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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

ECONOMISTI SUPERSTAR


L’economista Jeremy Rifkin ha una grande qualità: riesce a vedere, anche nel bel mezzo di una crisi che non offre per ora vie d’uscita, il bicchiere mezzo pieno. La conferma arriva dalla sua ultima opera, già best seller in Cina (400 mila copie vendute in poche settimane), La società a costo marginale zero (Mondadori pp 402, euro 22) , destinata a sicuro successo anche in Europa. Con pieno merito, perché il pensatore Usa non solo riesce a guardare oltre il braccio di ferro tra austerità e stimoli monetari che riempie, senza alcun frutto, le cronache della politica e dell’economia ma si cimenta, tra i primi, nella ricerca di una soluzione al morbo più pericoloso, la «stagnazione secolare«, ovvero una paralisi che minaccia la crescita ma ancor di più le prospettive delle nuove generazioni, sottoposte ogni giorno a messaggi sempre più drammatici: la miscela di concorrenza globale e rivoluzione digitale, che ha messo e metterà sempre più a rischio i posti di lavoro e ha ridimensionato i redditi dei lavoratori, rischio di mettere ai margini una quota crescente di cittadini. Così si spegne la merce più preziosa, ovvero la fiducia che spinge gli investimenti ed il lavoro, generando recessione e depressione. Ma, ribatte Rifkin, il problema porta con sé la soluzione. Il mondo va già verso «il costo marginale zero della produzione». Le imprese, infatti, sono sempre alla ricerca di nuove tecnologie che incrementino la produttività e riducano il costo marginale di produzione di prodotti e servizi in modo da abbassare i prezzi, conquistare sempre più clienti e assicurarsi sufficienti profitti per i loro investitori. Ma in questo modo sta maturando un nuovo paradigma che riesce a portare il costo marginale praticamente vicino allo zero. Prendiamo, ad esempio, il caso dell’editoria: grazie all’elettronica uno scrittore può ormai mettere i propri libri ad un prezzo molto basso su Internet, scavalcando editori, stampatori, grossisti, distributori e rivenditori. Chi se ne avvantaggia? Amazon, si potrebbe rispondere pensando al potere contrattuale del colosso dell’e-commerce. Non è così, risponde Rifkin. «Dalle viscere della seconda Rivoluzione Industriale» scrive «sta prendendo forma una nuova, potente piattaforma tecnologica in grado di spingere a tappe forzate la contraddizione del capitalismo verso la fase finale: la fusione tra l’Internet delle telecomunicazioni, la neonata Internet dell’energia, i prodotti della stampa 3 D e l’Internet della logistica destinate a confluire nella grande infrastruttura intelligente del XXI° secolo, l’Internet delle cose». Sembra un’utopia, ma non lo è. Basti pensare ai prosumers (che sta per consumers proattivi) che « hanno cominciato a produrre e condividere la propria musica attraverso i servizi di file sharing, i propri video su YouTube, le loro conoscenze su Wikipedia, le loro news sui Social Media e persino i propri e-book attraverso il web. il tutto praticamente gratis». Dall’economia della conoscenza alle attività manifatturiere o dei servizi il passo è più breve di quel che non si possa immaginare. Presto, scrive l’autore, l’economia permetterà a milioni di persone di creare e condividere la propria energia rinnovabile. Anzi, il futuro è già tra noi, anche in Italia. Pochi giorni fa Stmicrolectronics, la società italo-francese, ha annunciato di aver messo in commercio le prime board (4 già sul mercato, altre 6 arriveranno a fine anno) , ovvero schede da 10 a 20 dolalri l’una capaci di dialogare con Arduino, l’hardware italiano che consente agli artigiani digitali di produrre un po’ di tutto, nel campo della robotica o degli oggetti intelligenti. Per intenderci Stm ha messo a disposizione delle botteghe artigiane i segreti dei sensori degli smartphone, iPad compresi. E’ un buon esempio del confronto che si profila negli anni a venire, secondo Rifkin: da una parte i Big decisi a difendere i propri margini d i profitto, dall’altra la pressione dirompente di centinaia di milioni di prosumers. Espulsi ( o nemmeno presi in considerazione) da un sistema economico che non si rivela all’altezza di rispondere alle attese di qualità di vita dei cittadini. Rifkin imbraccia la causa dell’uomo, ma non nasconde il rischio che le cose vadano in un altro modo. Torna d’attualità il conflitto drammatico che, tra il ’700 e l’800, caratterizzò la vita politica inglese: da una parte la borghesia cresciuta sull’onda della rivoluzione industriale, dall’altra la vecchia struttura sociale che consentiva ai contadini di sfruttare le terre in comune- La recinzione dei terreni e l’imposizione del diritto di proprietà consentì l’avvio della rivoluzione industriale, favorendo l’espulsione dei villains dalle terre adiacenti alle parrocchie verso le città. Oggi torna d’attualità un ecosistema basato sul Commons collaborativo, possibile antidoto alla stagnazione economica. «Il declino del pil cui assisteremo nei prossimi decenni - scrive ancora Rifkin - sarà da attribuire anche all’affermarsi di un nuovo, brillante paradigma che misurerà il valore in modi del tutto nuovi». Ecco due buoni motivi per riflettere assieme a Rifkin: piaccia o no, il vecchio paradigma non tornerà probabilmente più. Ma nel nuovo mondo, le qualità individuali, la fantasia e l’ingneno, conteranno più dei capitali. E questo, per noi italiani, può essere un enorme vantaggio.