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 2014  ottobre 13 Lunedì calendario

GASSMANN: «DA MIO PADRE A MIO FIGLIO: 50 ANNI A ROMA»

Occhiali a goccia, maglietta nera, jeans. Alessandro Gassmann (con due “n” finali, ha ripristinato il cognome originario) cammina con una tale sicurezza tra un Sanpietrino sbeccato, un marciapiede invaso da auto e motorini, smog, turisti, negozianti al lavoro, da apparire funzionale al contesto, perfettamente inserito tra le gioie, le brutture, le follie di una città «complicata e decadente come Roma. Guarda lì...» e indica un vicoletto dietro piazza Navona, «guarda lo sfascio: l’altro giorno hanno portato via un’auto distrutta e abbandonata da tempo, qui è la fogna della zona, dove in molti vengono a espletare i propri bisogni o a buttare l’immondizia. E siamo in pieno centro, il nostro biglietto da visita per i turisti. La senti la puzza?». Sì, nauseante.«Appunto, e fuori questa zona è anche peggio».
La settimana scorsa hai pubblicato un post sul fattoquotidiano.it  nel quale hai denunciato le brutture di via Tiburtina.
«L’ho scritto dopo essere uscito da alcuni studi cinematografici. Ho visto la qualunque, per questo ho deciso di tornarci, con calma, e in Vespa».
E cosa hai trovato?
«Ho contato otto sale Bingo in pochi chilometri, talmente luccicanti da poter sostituire l’illuminazione pubblica. E penso che spesso, dietro, ci sia del malaffare. Poi sempre sulla Tiburtina, c’è la fabbrica della Technicolor, ormai dismessa perché la pellicola non si usa più. Ed erano i più bravi di tutti. Quindi palazzi occupati, fabbriche chiuse e in fondo l’ex ospedale psichiatrico dove nella struttura sostitutiva vivono ancora dei pazienti non autosufficienti e lasciati come allo zoo».
In che senso?
«Con le mani tra le sbarre, ti chiedono le sigarette, vagano con movimenti ripetitivi, sembrano allo sbando. Dopo aver visto tutto questo mi sono rimesso in Vespa un po’ immalinconito, o meglio dire turbato».
“In Vespa” come Nanni Moretti in “Caro Diario”...
«Purtroppo la mia è con il cambio automatico e non classica come la sua. E pensare che ho anche sostenuto Marino a sindaco, mi sembrava doveroso dopo 5 anni di Alemanno».
Lo hai conosciuto di persona?
«L’ho incontrato un paio di volte in Comune, una in particolare quando si ventilava l’ipotesi di una mia nomina a direttore del Teatro di Roma. La prima volta gli ho spiegato come funziona il sistema in Italia».
In particolare cosa gli hai detto?
«Il primo problema del teatro pubblico italiano è la burocrazia. Sul palcoscenico arriva il 25 per cento di quello che è stanziato, il resto è assorbito da altro».
Oltre a questo, come è andato l’incontro?
«A un certo punto mi dice: ‘Vieni con me’. E mi porta nell’aula Giulio Cesare. ‘Guarda a terra’, insiste. E sai cosa vedo? Centinaia di bruciature di sigaretta, a quanto pare chi si è seduto e siede su quegli scranni, ama spegnere le cicche sul parquet, oppure poggiare i piedi sul muro per questo Marino ha piazzato anche delle lastre di plexiglass per salvare le pareti».
Un giudizio sul sindaco dopo poco più di un anno di governo cittadino?
«Non sono convinto, e lo vedo con la crisi che ha colpito il teatro dell’Opera e il cinema America. Lui doveva scendere, incontrare, spiegare la situazione alle centinaia di persone coinvolte. La cultura dovrebbe essere il nostro volano, invece va sempre peggio. Un altro esempio? Per le prove del mio prossimo spettacolo, siamo costretti ad andare a Pomezia , lì spendiamo appena 200 euro al giorno invece dei 600 richiesti a Roma».
