Antonio Massari, il Fatto Quotidiano 12/10/2014, 12 ottobre 2014
LUI, LEI E IL SUOCERO MAFIOSO “L’HO DENUNCIATO, HO PAURA”
Ormai è l’“informatore”. Paolo si trasforma in un “infame” da un momento all’altro: riavvolge la pellicola della sua vita e la riguarda, minuto per minuto, con altri occhi, sin da quando s’innamora nelle strade di Barcellona. È il 2006 e Daniela, 25enne, lavora per un’importante compagnia di viaggi. Paolo invece – usiamo un nome di fantasia – è un commerciante di Potenza e di anni ne ha 27. Convivono, viaggiano, si confidano dettagli che in quel momento paiono insignificanti: “Mi racconta che è cittadina inglese, originaria di Palermo – dice Paolo – e che suo padre, prima di trasferirsi a Londra, era un insegnante di educazione fisica”. Insegnante, anzi, come direbbero in Sicilia “prufissuri”.
Bruna, bella, accento meridionale: ha ben poco di londinese, Daniela, che di cognome fa Skinner, come recita il suo passaporto e anche quello di sua madre, che di tanto in tanto va a trovarli. Passano gli anni, Paolo e Daniela continuano ad amarsi, si trasferiscono a Puerto Rico, Gran Canaria, Spagna: lui inizia a guadagnarsi da vivere vendendo pasta fresca. Con il padre di Daniela, Paolo, ci parla di tanto in tanto su Skype: sorrisi, saluti, qualche battuta con il futuro suocero. Ma Puerto Rico è lontana, troppo lontana, e il padre di Daniela, come qualsiasi padre, vuole sua figlia vicina. Le telefonate si fanno incalzanti: “Venite a trovarci. Voglio conoscere Paolo”.
Il viaggio in Inghilterra e il pranzo con i parenti
È il 2013 e, in sette anni di fidanzamento, Paolo non ha mai conosciuto il suo futuro suocero. I due organizzano il viaggio: si parte per Londra. Una sera d’aprile atterrano a Heathrow. “Ci presentiamo in aeroporto – racconta – poi andiamo a casa. Il giorno dopo, a pranzo, suo padre inizia un lungo discorso: vuole che ci trasferiamo a Londra, è un ‘consiglio’, dice che penserà lui alla casa e al mio lavoro”. Ma Paolo non accetta: “‘A Puerto Rico non ci manca nulla’, rispondo, ‘se ne avremo bisogno accetterò l’offerta’. Ringrazio e chiudo il discorso”. Ma non finisce lì. “Nel pomeriggio usciamo, Daniela e sua madre s’allontanano, io e suo padre andiamo a bere un caffè, e lui mi dice che non c’era molto da discutere: devo andare a Londra, punto e basta, e lo fa in un modo che non potrò mai scordare. È il primo momento in cui m’insospettisco, il suo modo m’impaurisce, mi chiedo: ma quest’uomo, in realtà, chi è? Così, senza che se ne accorga, gli scatto una foto con il telefono”. Nelle ore successive, su una mensola di casa, trova il suo passaporto: “Marco Skinner”. “E mi sono chiesto – continua – ‘com’è possibile che in questa famiglia, moglie e marito, si chiamino nello stesso modo, pur essendo chiaramente italiani, anzi siciliani?’”.
I sospetti si fanno di minuto in minuto sempre più forti. Paolo rovista nei vecchi diari di Daniela, mentre lei è sotto la doccia, e scopre che le pagine degli anni Novanta riportano in calce sempre lo stesso luogo, Trabia, che è un paese in provincia di Palermo. I due tornano a Puerto Rico, le pressioni del padre per il trasferimento a Londra continuano, lei si sposta nella casa dei genitori per mesi, lui non cede, alla fine rompono la relazione. E così, quando torna in Italia, Paolo prova a sciogliere tutti i suoi dubbi: incontra un suo vecchio amico, un investigatore, e gli racconta i pochi elementi raccolti: la foto nel bar, il passaporto inglese, i riferimenti sul diario a Trabia. E soprattutto quel dettaglio conosciuto tanti anni prima: il padre di Daniela, in Sicilia, era un insegnante. E per Cosa Nostra era “u prufissuri”.
