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 2014  ottobre 12 Domenica calendario

L’AMBASCIATORE DEL PIERO «INDIA, TI INSEGNO A FARE GOL»

[Intervista a Alessandro Del Piero] –

Per fare il salto di qualità, il minicampionato — la Indian Super League (8 squadre, 8 città, tre mesi di partite) — si è regalato un fuoriclasse. Alla vigilia dei suoi primi 40 anni (9 novembre, auguri), dopo una vita di Juve e un salto in Australia, si è concesso il lusso di colonizzare il Taj Mahal. Sahib Alessandro Del Piero è su Skype, radioso nella maglia arancione dei Delhi Dynamos. Questa è la sua India.
Buongiorno Alex, cosa vede fuori dalla finestra?
«Una realtà molto diversa dall’Europa. Una città, Nuova Delhi, impegnativa. Ma anche un’esperienza, sportiva e umana, incredibile».
Cosa ha capito dell’India, finora?
«In un mese, poco. L’India è un caos organizzato, che segue regole sue tra contrasti fortissimi. La povertà è sotto gli occhi di tutti: assisto a situazioni toccanti. È un popolo intelligente, con un modo tutto suo di porsi e fare le cose. Il Paese funziona: in certi settori è all’avanguardia».
Non nel calcio, lo ammetta.
«La sfida è far convivere stranieri e indiani: è affascinante vedere come preparano la partita, pregando ciascuno il suo Dio. Hanno voglia di imparare, ne hanno bisogno».
E venerano Del Piero.
«Sono intimiditi, lo vedo. Spesso mi fermo al campo per chiacchierare: chiedono consigli, mi fanno domande».
Perché è in India?
«Ho voglia di lanciare una nuova Lega. Essere ambasciatore del calcio indiano, dargli visibilità, è una responsabilità. Partecipare a qualcosa che nasce è eccitante. Come tutto il Paese, questo è un calcio che ha enormi potenzialità. È un volano: se la Lega cresce il business aumenta, si creano posti di lavoro, strutture, possibilità. Penso ne valga la pena».
Giorgia Meloni la pregò di non partire: la vicenda dei Marò non è ancora conclusa.
«Ho troppo rispetto per questa vicenda e per la sofferenza che sta procurando a due uomini, e alle loro famiglie, per esprimere un’opinione all’altezza di una questione di tale importanza. L’ultima cosa che vorrei è una strumentalizzazione della mia scelta: sono in India per giocare a calcio, da innamorato del mio sport, ma anche da italiano».
Oggi parte il torneo e domani c’è già il derby tra i suoi Delhi Dynamos e il Pune City di Trezeguet.
«Un inizio col botto! Affronterò due ex juventini: David e Belardi. Sono curioso, come tutti».
Provi a farci appassionare al calcio indiano.
«È il terzo campionato più antico al mondo, più della serie A, lo sapeva? Lo stadio di Calcutta ha 120 mila posti, tre volte lo Juventus Stadium. E molti club sono in comproprietà tra campioni di cricket, che qui è una religione, e divi di Bollywood».
Un bel circo, non c’è dubbio.
«L’India fa venire il mal di testa tanto è complicata. 200 milioni di persone non hanno da mangiare, altrettanti hanno casa a Londra o i figli che studiano nei college Usa, come il proprietario della mia squadra. Ci sono i contrasti di tutti i Paesi del mondo, però amplificati all’ennesima potenza. Ho girato uno spot in una slum di Mumbai: ha presente il film The Millionaire? Be’, era così grande che l’abbiamo attraversata in auto, in moto e a piedi. Bollywood muove un mercato spaziale. Poi ti volti, e la natura offre scorci mozzafiato».
Era arrivato con qualche pregiudizio?
«I pregiudizi non mi sono mai piaciuti. Mi piace vedere con i miei occhi e farmi un’opinione. L’India è incredibile».
Anche l’Italia, ricorderà, caro Alex: com’è, visto da laggiù, il calcio di Tavecchio, degli errori arbitrali e delle polemiche?
«Ci crede se le dico che ho visto solo il primo tempo del derby di Genova? Curve spettacolari».
Sia sincero.
«Devo ammettere che, osservato con lo spirito positivo di questa nuova avventura, il calcio italiano è molto da migliorare. Abbiamo una forza incredibile, e penso a come abbiamo vinto il Mondiale 2006, e non la usiamo. Ci vorrebbero forze fresche, idee, ottimismo, un corso nuovo e migliore. Qui in India mi rendo conto di quanto siamo seguiti e dell’immagine che diamo. Siamo indietro rispetto all’Europa. Tiriamo fuori le unghie!».
Ha sentito di recente il suo amico Totti?
«No».
Ha detto: finché c’è la Juve, la Roma arriverà seconda…
«Una frase forte, che non vorrei commentare».
Quel gol in Champions al City a 38 anni, però…
«È bello vedere Francesco segnare con quella freschezza in età avanzata, hem, cioè, matura… » (ride).
La Roma è cresciuta?
«Garcia in poco tempo le ha fatto fare un salto di qualità importante. Mi stupirei se lo scudetto non fosse una questione tra bianconeri e giallorossi».
A Sydney leggeva Jung. E a Delhi?
«Pure! La lettura, impegnativa, prosegue lentamente. Ma sul comodino ho anche Siddharta di Hermann Hesse».
Cosa le riserva il futuro, Alex?
«A gennaio torno in Australia come ambasciatore dell’Asia Cup».
E poi, cosa farà da grande?
«E chi lo sa? Non escludo nulla, nemmeno di allenare. Ho un paio di progetti interessanti: spero di avere ancora cuore e gambe per stare in campo. Mi sento più aperto, ricco, forse migliore. Non sono a Nuova Delhi per fare il turista né per convertirmi all’induismo: segno, vinco la Lega indiana, torno e ne riparliamo. Oggi, a 40 anni, sono pronto a tutto».