Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 12 Domenica calendario

NAZIONALE - 12

ottobre 2014
CERCA
36/37 di 72
R2 Cultura
L’inedito. Altrui mestieri
Lo scrittore americano amava anche dipingere. Ma sua figlia Nanette, pittrice, non lo prese mai sul serio
Almeno fino al giorno in cui non ritrovò questi vecchi ritratti fatti apposta per lei
Gli scarabocchi di papà Vonnegut
GABRIELE PANTUCCI
‘‘QUANDO NON SCRIVE SCARABOCCHIA ”.
Nanette oggi si rammarica d’averlo ripetuto ogni volta che le chiedevano cosa facesse suo padre. Aveva cominciato a usare questo tipo di risposta da bambina, senza alcuna intenzione denigratoria. Poi, con gli anni, avendo studiato arte ed essendo diventata un’artista professionista forse quello sbrigativo modo di dire aveva iniziato a assumere una sfumatura lievemente critica, o almeno un carattere di condiscendenza. Suo padre, Kurt Vonnegut, era uno scrittore famoso: addirittura uno dei più importanti e influenti scrittori americani contemporanei. Era naturale che lei — pittrice per davvero — non potesse prendere in seria considerazione i soggetti con cui lui riempiva ogni pezzo di carta nei momenti in cui si voleva solo rilassare. Del resto Vonnegut stesso osservò, all’apice della carriera, che disegnava soltanto per reagire all’oppressione che gli procurava lo scrivere. E suo figlio Mark ce lo confermò, quando raccolse e pubblicò gli scritti rimasti inediti alla morte del padre nel 2007: «Per lui lo scrivere era un esercizio spirituale». La prosa di Kurt Vonnegut, che ammiriamo per immediatezza, freschezza, ironia e spontaneità, era il risultato di uno scrivere e riscrivere più volte finché non avesse trovato la versione perfetta. E dunque, per tornare agli “scarabocchi”, se l’autore stesso interpretava i suoi disegni come sfoghi per rilassarsi, era naturale che Nanette non li considerasse al di sopra di una camomilla.
Lo chiamava “lo scarabocchione” ( the doodler ) e intorno alla metà degli anni Novanta addirittura gli suggerì di bruciare tutti quei fogli di carta che gli riempivano i cassetti di casa. Fu allora che suo padre le spedì due pacchi di dimensioni scarsamente maneggiabili. In Nanette l’aspettativa d’una sorpresa si dileguò con la stessa rapidità con cui scema l’attesa di una vincita alla lotteria dopo che il numero è stato annunziato: contenevano disegni e soltanto disegni. Non ebbe neppure il tempo di aprire completamente quei grossi pacchi. «Con i bambini che strillavano perché volevano o non volevano qualcosa ebbi soltanto il tempo di metterli da parte... Li avrei guardati poi, con calma, quando si fossero addormentati ». I piccini si svegliarono e addormentarono parecchie volte, passarono gli anni e Nanette si dimenticò completamente di quei pacchi ingombranti e semiaperti che aveva messo sopra uno scaffale. Suo padre le aveva persino telefonato per chiederle con discrezione se fossero arrivati, ma non aveva spinto oltre la sua curiosità. A posteriori potremmo dire che teneva a un giudizio della figlia, ma che non s’azzardava a darlo a vedere.
Così su quei pacchi s’accumularono con gli anni parecchi altri pacchi e oggetti, tutti assai poco importanti per la vita di Nanette e dei suoi familiari. Soltanto dopo la morte del padre li aprì, si mise alla scrivania e finalmente trasalì. Non erano i soliti scarabocchi ma disegni, ne vedete una selezione in queste pagine. Agli occhi esperti di Nanette apparvero sì come «labirinti capricciosi in stile minimalista caratterizzati da una sinuosità serpeggiante» ma anche «dotati d’una policromia e qualità che affascinano ». Dopo di lei furono visti da molti altri addetti ai lavori, e tutti concordano nei loro giudizi positivi. C’è chi vi ha voluto ravvisare le metafore di certi romanzi labirin- tici di Vonnegut, mentre le influenze cubiste, di Miró e di Calder, sono evidenti.
I centoquarantacinque disegni sono ora pubblicati in un volume da Monacelli/Random House con un saggio di Peter Reed e uno della figlia Nanette. Reed — professore emerito di lingua e letteratura Inglese alla University of Minnesota e grande esperto di Vonnegut — ha stabilito che furono tutti eseguiti tra il 1985 ed il 1987. Se è vero che diversi lavori grafici dell’autore di Mattatoio n. 5erano già apparsi in due mostre (alle quali lo scrittore partecipò con grande riluttanza, e lo invitavano solo perché il suo nome era d’aiuto agli amici galleristi) va detto pure che i lavori emersi dallo scaffale delle cianfrusaglie di Nanette sono di gran lunga superiori. È possibile, le chiediamo, che suo padre non si sia dedicato al disegno e alla pittura con gli stessi risultati anche in altri momenti della sua vita e non solo nell’arco di quei due anni? «Possibilissimo — risponde lei — ma ha idea di quanto tempo mi ci vorrà per scoprirli?».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
COURTESY OF MONACELLI PRESS+
LE IMMAGINI
IN QUESTA PAGINA, “AUTORITRATTO” E ACCANTO UNO SCHIZZO “SENZA TITOLO”. NELL’ALTRA, DALL’ALTO IN SENSO ORARIO: “AUTORITRATTO” E “AUTORITRATTO 16 FEBBRARIO 1985”. A SEGUIRE TUTTI GLI ALTRI DIPINTI ESEGUITI DA KURT VONNEGUT TRA IL 1985 E IL 1987 NON HANNO NÉ TITOLO NÉ DATA.
LE IMMAGINI SONO TRATTE DA “KURT VONNEGUT DRAWINGS” PUBBLICATO NEGLI USA DA MONACELLI PRESS/RANDOM HOUSE.
IN BASSO, A DESTRA, ALCUNI AFORISMI DELLO SCRITTORE