Gianni Clerici, la Repubblica 13/10/2014, 13 ottobre 2014
LA CULLA DEL TENNIS
La palla de Rachetta deve essere al peso di un’oncia sottile e di diametro once una e tre quinti, usi il Maestro grande diligenza perché più che sia possibile riesca forte, dura e ben tonda». Andavo rileggendo e mormoravo, in treno. «Acciocchè la palla riesca commoda al giuocatore conviene che la pelle sia non rugosa né dura, ma asciutta pulita e ben tirata. Et il pelo di lana, del qual s’empie, deve esser pulito, e ben purgato, e cacciato nella palla piano, ben disteso, e in comporla insieme usisi (70) solenne diligenza…».
A questo punto il mio giovane vicino di posto, sul Freccia Rossa, non si è più trattenuto, ha abbandonato il suo congegno elettronico, per dirmi «Ma scusi, che lingua parla lei?». Gli ho sorriso, spiegandogli che quella non era purtroppo la mia lingua, ma l’italiano del ’500, del Rinascimento, e quel mio libriccino in pergamena dal quale andavo copiando era stato scritto da un mio antenato adottivo, Antonio Scaino da Salò, che l’aveva dedicato al Duca Alfonso II° di Ferrara, chiarendogli un dubbio sorto durante una partita di tennis. «Tennis!» esclamò il giovanotto. «Ma cosa mi dice mai. Il tennis l’hanno inventato gli inglesi, credo nel 1800». «Temo di no, mio giovane amico» gli sorrisi . «Pensi che io sto tornando da Jesi, in seguito alla scoperta di sei di quelle palline, o meglio balette, di cui avevo preso a scrivere, con la mia vecchia penna». «Palline? Scoperte come? » si incuriosì lui. «Le avevano buttate in un pozzo, vicino al Palazzo della Signoria, per ritrovarle nel 1936 e dimenticarle di nuovo, sinché La Direttrice dei Musei, Loretta Mozzoni, le avrebbe ricoverate in una vetrina e l’avrebbe fatto sapere a un gruppo di persone tanto bizzarre da occuparsi di cose simili».
«Ma sono le prime che saltano fuori?» domandò lui più interessato che incredulo. «Con queste siamo arrivati a sedici» compitai. «Una l’ha trovata il Professor Nonni nel Palazzo dei Montefeltro a Urbino. Altre sei molto recentemente a Mantova, dal Professor Bazzotti, tre nel Palazzo Te, e tre nella Basilica Latina di Santa Barbara. Insomma, siamo a sedici». «E siete sicuri che siano del 1500?». «Quasi, anche se proveremo a fare una prova di laboratorio con il carbonio». Sempre più interessato, il giovanotto passò a considerare «Saranno rare? Ma chissà quante ne hanno gli inglesi. «Neanche mezza, risposi – il britannico Club gemellato col nostro Club dei Collezionisti, di Franco Alciati, ha parlato di due che un viaggiatore britannico di molti anni fa aveva trovato giusto in Italia».
«Sembra incredibile, continuò il giovane, e in altri paesi, ce ne sono?». «Saranno stati molto sfortunati, ma non ne hanno ritrovate neanche mezza né in Francia, che ha dato probabilmente il nome al Tennis, (da Tenez, prendete), né in Spagna, di dove ci è venuta la prima immagine del Tennis, del 1393, (milletrecentonovantrè) scoperta nella Cattedrale di Barcellona». Il giovanotto aveva smesso di scuotere il capo, e il suo sguardo aveva assunto maggior curiosità, e considerazione. «Così vi siete fatti un bel week-end» credette di concludere. «Così abbiamo fondato il Club della Baletta, grazie anche a una Signora che studia il tennis dei Savoia, Sandra Castellani, a un giovanotto che ha scoperto un campo di un papa che giocava in Vaticano, Egizio Trombetta, e a un professore della Normale, Alessandro Tosi, che ci ha mostrato un ritratto del principino Ubaldo della Rovere con racchettina di legno.
«Insomma, è una gran scoperta questo, come chiamarlo, Sport delle Balette?». «Diciamo che forse Wimbledon era già stato inventato dalle nostre parti, e che Jesi sarà quest’anno la capitale dello Sport Europeo. E inoltre il massimo detentore al mondo di Balette». Il treno era ormai a Milano, e il giovanotto, dimenticate le sue appendici elettroniche, mi salutò con vivissima cortesia.
Gianni Clerici