: nei venti minuti di colloquio, secondo quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, il patron del gruppo avrebbe ribadito la sua piena fiducia al consulente Francesco Milleri, amico di famiglia e figura intorno alla quale si sarebbe consumata la rottura tra il manager e il fondatore del gruppo.
Tutto da rifare, dunque. Partendo da quel triumvirato che Leonardo Del Vecchio pieno di aspettative aveva presentato lo scorso primo settembre al mercato. L’assetto al vertice cambierà: Del Vecchio, che in un primo tempo aveva deciso di proporre al cda di cooptare Massimo Vian al ruolo di co-amministratore delegato, congela la nomina e accentra su di sé tutte le deleghe, fino al prossimo cda del 29 ottobre. Questo dopo che Luxottica aveva fatto sapere in una nota che «il processo di selezione del co-ceo Mercati procede sulla base di una lista di candidati di elevato profilo. Alla luce dei solidi risultati del terzo trimestre - prosegue la nota - Luxottica ritiene di poter procedere in tale ricerca nei tempi necessari a prendere la decisione migliore». Il nuovo e repentino giro di poltrone ha comunque lasciato perplessi gli operatori di mercato, non abituati a simili scossoni dopo che Guerra aveva guidato la multinazionale per dieci lunghi anni. Tanto più che, nel nuovo ribaltone, per la prima volta ha avuto un ruolo chiave il fattore famigliare, dato che proprio il peso crescente del consulente Francesco Milleri in Luxottica ha rappresentato il motivo principale alla base delle dimissioni di Cavatorta. Dopo l’uscita di Guerra, Milleri, amico di famiglia, avrebbe assunto sempre più potere. Quanto basta per andarsi a sovrapporre a Cavatorta in alcune decisioni chiave. In questo modo il rapporto decennale tra il patron di Luxottica e Cavatorta si sarebbe incrinato per le ingerenze nella gestione dell’azienda da parte di Milleri, considerato professionista di fiducia anche dallo stesso Del Vecchio. Tanto che Milleri era candidato a fare il suo ingresso nel consiglio di amministrazione del gruppo con il ruolo di vicepresidente. Una figura, dunque, che andava ad alterare il precario equilibrio di un triumvirato in fase di costruzione.
Proprio la presa di posizione di Del Vecchio e la conferma della fiducia al consulente ai danni di Cavatorta ha portato alcuni consiglieri a prendere in considerazioni la possibilità di rassegnare le dimissioni in numero tale da far decadere il consiglio. La giornata di ieri è stata così caratterizzata da una girandola di riunioni informali nella sede milanese di Luxottica, con un pre incontro tra i consiglieri. Il board è così iniziato in tarda serata per poi concludersi con il congelamento della nomina di Vian e le dimissioni di Cavatorta e Roger Abravanel, ex McKinsey. Il prossimo bilancio lo firmerà comunque Cavatorta come cfo.

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MONICA D’ASCENZO, IL SOLE 24 ORE 14/10 -
«Le persone da noi ci restano fino alla pensione» era solito dire Leonardo Del Vecchio a inizio anni ’90, quando guardandosi attorno si vedeva circondato dai compagni di sempre. Oggi, dopo le vicende dell’ultimo mese e due ceo in uscita dal gruppo, quella realtà sembra molto lontana. Accanto, però, almeno nel cda, gli resta Luigi Francavilla. Lo stesso che nel 1968 ingaggiò come capo officina, quando nella fabbrica di Agordo, fondata nel 1961, lavoravano una decina di persone. Da allora Del Vecchio, classe 1935, e la sua creatura ne hanno fatta di strada, fino a diventare il primo player mondiale nel settore dell’occhialeria.
Gli esordi
L’infanzia di Del Vecchio al collegio dei Martinitt è ormai entrata nella storia, così come il suo apprendistato professionale. Per tre anni ha fatto il garzone di otto incisori alla Johnson e non lo chiamavano nemmeno per nome, era solo "fioeu", ragazzo in milanese. Di giorno lavorava e di sera frequentava la scuola di Brera.
