Gianluca Iazzolino, Wired 10/2014, 13 ottobre 2014
IL DENARO MOBILE CHE ANNULLA I CONFINI
Il breve tratto asfaltato che costeggia il campo profughi è striato di serpenti e percorso dai pastori TURKANA, berretto piumato in testa e bastone sottile, dandy inconsapevoli attorniati da capre. ABDIRASHID conosce un punto, sul ciglio della strada, dove, dice lui, la ricezione è ottima e non ti perdi neanche una parola. Il che, quando si parla d’affari, fa la differenza. Il suo ufficio è un NOKIA 1100, il modello che una volta Foreign Policy definì «IL KALASHNIKOV DELLA TELEFONIA MOBILE». Un giorno, un paese potrebbe metterlo sulla bandiera, come il MOZAMBICO ha fatto col fucile più affidabile del mondo. «Quello sarà la Somalia», dice ABOIRASHID, esaltandosi. Ha 25 anni, una tessera da rifugiato e il piglio di un broker. Attorno c’è un paesaggio di carta vetrata solcato dai fuoristrada delle agenzie Onu, balene bianche con antenne come fruste. In questo angolo nord-occidentale del KENYA, la TURKANA county, 150MILA PERSONE, tra somali, sud sudanesi, congolesi, etiopi e tanti altri ancora, popolano un’isola di tende e baracche sospesa in un’attesa perenne.
Si aspetta un ricollocamento in un paese terzo, il ritorno a casa, o soldi per continuare il viaggio verso nord, il Sudan, la Libia, il mare, forse Lampedusa. Abdirashid attende i camion che arrivano da Nairobi, carichi di pacchi, gli ordini piazzati ai suoi fornitori nella capitale: vende vestiti, radio, pannelli solari e utensili vari agli altri rifugiati, che pagano con derrate di riso o farina, razioni extra ottenute grazie a parenti andati via, lasciandosi alle spalle le tessere alimentari. I camion ripartono alla volta dei mercati kenyani con sacchi che espongono il logo del World Food Programme. Le organizzazioni umanitarie la chiamano truffa, i rifugiati la chiamano sopravvivenza. Abdirashid la chiama business. È un’economia oliata dai contatti e soprattutto dal denaro che custodisce nel suo Nokia. «Tenere soldi in un campo profughi sarebbe impossibile. Ma con M-Pesa sono al sicuro». Lo dice da cliente della piattaforma di mobile money lanciata nel 2007 dalla Safaricom, l’operatore tic apripista di una rivoluzione mobile che ha in Africa orientale il suo epicentro. Solo in Kenya ha 17 milioni di clienti (su 19 milioni di adulti), depositi per 87,7 miliardi di scellini kenyani, o 734 milioni di euro. M-Pesa ha catturato l’immaginazione dei professionisti dello sviluppo, sicuri che fornire servizi finanziari sia un’arma cruciale nella lotta alla povertà, e delle compagnie di telefonia mobile, che sgomitano per ritagliarsi una fetta di mercato al fondo della piramide, tra i consumatori di tecnologia low-cost. Il numero delle piattaforme di mobile money in Africa è esploso e ben 60 milioni di africani a sud del Sahara sono utenti regolari. In nove paesi, il numero dei conti su cellulare ha già superato quello dei conti bancari.
DA QUANDO L’ECONOMISTA ghanese George Ayittey ha coniato l’espressione “cheetah generation”, la generazione ghepardo, riferendosi a una gioventù urbana africana affamata di mondo e di futuro, solo la retorica ha corso più veloce del felino. La narrazione della crescita africana è puntellata da tassi di crescita del Pil tra i più alti al mondo, gonfiati, come nel caso di Angola e Nigeria, dal boom petrolifero; e da una manciata di hub tecnologici sparsi per il continente, dal Cairo a Capetown, sorti con il contributo di fondazioni americane ed europee. Sfornano soprattutto app, perché la telefonia mobile ha attecchito in un terreno povero di infrastrutture fisse, ed è esplosa. Eppure questo racconto, narrato da enti filantropici come la Bill and Melinda Gates Foundation o da associazioni non profit, trascura un mondo che le statistiche non colgono perché, come in una baraccopoli o in un campo profughi, i numeri sono inghiottiti dalla polvere. E i confini sfumano, quelli fisici, ma anche concettuali: tra innovazione e tradizione, umanitario e affari, formale e informale, legale e illegale. La diaspora somala incarna questi paradossi riflettendo, come in uno specchio deformante, l’idea di inclusione finanziaria. Da quando lo Stato somalo si è sbriciolato tra fazioni in lotta, nel 1991, i milioni di profughi sparsi per il mondo hanno plasmato una delle reti finanziarie più resilienti che esistano. Una rete sotterranea che i canali del mobile money hanno ampliato, e che si snoda tra Mogadiscio, Dubai e Londra, si stira fino a Minneapolis e Hong Kong e abbraccia la miriade di Piccole Mogadiscio, le comunità somale, che costellano il continente. E così, seguendo il denaro di Abdirashid, si arriva nella più grande Little Mogadishu d’Africa: Eastleigh, nel cuore di Nairobi. È da qui che Mahmoud, un somalo kenyano, gestisce le ordinazioni che arrivano da Kakuma, spedisce i pagamenti sul conto M-Pesa di Abdirashid e piazza sul mercato quel che arriva dal campo. Sul balcone dell’hotel Diamond sorseggia tè al latte di cammello, prelibatezza somala, contemplando la strada gremita di commercianti di stoffe, di donne avvolte in hijab e di venditori di khat, uno stupefacente molto popolare nel Corno d’Africa. I nomi degli shopping mall – Medina, Bangkok, Hong Kong – raccontano una geografia di commerci transnazionali. Le uniformi verdi dei soldati kenyani raccontano un’ansia strisciante, alimentata dalle minacce di Al Shabaab, organizzazione terroristica somala, alle truppe di Nairobi impegnate in Somalia; dalle granate lanciate sui trasporti collettivi; dall’attacco allo shopping centre Westgate, nel settembre 2013, che ha messo la comunità somala kenyana sotto i riflettori. «Stiamo su una gamba sola, sul punto di cadere. Per questo muoversi è importante». Mahmoud ha soci nel campo profughi di Dadaab, uno dei più grandi del mondo, da cui riceve pagamenti per la merce che spedisce. A volte è un sms da quasi mille dollari. «Un’inezia», precisa. I soldi veri viaggiano su altri canali. Quando compra container di vestiario a basso costo a Dubai o a Yiwu, in Cina, decine di migliaia di dollari transitano in un sistema che poggia su affinità di clan e segretezza. Noto nel mondo islamico come hawala, trasferimento in arabo, consente di spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo. Il principio è semplice: affidi i soldi a un agente che comunica al suo omologo, a destinazione, la somma da corrispondere al destinatario. Le spese per chi invia sono di gran lunga inferiori a quelle di qualsiasi operatore di rimesse e l’affidabilità è massima: se un agente tradisce, è tagliato fuori dalla rete del clan. E un uomo senza clan non è più un uomo.
