Federico Simonelli, Il Secolo XIX 13/10/2014, 13 ottobre 2014
FONDAZIONI, LA NUOVA FRONTIERA DELL’EVASIONE FISCALE IN SVIZZERA
MILANO. Addio segreto bancario, benvenute fondazioni. Mentre in Svizzera ci si prepara a votare al referendum per il mantenimento dell’istituto, che nel 2014 compie ottant’anni, i grandi detentori di capitali, sia svizzeri che esteri, sembrano avere già fatto un passo oltre. E quello che emerge da uno studio appena presentato dal think tank liberale Avenir Suisse, il quale ha spiegato che dal 2000 ad oggi il loro numero è cresciuto al ritmo di 400 unità l’anno, raggiungendo la quota record di 13.000, con attivi gestiti per 70 miliardi di franchi svizzeri (quasi 60 miliardi di euro). I dividendi annui che queste istituzioni distribuiscono sfiorano il miliardo e mezzo di euro. Non tutte fungono da cassaforte privilegiata per i capitali di grandi gruppi o di facoltosi privati, ma una buona fetta probabilmente sì: come riconosce la stessa Avenir Suisse, che rivendica il suo carattere liberale e non condanna quindi il fenomeno a priori, «il settore è fortemente frammentato, con molte fondazioni piccole e in parte inattive. L’85% delle fondazioni possiede un capitale inferiore ai 5 milioni di franchi, l’80% ha collaboratori non pagati; Inoltre vi è uno scarso livello di trasparenza».
Che vuol dire? Che approfittando degli scarsi controlli e del fatto che l’imposizione su questo tipo di capitali è bassa, quando non inesistente, le fondazioni di pubblica utilità molto spesso vengono utilizzate come semplici raccoglitori di capitali nascosti al fisco. Zurigo, Losanna, Berna, Ginevra ne sono le roccaforti. Il quadro normativo, in effetti, sembra incoraggiare la creazione di questo tipo di strutture: non esiste un’autorità di controllo generale e, in una dichiarazione pubblica l’anno scorso, il Consiglio Federale ha rifiutato espressamente «l’introduzione di una alta sorveglianza per le fondazioni perché un simile adattamento rischierebbe di far perdere attrattiva alla Svizzera e di ritorcerglisi contro». Argomenti simili a quelli dei difensori del segreto bancario, che però è sempre più minacciato dagli accordi per lo scambio di informazioni con gli Stati Uniti e i Paesi europei (non l’Italia al momento). Per questo motivo spesso le stesse banche svizzere consiglierebbero ai loro clienti di chiudere i conti e trasferire i capitali in fondazioni in Svizzera, Liechtenstein e altri paradisi fiscali, in modo da diventare virtualmente irrintracciabili. Avenir Suisse, da parte sua, fa una serie di raccomandazioni alla confederazione: il rafforzamento del controllo con la creazione di un’apposita autorità, la promozione della trasparenza, la revoca della dichiarazione di pubblica utilità per quelle fondazioni inattive da anni, infine l’obbligo, come negli Stati Uniti, di consacrare almeno il 5% del capitale sociale per gli scopi ufficiali della fondazione. Tutte proposte di buon senso, che però difficilmente troveranno orecchie pronte ad intendere, almeno nel breve termine, a Berna. Perché se è vero che sugli accordi fiscali internazionali, che le permetteranno di essere cancellata dalle liste nere dei paradisi fiscali e quindi di ripulire la sua immagine, la Svizzera sta spingendo molto, all’atto pratico poi tutti sono consapevoli che grandi stravolgimenti possono essere controproducenti perle casse dei privati e dello Stato. E quindi meglio proseguire con la strategia del corpo al cerchio e del colpo alla botte.
Secondo l’economista francese Gabriel Zucman, autore di La Richesse cachée des nations, il segreto bancario in effetti è ancora vivo e vegeto: solo le ricchezze esportate in Svizzera dagli italiani, calcola il docente della London School of Economics, ammontavano nel 2013 a 120 miliardi di euro, l’80% dei quali sarebbero frutto di evasione fiscale. E identificare questi capitali non è facile, dice Zucman: più del 60% dei conti sarebbero infatti controllati attraverso l’interposizione di società schermo registrate a Panama, di trust delle Isole Vergini britanniche o di fondazioni domiciliate in Liechtenstein. La strada della trasparenza, aldilà delle Alpi, assomiglia ancora più a una ferrata che a un tranquillo sentiero di montagna.