Da lì diventò capo terzista fuori Milano e qualche anno dopo andò ad Agordò dove la comunità montana aveva offerto terreno alle fabbriche che avessero aperto là. A ventisei anni iniziò così l’avventura di Luxottica, dapprima come terzista e poi come produttore di occhiali finiti. «Ci siamo presentati al Mido con sette-otto modelli di metallo arraffazzonati su a mano in venti giorni e là è partita la vera Luxottica» racconta lo stesso Del Vecchio. Era il 1971.
L’espansione internazionale
Il patron di Luxottica guida poi il gruppo attraverso una crescita, prima in Italia e poi all’estero. Gli anni ’70 sono quelli dedicati alla realizzazione e commercializzazione di occhiali finiti anche attraverso la distribuzione diretta, mentre gli anni ’80 sono quelli dell’internazionalizzazione cominciando dall’acquisizione di Avant Garde Optic a New York, oltre 6.500 km da Agordo. A fine anni ottanta iniza anche la collaborazione con il mondo della moda: prima licenza acquisita dal gruppo fu quella di Giorgio Armani, ancora nel portafoglio dei marchi prodotti da Luxottica oggi.
L’espansione internazionale porta il gruppo alla quotazione a Wall Street nel 1990. Cinque anni dopo l’acquisizione di Lenscrafters, la più grande catena Nordamericana. Lo stesso anno in Italia rileva Persol e nel 1999 rileva da Baush&Lomb il marchio icona degli occhiali da sole, Ray Ban.
Solo nel 2000 il titolo debutta a Piazza Affari e l’anno successivo torna a fare acquisti in Usa conquistando la catena Sunglass Hut, mentre nel 2003 è la volta dell’Australia con l’acquisizione di Opsm Group. Nel 2004 nasce il sodalizio con Andrea Guerra, che ha continuato la strategia di espansione, sia in Asia sia negli States arrivando a guidare un gruppo da oltre 70mila dipendenti in 130 Paesi al mondo. Allo stesso tempo un disimpegno progressivo di Del Vecchio dal business, per dedicarsi alle sue passioni dopo una vita di lavoro, ha reso Luxottica un esempio italiano di separazione fra management e proprietà.
Affari e famiglia
La vita personale di Leonardo Del Vecchio, però, è sempre stata legata a doppio filo alla storia di Luxottica a cominciare dagli esordi. La fabbrichetta a inizi anni ’60, infatti, lo vede lavorare fianco a fianco alla moglie Luciana Nervo, da cui ebbe tre figli: Claudio, Marisa e Paola. Dei tre solo Claudio siede oggi nel board del gruppo, ma è destinato ad uscirne al prossimo rinnovo. E proprio Claudio aveva seguito l’espansione negli States di Luxottica ma ne era uscito per dissapori con il padre. Poi era arrivata la seconda e attuale moglie di Del Vecchio (da cui ha divorziato e che poi ha risposato nel 2010), Nicoletta Zampillo, al centro in questi giorni del riassetto della holding Delfin (si veda articolo in pagina accanto, ndr). Da lei Del Vecchio ha avuto il quarto figlio, Leonardo Maria. Anche la terza compagna è legata alla realtà Luxottica: Sabina Grossi , madre di Luca e Clemente, era responsabile investor relation del gruppo e poi è stata membro del cda durante la sua relazione con Del Vecchio. Un intreccio famiglia-impresa che finora è stato limitato a qualche presenza "temporanea" in azienda, ma che ora si preannuncia ben più ingombrante rispetto al passato, soprattutto per la mancanza di una figura di manager forte che possa tirare le fila della gestione del gruppo, che ha cinquant’anni di storia alle spalle. Un intreccio che un gruppo da 7,3 miliardi di euro di fatturato, 617 milioni di utile e nessuna difficoltà a finanziarsi sul mercato dei capitali non può permettersi. Luxottica ha incarnato il modello italiano della multinazionale per eccellenza. Una responsabilità da cui ora non ci si può esimere.