Tu nella Capitale ci vivi da sempre.
«Sì, ma non esiste più la Roma accogliente e indolente di un tempo, e non è colpa dei romani, è la politica ad averli mutati: vedo dei quartieri ghetto, convivenze complicate tra italiani e stranieri, piccole cricche, con persone terrorizzate e nessuna presenza dello Stato».
I tuoi luoghi da ragazzo?
«Con mio padre abitavamo al quartiere Trieste, il cinema dove andavamo sempre è diventato un parcheggio, mentre il Luna park dell’Eur, altro luogo della mia infanzia, è serrato da anni».
Il governo ha deciso di porre fine ai mozziconi di sigaretta a terra, con tanto di multe. Quanto fumi?
«Quindici al giorno quando lavoro, zero d’estate: questo la dice lunga sulla mia coglioneria. Ma l’attore vive in attesa, e mi stressa molto di più il cinema rispetto al teatro. E ti parla uno che ogni mattina si sveglia e si dice: ‘Cacchio quanto sono fortunato’. E quando parlo o vedo gli attori che in televisione si lamentano della fatica, mi viene da entrare dentro il video e dargli uno schiaffo in faccia e poi dirgli ‘o sveglia, ma ti rendi conto?’. Ma sono stato cresciuto così, davanti a mio padre dovevo sempre sorridere, anche se non mi andava. Dovevo dimostrare contentezza».
Fabio Testi una volta ha dichiarato: «Il mio fisico mi ha protetto da molti complessi».
«Se sei uno sportivo sono d’accordo, ma da attore può diventare riduttivo: molti ruoli che volevo interpretare li hanno assegnati ad altri, giudicati “uomini normali”»
Questo da adulto, da ragazzo?
«Sì, ti aiuta con le donne e sei contento, però in questo mestiere è centrale l’apparire fisico. Quando ho iniziato le riprese di Caos Calmo con Nanni Moretti, di cui sono fan sfegatato, il primo giorno di ripresa eravamo a Bocca della Verità, caldo estivo, momento di pausa, chiusi in macchina. A un certo punto inizia ad arrivare gente sul set, mi vedono e mi chiedono autografi su autografi, anche più che a Nanni. E lui: “Cazzo, sei famoso!”. Gli rispondo: Beh, sono anni che recito. Ma Nanni insiste: “Ma sei molto famoso” (Gassmann offre una imitazione perfetta di Moretti). E a quel punto commetto un grosso errore, gli rivelo: sai, ho realizzato un calendario nudo, per questo le donne mi chiedono l’autografo. Da lì ha iniziato a prendermi in giro».
Quel calendario ha spopolato.
«Buona parte della mia popolarità è per quegli scatti. E un po’ mi vergogno».
Non è attaccato in casa?
«Ma che sei matto? Ancora quando sono in tournée arrivano delle signore con questo oggetto e mi chiedono di firmarlo. Sembravo un pollo da combattimento tutto sagomato».
Tu giovane romano.
«Un fascistello da scuola privata. Poi quando mi hanno bocciato mio padre mi ha mandato a un liceo pubblico e sono cambiato. Via il bomber, via l’atteggiamento arrogante, via le discoteche».
Dicono che in classe eri bravissimo nel lanciare i soldatini.
«Vero! E i 45 giri dal terrazzo».
E perché?
«Ero un discolo in combutta con Emanuele Salce. Davanti casa avevamo un convento di suore, e insieme inventammo l’azione a triplo tempo: prima lanciavamo un petardo contro la loro serranda chiusa, la serranda si alzava e quando la suora si affacciava gli mostravamo il pisello».
Anche tuo figlio come suo padre?
«No, assolutamente, altro carattere. A 16 anni è già in crisi esistenziale, ma è molto più avanti di me alla sua età. Attraverso lui sto capendo molte cose, la sua generazione mi incuriosisce, ho la sensazione, o la speranza, che da loro possa nascere qualche cosa di altro. Piuttosto gli rompo molto: credo sia l’unico che va a letto a mezzanotte, con il cellulare spento e poggiato in un’altra stanza. E ogni mattina ha l’obbligo di leggere almeno un quotidiano».