LE AGENZIE DI HAWALA si trovano tra i rifugiati che non hanno accesso a canali finanziari istituzionali, ma anche nell’East End londinese, nei sobborghi del Midwest americano e nei villaggi lapponi, a Juba in Sud Sudan, magnete degli investimenti somali, e a Chungking Mansions, il “ghetto al centro del mondo”, come l’ha definito l’antropologo Gordon Mathews, l’enorme mall di Hong Kong dove si ritrovano gli imprenditori di strada del Sud del mondo. O nelle grandi città italiane: laddove c’è una comunità somala c’è un hawala. La segretezza del sistema toglie il sonno alle agenzie di sicurezza occidentali: nell’epoca post-11 Settembre, l’hawala, soprattutto in Asia meridionale, è uno dei fronti della Guerra al Terrore. Eppure è ingiusto considerarla come una semplice fonte di finanziamento del terrorismo: secondo Laura Hammond della Soas di Londra, tra i massimi esperti di rimesse somale, si tratta di linfa vitale per famiglie nei campi profughi e in Somalia. Secondo stime approssimative, il flusso totale è di 1,2 miliardi di dollari l’anno ma la maggior parte delle somme inviate è di 20 dollari. I periodici giri di vite sulle agenzie di hawala seminano ondate di panico tra la diaspora. Il ricordo di quanto avvenne all’indomani dell’11 Settembre è ancora vivo: fu allora che la Casa Bianca congelò gli asset di una serie di operatori sospettati di legami con Al Qaeda. Al Barakaat, all’epoca la maggiore hawala somala, era una di queste. Centinaia di migliaia di famiglie persero i risparmi depositati nei conti della società. Ma il fondatore, lo sceicco Ahmed-Nour Mohamed Jimale, è rimasto a galla e, integrando i principi dell’hawala con l’infrastruttura del mobile money, ha fatto della Somalia il mercato più dinamico per i pagamenti via cellulare. Una serie di piattaforme (Evc Plus a Mogadiscio, Golis in Puntland e Telesom in Somaliland) consentono di trasferire somme di denaro da un’agenzia di hawala di Tower Hamlet, ad esempio, direttamente sul cellulare di un pastore nomade, con tanto di generatori solari montati sul cammello. Grazie a un sistema fiscale inesistente (se non per le tasse di guerra imposte da Al Shabaab nelle zone sotto il suo controllo), il settore somalo delle telecomunicazioni è diventato il meno caro al mondo. La Gates Foundation ha così incoronato Zaad, il servizio di mobile money che permea l’economia del Somaliland, paese non riconosciuto del Corno d’Africa, un “mobile sprinter”: dall’acquisto di elettricità al commercio di bestiame, la valuta mobile ha soppiantato il contante. Un’agenzia umanitaria aveva anche avviato un progetto di “cash-for-work” – pagamenti a beneficiari locali per piccoli lavori – salvo accorgersi, all’ultimo momento, che il nome dello sceicco Jimale figura ancora nella lista nera del dipartimento del Tesoro americano per sospetto riciclaggio.
ABDIRASHID CONCLUDE le sue giornate da Bruno, un bar nel settore etiope di Kakuma che fa dimenticare il campo profughi tutt’attorno. Quando fuggì dalla Somalia non aveva soldi con sé, se non quelli depositati sul suo conto di Dahabshiil, oggi la principale hawala somala, e prelevati strada facendo. Così fanno ancora i migranti che tentano la rotta verso il Nord, pagando i trafficanti un passaggio alla volta. Ma non è lontano il momento in cui basterà un telefono – o meglio un conto digitale – per attraversare frontiere. Tra Tanzania e Rwanda è attivo da pochi mesi il primo servizio crossborder, Tigo, per inviare soldi da un paese all’altro convertendo la valuta. Ma davanti a un caffè etiope Abdirashid sogna di lasciare il campo per estendere i suoi business in tutta l’Africa e anche oltre. Armato solo di un telefono e di un capitale in denaro mobile. Che dissolva i confini.