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ALESSANDRO PLATEROTI, IL SOLE 24 ORE 14/10 -
All’indomani della sua uscita dalla Luxottica, ai primi di settembre, Andrea Guerra aveva grandi difficoltà a motivare le ragioni della rottura con Del Vecchio. «I motivi della mia destituzione - ripeteva il manager a chi gli chiedeva spiegazioni di quanto stesse accadendo nella multinazionale di Agordo - possono essere uno o dieci, ma poco importa: in discussione non erano le mie qualità di manager, ma il ruolo stesso che ricoprivo, i poteri che mi erano stati affidati, l’indipendenza di cui ho goduto per far crescere Luxottica ben oltre il perimetro che avevo trovato».
«Condizioni inaccettabili, queste, non solo per me, ma per chiunque attribuisce alla separazione tra gestione e proprietà il successo dell’impresa e la sua credibilità nei confronti del mercato». Strana giornata quella di ieri. Nell’arco di 24 ore, la comunità imprenditoriale, quella finanziaria e persino quella accademica hanno potuto mettere a confronto i due casi più estremi e contrapposti nel rapporto tra management e capitalismo familiare italiano: quello della Luxottica, azienda sanissima ma a cui ora non basta più fare utili per essere credibile con il mercato, e quello della Fiat-Fca, che pur facendo pochi utili e tante promesse sale in Borsa e passa l’esame a Wall Street. Due casi diversi, si dirà. Ma che a ben vedere, sono legati da un denominatore comune: la credibilità con il mercato. Quando un’azienda si quota in Borsa, soprattutto quando si tratta di una multinazionale, la fiducia degli investitori dipende dalla sua credibilità non meno che dai risultati che produce: la credibilità della gestione, cioè il livello di autonomia e responsabilità del management nell’attuazione degli obiettivi e dei piani aziendali, e la credibilità della proprietà, cioè la capacità dell’azionista di maggioranza di non riflettere sull’azienda e sulla sua gestione di problematiche interne alla famiglia o ai rapporti di forza tra parenti-azionisti. In discussione non c’è il diritto alla proprietà, ma il doveroso rispetto che si deve a chi investe i propri risparmi o quelli degli altri su un modello d’impresa che ha ritenuto affidabile, vincente e soprattutto sostenibile. Con il crollo borsistico di Luxottica, azienda considerata finora come un gioiello industriale, finanziario e soprattutto di governance, il mercato ha dato ieri un forte avvertimento non solo a Leonardo Del Vecchio, ma a tutte le famiglie che sono a capo di imprese quotate: a Piazza Affari come a Wall Street, la fiducia non è mai scontata e soprattutto non si misura soltanto dai ricavi. Nei prossimi giorni vedremo se la famiglia Del Vecchio farà tesoro di quanto accaduto. Al contrario, restano solo il delisting o la cessione.
A giudicare dal buon debutto di Fca-Fiat a Wall Street, invece, la credibilità del management e quella della famiglia Agnelli rappresentano la migliore garanzia per l’investimento degli azionisti. Oggi nessuno dubita più dell’autonomia di cui gode Marchionne nell’attuazione del piano industriale e delle strategie del gruppo, così come nessuno mette in dubbio la determinazione della famiglia Agnelli di stare al di fuori delle scelte di Marchionne. Una mossa come quella di Del Vecchio, licenziare un manager come Guerra e poi uno dei suoi successori con la promessa di nominarne ben tre per poi gestire il gruppo, è impensabile nei confronti della famiglia torinese: ruoli e deleghe sono chiari, pur restando ancora poco chiari tempi e modalità dell’obiettivo finale. Tutti sanno che la missione del top manager di Fca è creare intorno al gruppo una nuova realtà globale dell’auto attraverso fusioni e aggregazioni che permettano alla famiglia Agnelli di diluirsi diventando poi azionista di una realtà ben più grande di quella ereditata: Fca non genera e non promette utili miliardari, ma continuità di gestione nell’attuazione di un disegno strategico e creazione di valore. E tanto basta al mercato.