E lui obbedisce?
«Deve, anche perché poi gli domando cosa ha letto, e mi sono reso conto del suo cambiamento da quando s’informa».
Non si lamenta?
«Sì, certo, mi dice che Tizio o Caio è tornato alle due, e così via. Ma Roma non è una città semplice o tranquilla, per questo quando esce mi deve dire dove va, se va al ristorante voglio il nome del posto, e se è in casa di qualcuno ci deve essere almeno un genitore presente».
Tuo padre era una montagna da scalare, ma ora anche tu lo sei.
«Beh, io sono meno impegnativo rispetto a quanto mio padre lo è stato per me. E comunque mio figlio è un paraculo. Un giorno del primo liceo la professoressa lo chiama per un’interrogazione in italiano o latino, non va benissimo, e per giustificarsi gli dice: “Lei riesce a immaginare il peso culturale che devo portare sulle mie spalle?”».
Hai dichiarato di esserti salvato grazie agli hobby...
«Sì, a differenza di mio padre ho combattuto così la depressione, riesco a pensare ad altro oltre il lavoro: disegno, leggo e viaggio. L’anno prossimo porto la famiglia negli Stati Uniti per un coast to coast lungo la Route 66».
Rispetto a quando eri ragazzo, è mutato anche il gergo?
«Sono saltate le vocali, ora quasi non muovono la mandibola. Lo vedo anche con mio figlio, anche se ci prova poco, in casa è obbligato a parlare correttamente. Se mio padre lo sentisse sbiascicare, uscirebbe dalla tomba per dargli una pedata».
Anche lui così severo con te?
«Quando si incavolava erano calci, a volte non toccavo il terreno per quanto il palleggio era serrato. Ma aveva ragione».
Cosa hai capito da padre che non comprendevi da figlio?
«Che non devo terrorizzarlo. In casa non deve vigere la paura».
Tu ce l’avevi?
«Sì, suo malgrado. Non è che facesse niente di che, bastava la sua immagine. Calcola che stai parlando con uno convinto fino ai quattro anni che suo padre fosse Brancaleone».
Da quanto tempo sei Alessandro Gassmann non più il figlio di?
«Da un po’ di anni, ma se da una parte mi rende orgoglioso, dall’altra un po’ mi manca, perché quella generazione che tanto ha costruito, tanto ha raccolto a livello mondiale, è quasi dimenticata dalla generazione di mio figlio. Siamo un paese miope. I ragazzi non conoscono Mastroianni o Fellini, ed è grave come ignorare Pirandello o Dante».
Tuo figlio cosa ti chiede di tuo padre?
«Di lui gli racconto sempre episodi buffi, il suo modo di dissacrare, e anche lui ha un’idea epica, poi sta a me spiegargli quanto era timido e chiuso, l’opposto dell’immagine esterna».
Si assomigliano?
«Hanno alcune manie in comune, come l’ossessione per guardare l’ora o il desiderio di organizzare il tempo».
Mentre tua moglie...
«Una mamma vera, più paziente di me. Io mi incazzo, spesso, ma non faccio più paura a nessuno. Adesso vieni, ti mostro un angolo di Roma... Gira l’angolo, poi svolta a sinistra dietro via dei Coronari, altra immondizia, altro degrado, mura sbrecciate, stranieri nascosti con le proprie borse false, ancora odore di urina. Odore forte, pari al caldo di questo ottobre. “Visto”. Sì. “E in centro chiudono in continuazione le botteghe storiche, nell’ultimo anno via dei Coronari è totalmente cambiata, non ci sono quasi più gli antiquari, solo negozi di scarpe o chincaglierie. Ogni giorno perdiamo un pezzo di Roma...”. La Roma dei Sordi, Mastroianni, Magnani, Tognazzi, Salce e Gassmann padre».