“U prufissuri” in manette La latitanza finisce d’estate
Parliamo di Domenico Rancadore, oggi 66enne, condannato a sette anni per mafia, una latitanza seconda per durata soltanto a quella di Matteo Messina Denaro, irreperibile dal 14 dicembre 1994. L’amico gli presenta un collega poliziotto, della questura di Potenza, e Paolo decide di raccontare tutto: i dirigenti annotano e, di lì a poco, l’8 agosto, Rancadore viene arrestato a Londra, dov’è tuttora, perché la Gran Bretagna non ha ancora concesso l’estradizione.
La cronaca riporta che è stato individuato dai carabinieri di Monreale (Palermo) ma qualcosa va storto. Il 9 agosto il quotidiano lucano La Nuova del Sud, pubblica in prima pagina il seguente titolo: “U Prufissuri fatto arrestare dalla polizia di Potenza”. Come dire: con questa fuga di notizie, Paolo ha messo la firma sull’arresto. E infatti, per un breve periodo, viene scortato, ma solo fino a marzo 2014 perché, in quanto semplice “informatore”, non ha diritto alla protezione. C’è solo la cosiddetta vigilanza dinamica: pattuglie che in diversi orari passano sotto casa. “Vivo nel pericolo – racconta – e non posso entrare nel programma di protezione”.
Il motivo: per lo Stato risulta un semplice “informatore”. Lui non ci sta. Si ribella. “Io ho denunciato, ho collaborato alle indagini, non ho semplicemente informato: ho documenti che possono dimostrarlo. Mi spetta lo status di testimone di giustizia”. In realtà non esiste alcun verbale di denuncia: tutto ciò che Paolo può esibire, sotto questo aspetto, sono tre fogli non intestati in cui sottoscrive di aver consegnato – non si comprende a chi – “foto di Domenico Rancadore”, “curriculum vitae di Daniela Skinner” e alcuni bigliettini da visita. C’è una data: il 16 luglio 2013, 22 giorni prima dell’arresto, ma siamo quasi alla carta straccia.
“Se i funzionari avessero verbalizzato la mia denuncia, invece di redigere quei tre fogli, oggi avrei diritto a un programma di protezione”, dice Paolo. Il Fatto Quotidiano ha contattato il funzionario che, all’epoca, secondo Paolo, ha redatto quei tre fogli, per conoscere la sua versione: “Non posso confermare né smentire – è la risposta – perché il mio ruolo me lo impedisce e, soprattutto, lo impedisce l’estrema delicatezza della vicenda”.
L’esposto al Viminale e il silenzio di Bubbico
Che la vicenda sia delicata, d’altronde, lo dimostrano le ulteriori denunce che Paolo ha presentato in questura: telefonate e lettere minatorie che, dal giorno dell’arresto, ha ricevuto in più occasioni. Il punto, infatti, è che l’“informatore” non è stato protetto come necessario: “Posso dimostrare – continua Paolo – che, attraverso delle email, inviate per conoscenza in tempo reale a un dirigente della questura, ho attivamente contribuito anche nelle fasi dell’arresto: ho scritto delle email alla mia ex fidanzata, le ho detto che avrei voluto parlare con suo padre, che avrei voluto fissare un appuntamento, per fare in modo che non si allontanasse da Londra. Poi ho scoperto, su Facebook, che il nipote in quei giorni si stava recando a Heathrow e ho segnalato l’episodio alla questura: ho diritto alla protezione”.
Così, il 14 luglio, Paolo ha presentato un esposto al ministero dell’Interno, per la precisione al vice ministro Filippo Bubbico lucano come lui, nel quale denuncia l’accaduto e gli chiede di “avanzare autonomamente la proposta di ammissione alle misure speciali di protezione”. Ma da allora, racconta, non ha ottenuto risposta: “Niente. Nessuna risposta. Eppure, senza la mia collaborazione, Rancadore sarebbe ancora un latitante a Londra e io sarei ancora un imprenditore in Spagna”. Invece è solo un “informatore”.
Antonio Massari, il Fatto Quotidiano 12/10/2014