I due casi, in conclusione, rappresentano i due volti del capitalismo familiare italiano e le contraddizioni nel suo processo di trasformazione nell’epoca della globalizzazione. L’Italia ha tante piccole imprese di successo, molte medie imprese multinazionali, ma poche grandi imprese davvero globali: solo in queste ultime, le famiglie-azioniste hanno accettato di separare i propri interessi da quelli dell’azienda e del mercato. In America si è scelto di puntare sulle public company. In altri Paesi europei, come per esempio la Germania, le grandi famiglie industriali hanno scelto già da tempo di affidare le proprie azioni a Fondazioni che garantiscono i diritti della proprietà senza ledere quelli del management e del mercato. Nell’ottica della successione quanto in quella dell’autonomia del management: i board - nella public company quanto nel modello delle fondazioni - si occupano di strategie, non dei dissidi di famiglia.

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SIMONE FILIPPETTI, IL SOLE 24 ORE 14/10 -
Per uno di quegli arabeschi del caso, lunedì sera il passato e un (impossibile) futuro di Luxottica hanno incrociato le loro strade. Nel foyer del Teatro della Scala si sono trovati affiancati Andrea Guerra, l’ex numero uno del colosso mondiale degli occhiali separatosi lo scorso Ferragosto, e Bob Kunze Concewitz, l’ad di Campari (che per un momento i rumours, subito smentiti, davano come candidato alla successione in Luxottica proprio al posto di Guerra): l’occasione è mondana, un concerto organizzato da Deutsche Bank per il Fai. Guerra sfoggiava il suo solito look informale (camicia sbottonata senza cravatta). Mentre il direttore Daniele Gatti eseguiva la Morte di Petruska di Igor Stravinskji, probabilmente il super manager pensava al bizzarro destino della multinazionale che ha guidato per dieci anni. Più o meno nelle stesse ore si consumava l’ennesimo terremoto (e ancor più destabilizzante) in Luxottica: il prematuro addio del nuovo ceo Enrico Cavatorta che avrebbe dovuto essere l’erede di Guerra e invece è stato una meteora.
Il 50enne romano è il manager più pagato della storia di Piazza Affari. Dal divorzio con Luxottica ha totalizzato (calcolando le stock option esercitate negli ultimi due anni) 120 milioni di euro. Nell’affollato foyer, tra una stretta di mano ai banchieri (oltre al "padrone di casa" Flavio Valeri, il responsabile della banca tedesca in Italia, anche Federico Ghizzoni di Unicredit e Fabrizio Viola di Mps) e un saluto al senatore Pd Massimo Mucchetti, Guerra ha scambiato qualche battuta con alcuni degli ospiti. Con loro, riferiscono, avrebbe condiviso alcune riflessioni sulla notizia del giorno: triste vedere un colosso mondiale impigliato in beghe familiari che si riflettono inevitabilmente sull’azienda. Nessun giudizio nel merito: Guerra si guarderebbe bene dal farlo (anche perché un blindatissimo contratto di uscita e non competizione lo lega ancora a Del Vecchio), ma avrebbe ribadito con i vari interlocutori la sua serenità per una scelta che col passare delle settimane sta sempre più rivelando i suoi veri contorni.
Per ora il manager che la sinistra corteggia (Matteo Renzi ha provato a cooptarlo nel suo Governo offrendogli un ministero pesante come le Attività Produttive), si gode il riposo. In molti gli attribuiscono ambizioni politiche e altrettanti lo tirano per la giacchetta. Forse qualcosa di vero c’è. A breve il manager entrerà nel consiglio di amministrazione dell’Università Bocconi di Milano, in quota alla giunta del sindaco Giuliano Pisapia (il Comune ha un posto in cda in ogni università cittadina). Una poltrona di prestigio e visibilità: che la Bocconi sia un trampolino anche politico lo dimostra il caso dell’ex premier Mario Monti, già rettore dell’ateneo, anche lui tra i presenti ieri sera. E lo stesso Pisapia è accreditato da rumours come in procinto di fondare un suo partito. Il futuro (di Guerra) può attendere.

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FRANCESCO MANACORDA, LA STAMPA 14/10 -
Quaranta giorni di tempo, due ad che sbattono la porta, un miliardo e mezzo di capitalizzazione in meno solo ieri. Bastano questi 3 numeri per fotografare il brusco passaggio di Luxottica da vessillo delle più avanzate multinazionali italiane a simbolo - suo malgrado - di un capitalismo familiare vecchio stile.
E bastano anche per far vacillare Leonardo Del Vecchio nell’olimpo dei fondatori d’azienda che praticano con profitto la distinzione tra proprietà e manager, rischiando invece di precipitarlo nel limbo dei padroni che alla soglia degli ottant’anni decidono che è giunto il momento di provare a riprendere - costi quel costi - il timone.
Insomma, comunque la si giri, non pare una storia destinata a fare bene a Luxottica e ai suoi azionisti, questa della doppia uscita di amministratori delegati - a fine settembre e dopo dieci anni di permanenza Andrea Guerra; ieri e dopo poco più di un mese Enrico Cavatorta - e degli intrecci di affetti e interessi familiari che invece di essere confinati nella finanziaria di controllo, che è appunto roba di famiglia, finiscono per ripercuotersi su un fior d’azienda quotata.
Le cronache raccontano del ruolo della seconda moglie di Del Vecchio, Nicoletta Zampillo, già divorziata e poi risposata. Sarebbe stata lei, che vorrebbe vedersi intestata una quota della finanziaria di famiglia Delfin - la cui nuda proprietà è attualmente divisa dal patron in parti uguali tra i sei figli avuti da tre distinti matrimoni - a spingere per una prima rivoluzione manageriale e ad innescare anche la seconda, suggerendo intanto al marito di riconquistare spazio nella gestione. E se è del tutto lecito, anche se forse non particolarmente romantico, che la signora Zampillo cerchi di mettere al sicuro la sua quota di futura eredità, meno comprensibile è il balletto dei manager che Del Vecchio sta alimentando. Prima quando, già a fine 2013, prospettò a Guerra il proprio ritorno in azienda con deleghe operative, spingendo così il manager alle dimissioni nel giro di pochi mesi; poi in questi giorni quando ha comunicato a Cavatorta la decisione di affiancargli il consulente Francesco Milleri come vicepresidente esecutivo.
Sono mosse scoordinate che gli interessati faticano a comprendere - solo la settimana scorsa chi ha incontrato Cavatorta lo ha trovato entusiasta e concentrato sul suo incarico; l’idea di esser affiancato da un proconsole non lo sfiorava nemmeno - e che il mercato difficilmente giustifica. Per ogni realtà aziendale, e tanto più per una vera multinazionale come Luxottica, quotata a Milano e New York e con interessi di produzione e distribuzione che vanno dagli Usa all’Asia, la continuità di un management che sta facendo bene è un valore. La transizione, se necessaria, deve essere motivata, trasparente e il più possibile preannunciata. L’esatto contrario, insomma, dello sceneggiato che sta andando in onda in queste settimane.
Certo, si può obiettare che Del Vecchio attraverso la sua Delfin controlla oltre il 60% di Luxottica ed ha quindi ampi spazi di manovra in una società che ha fondato e di cui detiene ancora la maggioranza assoluta. E si può ricordare, come oggi fanno molti, che in questi anni il patron affiancato comunque da Guerra - ha dato grandi soddisfazioni agli azionisti: in cinque anni il titolo è più che raddoppiato, anche tenendo conto del tonfo del 9,2% di ieri. Ma resta il fatto che separare proprietà e gestione in azienda non è un lusso nè un capriccio, ma una sana pratica di mercato. Ostinarsi a non farlo, o tornare indietro sulla strada già percorsa, può garantire all’azionista di maggioranza un saldo controllo pro tempore, ma rischia di indebolire l’azienda nel suo complesso, di esporla a conflitti d’interesse, di allontanare potenziali investitori finanziari e alla fine - un destino al quale Luxottica è finora sfuggita anche per merito di Del Vecchio e dei suoi manager - costruirsi un destino da preda più che da cacciatore.

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FRANCESCO SPINI, LA STAMPA 14/10 -
Nuovo colpo di scena a Luxottica: il consiglio di amministrazione della multinazionale degli occhiali ha deciso di conferire temporaneamente tutte le deleghe operative al presidente, nonché fondatore, Leonardo Del Vecchio. Al termine di una lunga giornata fatta di estenuanti mediazioni e incontri è tramontata l’ipotesi di cooptare come co-amministratore delegato Massimo Vian, attuale direttore operativo, inizialmente proposta dallo stesso presidente Del Vecchio. Le mediazioni messe in campo dai sei consiglieri indipendenti hanno portato a mutare completamente lo scenario. Così fino a quando non sarà individuata la figura a cui affidare le deleghe più pesanti (ovvero corporate e mercati), tutto resterà nelle mani di Del Vecchio congelando la nomina a co-ad (con le relative le deleghe) di Vian.
Questa la soluzione uscita al termine di un cda iniziato anziché alle 19 come inizialmente previsto, quando erano passate da un pezzo le 21 e terminato quasi due ore più tardi.
I consiglieri hanno puntato a rassicurare la Borsa. A Piazza Affari come - nel pomeriggio - a Wall Street è pesata alquanto l’instabilità che, nel giro di poco più di un mese, ha fatto seguire a quelle di Andrea Guerra, anche le dimissioni del successore Enrico Cavatorta. Il quale non avrebbe gradito l’ingerenza sempre più evidente nelle strategie di Francesco Milleri, consulente informatico vicino alla moglie di Del Vecchio, Nicoletta Zampillo, e che godrebbe della fiducia dello stesso presidente del gruppo. Morale: a Milano il titolo ha perfino fatto fatica a fare prezzo, in apertura, tanta era la pressione in vendita. Il titolo, a sera, ha terminato le contrattazioni lasciando sul terreno il 9,23% a 37,29 euro, mandando in fumo 1,82 miliardi di euro di capitalizzazione. Un andamento che ha riflesso i giudizi negativi di alcuni analisti che vedono nella tensione al vertice una minaccia anche sull’andamento futuro della società.
Stessa musica a New York, col titolo che a fine seduta ha perso il 9,07%. Una situazione d’emergenza, quindi, che fin dalla mattinata è stata al centro delle molteplici riunioni della giornata, che hanno dapprima interessato almeno cinque dei sei consiglieri indipendenti e, secondo alcune ricostruzioni, anche il presidente del collegio sindacale. Tutti preoccupati delle ripercussioni di quanto accaduto. Fin dalla mattina, dunque, si sono diffuse indiscrezioni sulle possibili dimissioni in blocco o almeno di alcuni dei consiglieri indipendenti, col rischio di decadenza dell’intero consiglio.
Claudio Costamagna (banchiere di lungo corso, presidente di Impregilo), intercettato dinanzi la sede della società, nella centralissima milanese Piazza Cadorna, non confermava ma nemmeno smentiva l’eventualità di addii anticipati all’interno del cda, in una veste che lo vedeva, secondo ricostruzioni, intento nel mediare posizioni più rigide come quella di Roger Abravanel, pronto a rimettere il mandato. Poi la svolta nelle riunioni, con una soluzione ponte, quella di dare il timone a Del Vecchio, in attesa che il gruppo possa trovare un manager a cui affidare stabilmente la guida del gruppo, finito al centro di una dynasty familiare che rischia, o rischiava di trascinare il titolo sempre più in basso.